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Come proteggere il vostro portafoglio obbligazionario PARTE 2

In un post precedente abbiamo visto in che modo il rialzo dei tassi può incidere su un portafoglio obbligazionario, determinando delle perdite.

Cerchiamo di capire come dovrebbero essere gestiti i portafogli obbligazionari in un ambiente di tassi in rialzo, come quello che si sta manifestando da qualche mese.

Faccio una breve premessa: il miglior modo per gestire il rialzo dei tassi è sempre quello della diversificazione, considerando nei portafogli anche asset reali e azioni. Questo perché se è vero che l’aumento dei tassi dipende dal miglioramento dell’inflazione, è altrettanto vero che l’inflazione dipende dal miglioramento dell’attività economica. Di conseguenza, il rafforzamento della crescita economica incide sugli utili delle imprese e quindi anche sui prezzi delle azioni. Ciò che è avvenuto sui mercati negli ultimi mesi ne costituisce l’evidenza.  Fatta questa doverosa e scontata precisazione, cerchiamo ora di comprendere in che modo i portafogli obbligazionari possono affrontare un ambiente di tassi in salita (o per lo meno attesi in questa direzione). A tal riguardo si suggerisce di leggere la prima parte dell’analisi che trovate QUI

La prima cosa da fare è ridurre la duration del portafoglio. Come abbiamo detto nel post precedente, i titoli a tasso fisso con scadenze lunghe sono molto più sensibili alla variazione dei tassi, rispetto alle scadenze brevi.
Esemplificando in maniera brutale, ecco cosa è avvenuto a due titoli di stato negli ultimi mesi: uno ha scadenza 2018 e l’altro 2026.

Quindi, accorciare la duration è la prima cosa da fare. La logica di questa semplice strategia è quella che, avendo in portafoglio scadenze brevi (e quindi con scarsa sensibilità all’aumento dei tassi), via via che i tassi saliranno, le obbligazioni che giungeranno a scadenza potranno essere reinvestite in altri titoli con tassi superiori e quindi allungare, di volta in volta, la duration al fine di cogliere rendimenti sempre più alti. Tuttavia, nel contesto dell’Eurozona, a questa semplice strategia (cioè duration brevi)si oppone il problema dei tassi negativi presenti sui mercati, che restituiscono quindi un rendimento negativo che andrebbe comunque evitato (ne parleremo a breve).

Se la via delle scadenze brevi (almeno sui titoli di stato, ma anche in moltissime emissione corporate) non è possibile percorrerla per via dei tassi negativi, una possibilità è data dall’inserimento di scadenza più lunghe, ma a tasso variabile con cedole trimestrali (sia ben chiaro: non è alternativa alla strategia precedente, ma complementare).

Il mondo dei titoli a tasso variabile è assai vasto e la caratteristica comune a questo tipo di emissioni è quella di avere cedole che variano durate la vita del titolo in ragione al tipo e alla metodologia di indicizzazione, ai tassi o  all’inflazione (nel caso di titoli indicizzati all’inflazione), solo per citare alcuni esempi. Motivo per cui, il flusso cedolare, che varia in ragione alla dinamica dei tassi, di volta in volta si adeguerà alle variazioni che interverranno sul parametro di indicizzazione (es Euribor a 3 o 6 mesi). Tuttavia, nel contesto dell’Eurozona, dato che il tasso Euribor è anch’esso ferocemente negativo, la conseguenza è quella che l’indicizzazione a tale parametro eroderà il rendimento offerto dallo spread. Questo fino a quando l’Euribor non tornerà positivo. A tal proposito, giova segnalare che il Consiglio Direttivo della Bce, nei consueti comunicati che seguono le decisioni di politica monetaria, non perde occasione di evidenziare che il Consiglio direttivo continua ad attendersi che i tassi di interesse di riferimento della BCE si mantengano su livelli pari o inferiori a quelli attuali per un prolungato periodo di tempo e ben oltre l’orizzonte degli acquisti netti di attività”.

Dato che l’Euribor riflette anche la politica monetaria della banca centrale, le speranze per una rapida risalita sembrano abbastanza deboli.

 

Tuttavia, come riporta Bloomberg, sembrerebbe che la Bce stia discutendo sull’eventualità di rialzare i tassi pur in presenza del QE

 

Cosa che avevo ipotizzato due mesi fa su Twitter, in risposta ad un commento di Alberto Bagnai:

Sebbene negli ultimi mesi si sia assistito ad un aumento dei rendimenti, nel contesto dell’eurozona questo movimento ha riguardato principalmente le scadenze più lunghe.

Pertanto, almeno allo stato attuale, permane il problema di gestire le scadenze brevi senza incorrere nel rischio di rendimenti negativi.

Dato che la curva dei rendimenti in Usa è più alta rispetto all’Eurozona (a causa delle divergenti politiche monetarie), è evidente che l’obbligazionario Usa offra maggiori occasioni i profitto rispetto all’eurozona. Tuttavia, dato che le attese sono per un aumento dei tassi anche negli Usa, anche per questa area vale quanto detto in precedenza per l’Eurozona a proposito della brevi scadenze  e delle obbligazioni a tasso variabile.
Ma in questo caso c’è un ulteriore elemento da considerare: il rischio cambio.Sono note a tutti le dinamiche del cambio euro/usd degli ultimi anni, e di certo non sto qui a fare previsioni sulla dinamica futura del cambio. A tal riguardo, negli ultimi giorni ho pubblicato un post contenente un grafico che dimostra la correlazione tra il cambio e lo spread tra i titoli Usa e quelli tedeschi: Leggetelo QUI, osservate il grafico e fate qualche considerazione aggiuntiva.

Quindi, a mio avviso, se si vuole investire in asset obbligazionari dell’area dollaro, andrebbe fatto osservando quanto segue:
– Scadenze brevi
– tasso variabile
– copertura rischio cambio (al netto della fisiologica diversificazione valutaria presente comunque in portafoglio).

Il fatto è che la copertura dal rischio cambio presuppone dei costi che variano in ragione del differenziale dei tassi. Per cui, più ampio risulterà il differenziale dei tassi tanto maggiore risulterà il costo della copertura. Questo implica che se si vuole investire nei titoli di stato Usa (merito creditizio AAA) a breve scadenza, il rendimento offerto verrà completamente eroso dal costo della copertura e anche in questo caso il risultato sarà negativo.
Tuttavia, negli Usa è possibile esporsi su obbligazioni corporate (a breve scadenza e tasso variabile) di elevato merito creditizio,  e dato che offrono maggiori rendimenti rispetto ai titoli di stato, c’è spazio per gestire i costi di copertura del rischio cambio.

E’ il caso, ad esempio, dell’ETF XXXXXX  che investe in obbligazioni corporate a tasso variabile. Questo Etf, investendo in obbligazioni  in dollari  con merito creditizio mediamente superiore ad A (nell’Etf sono presenti 87 titoli di 11 differenti paesi, l’Italia non c’è), è praticamente insensibile all’aumento dei tassi. L’Etf esiste sia nella versione a cambio aperto che a cambio coperto. Il rendimento offerto dai titoli sottostanti lascia ampi margini per sostenere i costi di copertura del rischio cambio, e il rendimento a scadenza è decisamente superiore a quello che si otterrebbe con strumenti analoghi che investono in emissioni obbligazionarie in euro. Ottima è la liquidità dello strumento e le masse attive sono in rapida ascesa (hanno superato i 2.2 miliardi di euro).

Ovviamente un portafoglio obbligazionario deputato ad affrontare il rialzo dei tassi, non può essere composto da un solo strumento, per quanto importante e diversificato sia. Ecco quindi che è comunque necessario inserire nel portafoglio altre asset class obbligazionarie in grado di generare rendimenti, ma con un elevata stabilità in termini di bassa volatilità. Di conseguenza si rendono necessarie strategie che consentano di estrarre rendimenti, abbattendo (fino ad azzerare) la duration del portafoglio al fine di renderlo insensibile all’aumento dei tassi.

Per ottenere questo ci si può esporre alle scadenze obbligazionarie più lunghe rispetto a quelle brevi (dove è possibile estrarre rendimento) e, al tempo stesso, shortare le scadenze lunghe. In questo modo lo short sui titoli a lunga scadenza consentirà di azzerare la duration del portafoglio, rendendolo il portafoglio praticamente immune all’aumento dei tassi. Ovviamente questa strategia, oltre a presupporre una gestione più attenta e dinamica del portafoglio, implica il fatto che una parte dei capitali dovranno essere impegnati per le operazioni di copertura della duration).

Nel marcato, già da tempo, si sono affacciati strumenti (preconfezionati) che assolvono a questa funzione. E’ il caso, ad esempio, dell’Etf xxxxxxx che mira a replicare il più fedelmente possibile l’andamento di un indice composto da obbligazioni societarie di qualità investment grade denominate in euro, con attenuazione del rischio del tasso di interesse. In pratica l’ETF va lungo su obbligazioni societarie investent grade e va corto sui titoli di stato a lunga scadenza. Vi dico subito che al sottoscritto affascina questo tipo di strumento,  dato che  la copertura dovrebbe essere effettuata tenendo conto della diversa tipologia di asset class obbligazionarie presenti in portafoglio, delle correlazioni (e decorrelazioni) esistenti, in modo da poter ottimizzare ed efficientare tutto il portafoglio in relazione alle diverse situazioni di mercato.
Infatti, la reazione dell’Etf all’aumento dei tassi non appare delle più convincenti.
Come dovrebbe comportarsi un portafoglio ben gestito e ottimizzato in un ambiente di rendimenti in aumento?
Più o meno cosi:

Trattasi di un portafoglio totalmente obbligazionario, decisamente prudente, gestito nell’ottica total return, che ha come  compito naturale quello di affrontare l’aumento dei tassi, mantenendo elevata la qualità del credito. Queste sono le caratteristiche:
– 37 posizioni  tra titoli, Etf,  fondi.
– Qualità media del credito superiore ad A.
– Volatilità ex ante bassissima: 0.83.
– Max Drawdown: -0.68.
– Recovery time gg 17.

Il grafico parte dall’1/1/2016, e ho voluto  sintetizzarvi la rappresentazione in modo da cogliere la dinamica del portafoglio in tutti gli scenari che si sono verificati a partire dal quella data, compreso il pesante sell-off sulle sui mercati nel gennaio dello scorso anno. Il quella occasione il massimo drawdown del portafoglio fu di appena lo 0.68% e il recovery time di appena 17 giorni. Andando avanti, il portafoglio è stato immune a tutti gli eventi che si sono succeduti e sta rispondendo benissimo all’aumento dei tassi, che è il suo fine principale.
Il tema della protezione del portafoglio in un ambiente di tassi in salita, verrà ulteriormente approfondito con un ulteriore post che sarà pubblicato nei prossimi giorni.

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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