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Monte dei Paschi: ecco il piano, i costi e i rischi per il salvataggio.

Da Lettera43 un articolo che analizza i costi e i rischi del piano di salvataggio di Mps. E’ una lettura interessante che aiuta ad analizzare altre questioni che verranno affrontate nei prossimi giorni.

Matteo Renzi l’ha ripetuto a la Repubblica e davanti alle telecamere di Cnbc del gruppo Class. È convinto che per il Monte dei Paschi di Siena sia stata trovata «una soluzione finale e di mercato».

Ma proprio il mercato la pensa diversamente.
OPERAZIONE DIFFICILE. I più ottimisti parlano di un’operazione innovativa e complessa.
Gli scettici, invece, fanno fatica a trovare un equilibrio in un patchworkcomposto di aumento di capitale senza il paracadute di un consorzio di garanzia, sofferenze vendute al doppio di quanto si è fatto finora, utilizzo di prestiti ponte e garanzie statali dirette e indirette.
SCHIZOFRENIA IN BORSA. Infatti in Borsa è stato accolto con molta schizofrenia il piano di salvataggio di Mps scritto dal management di Rocca Salimbeni per evitare l’intervento pubblico e la mannaia del bail in: iniezione di capitali per 5 miliardi e vendita di Npl (non performing loan, crediti deteriorati) per un valore netto di 9,2 miliardi per riportare il Cet1 (il Common equity tier 1, parametro che misura la solidità di una banca) sulla patrimonializzazione ben oltre la soglia minima del 13%.
Secondo gli stress test, e nel peggiore degli scenari macroeconomici, il ratio oggi crollerebbe al 2,44% proprio per la presenza di 45,3 miliardi netti di crediti inesigibili.

Un aumento di capitale che vale 6 volte la banca

Oggi in Borsa Mps vale 800 milioni di euro.
Ma da qui alla fine del 2016 deve trovare 5 miliardi di euro per rafforzare la sua patrimonializzazione, dopo averne chiesti già 8 nell’ultimo biennio.
E basterebbero questi numeri per capire quanto sia rischioso e complesso il buffering in una fase nella quale l’attività economica e la remunerazione bancaria sono basse.
LA MINA DELL’INOPTATO. Proprio le condizioni di mercato e lo sconto sul Terp (prezzo teorico dopo che è stato staccato il diritto di opzione) che non supererebbe il 16 per cento, fanno dire agli analisti di Equita che «è molto alto il rischio di inoptato», cioè di quote non sottoscritte.
Anche perché nonostante Rocca Salimbeni abbia chiesto un pre-underwritingcon otto grandi banche guidate da Jp Morgan e Mediobanca, manca ancora un soggetto che si sia preso la briga di garantire l’aumento di capitale, prendendosi in carica la parte non sottoscritta dal mercato.
VERSO L’INTERVENTO PUBBLICO? In teoria tutti gli istituti coinvolti aspettano di vedere come andrà l’operazione di pulizia dagli Npl.
In pratica, si paventa un intervento pubblico.
Lo fanno sia Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato, sia gli analisti di Banca Imi.
Che non a caso sottolineano «l’esistenza di un accordo di pre-underwriting che limita solo in parte il rischio di esecuzione dell’aumento di capitale».
Ergo, una risposta tiepida del mercato con «un esito negativo dell’attività di pre-marketing potrebbe impedire l’esecuzione della garanzia. Quindi ancora non possiamo escludere che un qualche tipo di sostegno pubblico possa essere necessario per completare tutte le operazioni previste».

Un miliardo di ricavi per convincere gli scettici

(© Ansa) Fabrizio Viola, amministratore delegato di Mps

Banca d’Italia, commentando la bocciatura da parte dell’Eba dopo gli stress test, ha fatto notare che Siena accanto alla mancanza di capitale paga non soltanto il surplus di sofferenze.
Ma anche la bassa redditività legata alla «diminuzione del margine d’interesse».
DEBOLEZZA DELLA ROCCA.L’ultima semestrale, presentata il 30 luglio 2016, va in questa direzione.
L’utile (a 302 milioni di euro) è in calo del’8,2% rispetto allo stesso periodo del 2015.
I ricavi, a 2,34 miliardi, sono scesi del 10%.
Invece le rettifiche, a 368 milioni, sono aumentate del 5,3% in un solo trimestre.
Il punto è dirimente, perché il successo di capitale passa sia attraverso la risoluzione dei crediti deteriorati sia, soprattutto, in base al ritorno alla redditività.
L’AD VIOLA MOLTO AMBIZIOSO. Non a caso – e dopo tagli per 800 milioni, esuberi per 5.500 unità e l’uscita da molte partecipazioni non core – l’amministratore delegato Fabrizio Viola ha presentato un piano industriale con scadenza 2019 molto ambizioso: Roe tra l’8 e il 10% e profitti tra gli 800 milioni e il miliardo di euro.
Questo perché, come hanno calcolato alcuni analisti, soltanto garantendo una redditività di almeno mezzo miliardo l’anno l’esborso per l’aumento di capitale vale l’investimento fatto.
Ma questi numeri sono realistici?
GLI ANALISTI SONO DUBBIOSI. Qualche dubbio in riguardo è stato posto dagli analisti di Banca Imi.
Anche ipotizzando il trasferimento degli Npl in una bad bank, l’aumento di capitale tratterà Mps a 0,54 volte il multiplo prezzo/book value tangibile, contro una media nazionale di 0,43 volte.
Da qui il timore che «tale premio non possa essere giustificato dalla qualità dell’attivo della good bank, in quanto le esposizioni non performanti sarebbero in linea con la media».
Più pessimista Kepler Cheuvreux. «Per scambiare in linea con il multiplo prezzo/utile 2018 dei competitor post deal, Mps avrebbe bisogno di raggiungere circa 1 miliardo di utile netto nel 2018». Cioè prima di quanto previsto da Viola.

Alla lotteria delle sofferenze: un’architettura complessa

(© Getty Images) La sede del Monte Paschi Siena in piazza Salimbeni.

Il board di Mps ha deciso di anticipare di un anno lo smaltimento dei crediti deteriorati, che la Banca centrale europea (Bce) voleva si terminasse nel 2018.
Un tentativo per restituire credibilità a una banca data per spacciata fino a qualche tempo fa, un modo di convincere gli investitori a partecipare l’aumento di capitale.
Ma l’architettura scelta dalla Banca sugli Npl è molto complessa. E forse non poteva essere diversamente.
TEMPI BREVI E QUANTUM ALTO. Dei 9,2 miliardi netti di sofferenze, due saranno a carico degli azionisti.
Mentre sei sono quelle senior, cioè coperte da garanzie reali come gli immobili.
Trasferite in un apposito veicolo, saranno piazzate a investitori istituzionali, sfruttando anche la Gacs (la garanzia sulle cartolarizzazioni di sofferenza) pubblica.
Un investimento in teoria sicuro, ma che in pratica sconta tempi molto brevi e un livello di cartolarizzazione mai registrato da un emittente privato.
Tra l’altro in un Paese, l’Italia, privo di un mercato per la cessione di Abs.
JUNIOR E CON POCHE GARANZIE. Per facilitare l’operazione non è escluso un prestito ponte molto oneroso per la parte senior e per quella junior, che presenta più rischi e più complessità.
Non a caso gli analisti di Icpbi hanno lamentato «incertezze su tempi e modalità della cartolarizzazione perché occorrerà trovare investitori disposti a sottoscrivere la tranche senior, mentre non è del tutto chiara la modalità con la quale gli attuali azionisti verranno coinvolti nella sottoscrizione della tranche junior».
I RISCHI PER ATLANTE. Lo stock di bond sui crediti inesigibili più rischiosi ammonta a 1,7 miliardi. E sono quelli che dovrebbero finire in pancia al Fondo Atlante 2.
Matteo Renzi e il governo, come dimostra la trattativa con le casse di previdenza, promettono un ritorno all’investimento del 6%. Altissimo, in epoca di denaro a costo zero.
PREZZI FUORI MERCATO. A parte che Palazzo Chigi fa fatica a trovare sottoscrittori al veicolo – al momento gli unici soldi certi sono quelli di Cdp e di Sga, bad bank del Banco di Napoli finita sotto l’egida del Tesoro – il forte ritorno si basa sul tentativo di vendere gli Npl a 33 centesimi, con una svalutazione di 67 cent.
Un prezzo fuori dal mercato, se si pensa che il governo ha “piazzato” le sofferenze di Etruria al 17% del valore nominale e che la stessa Mps ha finora venduto le cartolarizzazioni al 10% del suo valore.

Quel mezzo miliardo che se ne va in commissioni

(© ImagoEconomica) L’ex ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera.

Tutta l’operazione di salvataggio di Mps è molto rischiosa: non c’è un ruolo diretto del governo (che pure è il primo azionista con il 4%); la sottoscrizione dell’aumento di capitale è legata sia al buon esito delle cessioni delle sofferenze sia a un aumento della redditività.
COSTI FISSI MOLTO ALTI.Aspetti che si traducono in costi fissi molti atti.
Le otto banche capitanate da Jp Morgan avrebbero presentato un conto elevato a Rocca Salimbeni: intorno al mezzo miliardo.
Infatti avrebbero richiesto commissioni pari al 4 o 4,5% rispetto all’importo dell’aumento.
Siamo intorno a una cifra tra i 200 e i 225 milioni. A questi soldi vanno aggiunti le spese di consulenza e gli interessi al prestito ponte necessario per lanciare la bad-bank.
PASSERA: «CON NOI SI RISPARMIA». Per la cronaca, il pagamento di queste voci è condizionato al successo dell’operazione.
Ma non a caso Corrado Passera, nel presentare il suo piano alternativo con Ubs, ha scritto al consiglio di amministrazione di Siena: «La nostra proposta farebbe risparmiare parecchie centinaia di milioni alla banca tra minori commissioni e minori interessi legati al bridge loan della bad bank».

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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