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Ape: verso la liberalizzazione della previdenza

Volendo fare una valutazione pragmatica, spietatamente realistica sul pacchetto relativo alle pensioni contenuto nella legge di bilancio 2017, non si può che guardare con occhio benevolo le misure adottate e che per un biennio almeno assorbirà, ammortizzandole, le spinte per una riforma radicale della legge Fornero. Probabilmente se non ci fosse stato l’ appuntamento elettorale referendario, alcune delle misure inserite avrebbero dovuto attendere ancora qualche anno per vedere la luce e il muso duro dell’Italia nei confronti della Ue non sarebbe stato così categorico.
Il punto nodale del pacchetto pensionistico è la celeberrima Ape Rita e quindi il famoso prestito pensionistico. Io non so chi, da solo o in compagnia, ha avuto quest’idea, ma bisognerebbe conoscerlo, non per metterlo alla gogna, ma per candidarlo ad un premio nobel un premio oscar, pulitzer…  una medaglia insomma. Perché è riuscito ad inventarsi una raffinata operazione economico finanziaria che salva un po’ capra e cavoli: viene incontro al desiderio dei lavoratori di andarsene in pensione prima ( e poi vedremmo quanti saranno in concreto) e quello di non appesantire fino farli scricchiolare ulteriormente, i conti pubblici. Però come ebbi già a dire non molto tempo fa, Il prestito pensionistico cambia il concetto di previdenza che abbiamo costruito dal dopoguerra seguendo il modello inglese di lord Beveridge.
Il ruolo dello Stato, attraverso l’inps si riduce a quello di mediatore fra le parti. Non c’è più il concetto di solidarietà, di scambio generazionale eccetera, l’unico intervento della collettività è quello relativo alla concessione dell’Ape Social. Sono passati i bei tempi nei quali il 30% dell’irpef ante 1990 veniva impegnato nelle pensioni.

Comunque sulla legge di bilancio sono già cominciate le audizioni e grosso modo, pur con qualche critica e distinguo, i soggetti ascoltati sostanzialmente ne condividono l’impianto. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio sostiene che nella riforma delle pensioni vi sono misure prive di disegno organico, l’aumento della 14ª mensilità, l’ape social ed il pensionamento anticipato dei lavoratori precoci sono misure da cui non sembra emergere un disegno organico e non sembrano rispondere a finalità di razionalizzazione e di equità. Però l’UPB riconosce che la riforma inciderà sui trattamenti futuri senza alterare l’impianto generale dell’attuale sistema pensionistico e la sua sostenibilità nel lungo periodo. Questo nonostante che alcuni interventi invece di raggiungere finalità pensionistiche hanno caratteristiche di tipo assistenziale.
Per il presidente della Corte dei Conti Arturo Martucci, il ragionamento è quasi analogo. Ha detto che le misure previdenziali adottate paiono improntate a ragioni di equità sociale accompagnate da una complessiva sostenibilità dei conti pubblici.
Nei commenti di “secondo livello”, quelli della gente comune, il sentire generale si discosta da quello espresso in Parlamento, ma con un tono di pura ritualità. Il governo sta facendo il contrario di quello necessario, l’Ape è un regalo alle Banche ed alle Assicurazioni,  elargisce la 14ª anche a chi non ne ha bisogno, perché non legata all’Isee, non proroga il contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro che scade a fine anno e non rispetta la sentenza della Corte Costituzionale su sblocco della perequazione delle pensione, limitandosi a dare solo un rimborso parziale ai pensionati fino a quattro volte il minimo Inps, eccetera eccetera.
Per quanto riguarda più propriamente la previdenza complementare, è stata completata l’operazione Rita definendo i requisiti di questo nuovo piano di intervento. La Rita, evocando inconsciamente ai pensionati la fascinosa Rita Hayworth, i giovani neppure la conoscono, fa dimenticare per un attimo che solo grazie alle politiche di scoraggiamento delle adesioni messe in atto dal governo, il secondo pilastro pensionistico ha una platea di soli sei milioni e mezzo circa di iscritti, fronte di 24 milioni di lavoratori autonomi e dipendenti.
Possono richiederla tutti i lavoratori, ovviamente iscritti a qualche forma di previdenza complementare, con più di 63 anni di età e 20 anni di contributi.
I lavoratori hanno la possibilità di utilizzare tutto o in parte il capitale accumulato per ottenere una rendita mensile degli anni che mancano alla pensione di vecchiaia. Inoltre è stata confermata l’agevolazione fiscale spettanti sulla rendita ordinaria, applicando la tassazione con imposta a sostitutiva con l’aliquota massima 15% minima. 9%. Poiché da questa tassazione sono esclusi attualmente i ministeriali, non si sa se questo benefit fiscale riguarderà anche i dipendenti pubblici.
Con una previsione ottimistica (molto) nelle sue slide il sottosegretario Nannicini stima che l’Ape volontaria costerà solo tra il 2: e il 5 5%, inferiore a quello che sarebbero state le penalizzazioni ipotizzate dala proposta di legge Damiano –  Baretta sull’anticipo pensionistico, proposta che sembrava, in un primo momento essere la carta vincente. Solo che costava troppo, mentre non costa niente l’Ape volontaria perché è a carico dei richiedenti e qual cosina costa invece l’Ape Sociale. Per i richiedenti con 63 anni di età, ad 83 potranno godersi la pensione piena. Vale la pena ricordare che per una pura coincidenza che 83 anni è la speranza di vita media attuale in Italia
Le perecentuali di richesta sono a libera scelta degli interessati. Si può chiedere tutto o in parte sia dell’Ape che dell’anticipo di Rita.
In sostanza ci avviamo verso la liberalizzazione della previdenza e l’inaugurazione di una selvaggia guerra dei venditori di rendite che vorranno sostituirsi al servizio di sicurezza sociale pubblico, superando la fase di affiancamento e di complementarietà. Un po’ come sta avvenendo per il servizio sanitario con l’esplosione dei fondi sanitari integrativi. Anche in questo caso gli input ci vengono dall’Inghilterra. Già dal 2015 il Governo inglese ha scelto di aprire le porte del prepensionamento già a partire dai 55 anni di età, offrendo ai lavoratore la possibilità di ritirare totalmente il montante previdenziale accumulato con la contribuzione lavorativa. In questo modo, l’esecutivo spera di offrire maggiore libertà ai cittadini e di dare un nuovo slancio ai consumi, visto che molti diretti interessati potrebbero decidere di farsi anticipare il denaro accantonato per la pensione investendolo in attività o più probabilmente in beni di consumo. Ma se questo approccio alla previdenza potrebbe effettivamente aiutare il Pil a sostenere una nuova fase di crescita, i cittadini inglesi possono diventare vittime di scelte d’investimento e di consumo sbagliate, perdendo contemporaneamente sia il capitale previdenziale che il sostegno di welfare pensionistico in età avanzata. Entrando nel merito della riforma, ogni cittadino può chiedere di ritirare il montante previdenziale a 55 anni di età, perdendo il diritto a ricevere nel futuro la propria mensilità pensionistica pubblica. Su quanto accumulato, il 25% risulterà completamente esente da imposte, mentre la parte restante si vedrà applicare l’imposizione fiscale ordinaria (che in media corrisponderà ad un’aliquota del 40%). In questo modo, lo Stato prevede di incassare maggiore gettito fiscale nell’immediato e anche nel medio termine, grazie al fatto che il denaro sarà speso con grande probabilità nell’economia interna inglese. È chiaro però che tale misura apre anche un rischio di sostenibilità per l’ente di previdenza britannico qualora arrivassero troppe richieste di liquidazione in un lasso di tempo troppo breve, ma questo ad oggi non si è verificato perchè pochi hanno chiesto indietro il capitale accumulato. Piuttosto sono oggetti di pressione delle compagnie di assicurazioni che promettono pensioni spropositate se ritirano il capitale dalla previdenza pubblicano e stipulano una polizza con essi. Ma pochi abboccano.

La gente a volte è più saggia dei propri governanti.

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