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Prove di rilancio della pensione aggiuntiva

Torna inopinatamente alla ribalta l’idea di potenziare la previdenza complementare, dopo che dall’inizio del mandato governativo si era cercato di affossarla in tutti i modi. Infatti nell’incauto tentativo di rilanciare i consumi i governanti avevano pensato di trasferire il tfr in busta paga, prosciugando la fonte primaria di finanziamento dei fondi pensione, nonché altre misure restrittive.
Nel corso delle recenti discussioni fatte in merito alla rivisitazione della normativa sulle pensioni, concluse con un accordo lo scorso settembre, il problema non poteva più essere ignorato ed ha avuto una sua solennizzazione del famoso verbale governo sindacati sulle pensioni del 28 settembre 2016.
L’introduzione di un nuovo strumento finanziario qual’ è il prestito previdenziale, non poteva non rinsaldare l’esigenza di affiancarlo con altri strumenti di sostegno alle magre future pensioni e quindi hanno  dovuto discutere per forza di cose, sulla necessità di rilanciare la previdenza complementare. Ad oggi è l’unico strumento per garantire un minimo di adeguatezza delle future pensioni senza gravare sul bilancio dello Stato.
La previdenza complementare fra l’altro è stata tirata in ballo come misura di rafforzamento per favorire l’accesso anticipato alla  pensione  attraferso un’operazione fantasticamente chiamata Rita che ai meno giovani come me richiama alla mente la prosperosa Rita Haywhorth fantastica interprete del film in bianco e nero Gilda. Ma qui sta per rendita integrativa temporanea aggiuntiva
Una possibilità di anticipo della pensione complementare già è prevista per i dipendenti pubblici che possono chiederla se hanno almeno 15 anni di iscrizione ad un fondo pensionistico. In tal caso l’anticipo può essere  perfino di 10 anni prima del limite di età stabilito dalla  legge Fornero.
La legge sulla concorrenza , o meglio il disegno di legge, che dopo più di un anno dal suo varo dal Consiglio dei Ministri giace impantanata al Senato dal 15 ottobre 2015. Fra un poco si festeggerà un anno. Il provvedimento prevede all’art 16 che “Le forme pensionistiche complementari prevedono che, in caso di cessazione dell’attività lavorativa che comporti l’inoccupazione per un periodo di tempo superiore a ventiquattro mesi, le prestazioni pensionistiche o parti di esse siano, su richiesta dell’aderente, consentite con un anticipo di cinque anni rispetto ai requisiti per l’accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza e che in tal caso possano essere erogate, su richiesta dell’aderente, in forma di rendita temporanea, fino al conseguimento dei requisiti di accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio. Gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari possono innalzare l’anticipo di cui al periodo precedente fino a un massimo di dieci anni».
La Rita  si ispira a questi precedenti e prevede la definizione di una modalità che consenta a chi ha maturato un montante presso un fondo integrativo di riscuoterlo prima dell’età di pensionamento, volontariamente e nella misura scelta, per poter usufruire di una rendita temporanea per il periodo che manca alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia.
La rendita temporanea sarà soggetta a tassazione agevolata come per la rendita ordinaria.
Il governo non contento del flop del trattamento di fine rapporto in busta paga, la cui possibilità di richiederlo scadrà a giugno 2018, ci ritorna sopra e vuole definire strumenti di incentivazione fiscali finalizzati ad agevolare l’utilizzo volontario del Tfr accantonato presso l’impresa oppure dare  contributi aggiuntivi per accedere alle prestazioni anticipate di previdenza complementare.
Nella Fase due, cioè in un futuro che può essere prossimo o indefinito, il confronto fra governo e Sindacati, fra l’altro,  si svilupperà  su ulteriori possibili interventi per aumentare gli iscritti e favorire gli investimenti dei fondi pensione nell’economia reale, come se oggi fossero investiti nell’economia irreale.
In effetti la maggior parte degli investimenti dei fondi era orientata ai titoli di debito di Stato, italiani in particolare e per quelli nell’economia reale, all’estero. Dopo l’aumento della tassazione dei rendimenti finanziari  dall’11% al 20% il governo emanò un provvedimento sul credito di imposta cui avrebbero avuto diritto i fondi che avessero investito appunto nell’economia reale, facendo un dettagliato elenco delle infrastrutture su cui era possibile  intervenire. I risultati non sono stati soddisfacenti, pur in presenza di rendimenti zero dei titoli pubblici. Perché senza garanzie o senza fondi di garanzia nessuno si azzarda ad arrischiare i soldi dei lavoratori e fare la fine di Eron.
Proprio per questo, sempre col disegno di legge sulla concorrenza il governo vuole mettere mano alla governace dei fondi, che finora hanno operato  bene, pensando di obbligare a mettere nei consigli di amministrazione dei tecnocrati, magari della Bocconi o della Banca d’Italia, per poterli manovrare meglio specialmente per direzionare gli investimenti.
In ultimo il governo si impegna a parificare la tassazione sulle prestazioni di previdenza complementare dei dipendenti pubblici a quelli privati. Questa è una misura sacrosanta attesa da anni e speriamo si concretizzi
Come si sa la rendita dei ministeriali è tassata con irpef ordinario, minimo il 23%, mentre la rendita dei lavoratori del settore privato è tassata con aliquota variabile che, a secondo degli anni di iscrizione al fondo, parte dal 15% e scende fino al 9%.

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