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Arrival, comprendersi è la sfida più difficile

12 astronavi, ferme nei cieli terrestri come i monoliti di 2001: Odissea Nello Spazio. Enormi e silenziose restano lì, a interrogarci su cosa significhino concetti come alterità, incontro, comunicazione. E dalle risposte che sapranno dare i protagonisti dipenderà eventualmente il futuro stesso dell’umanità. Con queste premesse arriva oggi nelle sale italiane Arrival, uno dei film di fantascienza più interessanti degli ultimi anni.

Scordatevi spade laser, furiosi combattimenti spaziali, velocità di curvatura o alieni che tentano di invadere con violenza il nostro mondo (ed eroi pronti a difenderlo). Il film del canadese Denis Villeneuve – prossimo regista di Blade Runner 2049 – non è niente di tutto questo. Ma se non si tratta del solito blockbuster fantascientifico, sono fuori luogo anche i paragoni con film come Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo o Solaris. La pellicola infatti non vuol riflettere su temi metafisici ma – al contrario – ci interroga su argomenti molto attuali e concreti. Chi è l’altro, cosa vuole davvero da noi e come è possibile comprenderlo nonostante la distanza – spaziale, biologica, culturale e linguistica – che lo separa da noi?

Non a caso la protagonista principale, interpretata da Amy Adams, è una linguista, scelta proprio per “far parlare l’altro”, per comprenderlo, e per interpellare questo altro da sé silente dovrà fare un viaggio anche dentro di sé, perché l’incontro con l’altro è sempre un incontro con sé stessi. Gravata da un lutto familiare, intraprenderà un percorso di rinascita all’interno dell’astronave-monolite, dove tutti i concetti che conosciamo si invertono e si annullano reciprocamente.

Benché l’idea non sia nuova in sé, l’approccio scelto da Villeneuve e dallo sceneggiatore Eric Andrew Heisserer sa essere innovativo nello scartare dal classico cinema antropocentrico in cui tutti gli alieni non sono che variazioni degli esseri umani a cui i protagonisti si rivolgono parlando l’inglese. In Arrival invece l’alterità è talmente irriducibile da arrivare al silenzio che è la distanza più totale. Da qui la protagonista dovrà partire, misurando la propria empatia per la diversità e sforzandosi di trovare nello spazio bianco su cui gli alieni dipingono in nero i propri segni liquidi una possibile convivenza. Cioè, comprensione e accettazione delle differenze e non riduzione a una forzosa uguaglianza.

Autore: Tom’s Hardware

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