Categories: Economia

Austerità espansiva

La maggioranza degli economisti nell’ultimo ventennio ha abbracciato le varie teorie monetariste, formulate nel secolo scorso, per contrastare quei fenomeni di iper-inflazione e disoccupazione che avevano caratterizzato alcuni periodi ben precisi del ‘900.La costruzione europea, imperniata sulla rigidità di parametri ben precisi, con la stabilità dei prezzi fissata intorno al 2% (inflazione target), è stata avvalorata dai dettami del FMI, organo sovranazionale foriero di ricette di austerità e regole per gli Stati che uscivano dal sentiero delle riforme di virtuosità.Tradotto in parole semplici, un cammino verso un minimalismo dell’intervento degli Stati nel governo dell’economia, con un’apertura sempre maggiore al libero scambio e liberi mercati.Il paradigma odierno all’interno dell’Unione Europea si verifica sul piano delle diverse situazioni economiche dei paesi componenti:i paesi del nord, come la Germania e l’Olanda, che presentano dati di deficit e debito in linea con i trattati, e tutti gli altri paesi che arrancano alla rincorsa di ricette e formule che garantiscano crescita e conti pubblici in risanamento.A garantire il rispetto delle regole, la figura del Banchiere Centrale, attualmente rappresentato dall’italiano Mario Draghi, come deus ex machina del difficile ingranaggio della somma delle economie dei vari paesi.Le pressioni continue da parte dei paesi del nord, che iniziano a presentare dei dati dell’inflazione in linea con il target fissato del 2%, sono dettate dal timore continuo dei paesi fortemente esportatori, di perdere quel vantaggio competitivo che l’incremento dei prezzi porterebbe in caso di continua divergenza tra i prezzi alla produzione nei vari paesi.Da qui le pressioni sul governatore centrale, affinché interrompa il QE (allentamento monetario), per riportare tassi di interesse e inflazione in una condizione di neutralità.Poco importa ai paesi in questione riconoscere il merito degli interventi della Bce, che hanno di fatto garantito la tenuta dell’euro e dei debiti sovrani nei momenti più difficili, come nel novembre 2011 con la crisi degli spread.Poco importa il ringraziare la svalutazione dell’euro come effetto apparentemente secondario, che ha consentito anche ai paesi in difficoltà di incrementare le esportazioni e riequilibrare i dissestati conti con l’estero.La critica dei virtuosi è sempre zelante nei confronti dei paesi che, in mancanza di serietà, non hanno intrapreso le riforme necessarie per allinearsi alle economie più efficienti.Poco importa che l’attuale costruzione europea ha creato la più grande crisi di crescita e occupazione dal dopoguerra a oggi.Mentre il ministro Padoan arriverà alla Santa Pasqua racimolando 3,4 miliardi di euro, in risposta alla procedura di infrazione per eccessivo deficit attribuito all’Italia, voci sempre più autorevoli mostrano le cause e gli effetti di politiche dissennate e prive di alcuna logica economica.Nell’attuale situazione, un’eventuale crisi finanziaria, come quella del 2008, sarebbe devastante in un quadro europeo così depresso e frazionato.Nella tabella possiamo vedere come, al presentarsi di uno shock esogeno, come la recessione americana, due economie differenti, come la Francia e la Germania, abbiano risposto diversamente, a distanza di pochi anni.Nel ‘91, alla mancata domanda di beni e merci, arrivata da oltreoceano, le due economie hanno risposto in maniera simmetrica, con un andamento simile dell’occupazione.Nell’ultima crisi del 2008 i dati divergono completamente: in Francia, il tasso di disoccupazione esplode, mentre in Germania arriva al minimo del periodo.E’ semplice desumere che, mentre nei primi anni ‘90 la flessibilità delle rispettive monete ha assorbito gli shock esterni, nell’ultima crisi, l’aver adottato l’euro ha scaricato sul paese più debole l’onere del prezzo.Le riforme volte all’“austerità espansiva”, come il “jobs act” o la “loi travail”, sono solo tentativi di competere sul livello del prezzo, mettendo ogni paese nella strada del mercantilismo.Ma c’è chi, l’euro, lo chiama soltanto una moneta.

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