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Energy storage di rete, quando i benefici sono maggiori dei costi

Negli Stati Uniti il Massachusetts pensa a un obiettivo statale per la capacità di accumulo del sistema elettrico. Potrebbero essere 600 MW nel 2025, ma forse anche di più, con benefici netti per gli utenti pari almeno a 800 milioni di dollari, grazie alla riduzione dei costi di sistema.

Il Massachusetts potrebbe diventare il terzo Stato americano, dopo California e Oregon, a fissare un obiettivo vincolante di energy storage per la sua rete elettrica.

È interessante capire cosa sta avvenendo negli Stati Uniti per diverse ragioni: la prima è che proprio il Massachusetts, attraverso il Department of Energy Resources (DOER) ha appena pubblicato uno studio sui costi/benefici dei sistemi di accumulo, State of Charge (allegato in basso).

Il secondo motivo d’interesse è dato dal fermento anche un po’ pioneristico che sta circondando il tema dell’energy storage nel piccolo Stato del New England. Il governatore Charlie Baker, lo scorso agosto, ha firmato una legge che autorizza il DOER a stabilire un traguardo di capacità di accumulo per il 2020, se il dipartimento lo riterrà utile/necessario.

Secondo lo studio, l’accumulo elettrochimico è una tecnologia game changer, capace cioè di trasformare il settore elettrico con una serie di funzioni, come la regolazione rapida di frequenza (QualEnergia.it su primo bando inglese dedicato questo particolare servizio) l’integrazione delle rinnovabili intermittenti e lo spostamento della domanda, cioè la possibilità di assorbire l’energia quando costa di meno (periodi di bassa richiesta) e utilizzarla in seguito.

Gli autori del rapporto partono dalla seguente costatazione: le altre commodity, ad esempio l’acqua, il gas naturale e i carburanti, possono tutte contare su riserve stoccate pari almeno al 10% dei consumi giornalieri, al contrario dell’elettricità, che può fare affidamento su una capacità di accumulo irrisoria, meno dell’uno per cento dei consumi quotidiani del Massachusetts.

Questa situazione comporta inevitabilmente dei costi molto elevati per avere sempre disponibile una capacità di generazione di riserva, garantita dagli impianti termoelettrici che entrano in attività solamente per fronteggiare i picchi di consumo (oltre, quindi, la normale produzione baseload). La conseguenza è una grande variabilità dei prezzi dell’elettricità durante la giornata.

Secondo le stime del DOER, riferite al triennio 2013-2015, le ore in cui l’energia elettrica costava più cara (10% del totale) hanno inciso per ben il 40% sulla bolletta elettrica annuale pagata dai cittadini: circa 3 miliardi di dollari.

Installando batterie di accumulo elettrochimico per complessivi 600 MW entro il 2025, prosegue l’analisi, il Massachusetts potrebbe ricavare benefici per circa 800 milioni di dollari l’anno, grazie soprattutto alla riduzione dei costi di sistema.

Peraltro sono cifre abbastanza conservative, perché il rapporto ritiene che il corretto dimensionamento dell’energy storage per il piccolo Stato USA sarebbe di circa 1.700 MW.

A quel punto, i benefici netti per gli utenti sarebbero pari a circa un miliardo di dollari l’anno, considerando, da una parte, i costi totali d’investimento e manutenzione delle batterie (900 milioni/1,3 miliardi) e, dall’altra, i vantaggi cumulativi per il sistema elettrico (2,2 miliardi di risparmi).

Al momento, il Massachusetts è molto indietro nella classifica degli Stati americani con maggiore capacità installata in sistemi di accumulo: appena ventitreesimo con 2 MW operativi.

Le previsioni di GTM Research vedono il mercato in crescita di 5 MW quest’anno, per poi salire gradualmente fino a 79 MW nel 2021, data in cui l’energy storage avrà in complesso circa 235 MW di batterie in rete. Con quattro anni ancora davanti, l’obiettivo iniziale di 600 MW nel 2025 appare quindi plausibile.

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Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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