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La COP22 nasconde un conflitto di interessi da record

(Rinnovabili.it) – Nei corridoi della COP22 c’è puzza di petrolio. Il summit mondiale sul clima che apre i lavori oggi a Marrakesh, in Marocco, vanta un primato poco invidiabile. Non ci si riferisce al fatto che è il primo incontro globale dopo l’entrata in vigore ufficiale dell’Accordo di Parigi, ma agli enormi e inquietanti conflitti di interessi che lo caratterizzano. Il primato in questione – il classico elefante nella stanza – è la presenza al tavolo negoziale delle lobby delle fossili.

È senza precedenti il coinvolgimento di multinazionali e gruppi di interesse che negli anni hanno strenuamente messo i bastoni tra le ruote all’azione sul clima e garantito finanziamenti ai negazionisti climatici sparsi in tutto il globo. Una presenza davvero paradossale, se si considera che l’unico vero interesse di cui sono portatori è l’estrazione e il consumo della maggior quantità di combustibili fossili possibili.

Il quadro è stato ricostruito da Corporate Accountability International, che ha tracciato le multinazionali del petrolio e le Ong e le fondazioni a loro collegate che hanno accesso ai negoziati sul clima. Tra nomi principali figurano ExxonMobil, Chevron, BP, Shell, Total, BHP Billiton, Peabody, Glencore. Gruppi come la World Coal Association, il Business Council of Australia, Business Europe e Business Roundtable potranno rappresentare i loro interessi grazie allo stato di “osservatori” loro accordato. In tutto una trentina di soggetti cui è stato garantito accesso illimitato alla maggior parte delle discussioni che si terranno a Marrakesh, anche quelle a porte chiuse.

I lobbisti potranno così tentare di influenzare le posizioni di quegli Stati che si riuniscono alla COP22 con l’obiettivo di mettere un freno al consumo di quei prodotti che, però, rappresentano il core business di tutte queste compagnie.

Com’è stato possibile? La partecipazione della lobby fossile è, di fatto, non solo tollerata bensì incoraggiata da alcuni Stati, tra cui gli Stati Uniti, l’Australia e l’Unione Europea. Messi di fronte alla necessità di limitare i conflitti di interesse, questi paesi hanno nascosto sotto il tappeto la questione, adducendo come motivazione la necessità che il summit sia il più “inclusivo” possibile e sostenendo che è troppo complesso dare una definizione chiara e univoca di “conflitto di interesse”. La richiesta, avanzata a maggio durante una riunione della  Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e rimasta lettera morta, proveniva da un gruppo di Stati che rappresentano il 70% della popolazione mondiale.

Autore: Rinnovabili

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