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Mad Max, chi è l’Uomo dopo l’Apocalisse

Mad Max, chi è l’Uomo dopo l’Apocalisse

Non sembra tanto difficile costruire un universo narrativo post-apocalittico. La fine del mondo si aggira indisturbata nell’immaginario perché è un contesto ben radicato in paure ataviche e universali. Con sfumature sovrannaturali o tecnofobiche, il gioco della sopravvivenza è ormai un meccanismo ben rodato. Lo dimostrano, ancora oggi, serial di successo come The Walking Dead.

A partire più o meno da La notte dei morti viventi (1968) in poi i meccanismi della fantascienza distopica e del fantastico survivalista hanno cominciato piantare le tende. Ma il primo a utilizzare le cronache del dopo-bomba per costruire una vera e propria casa dotata di solide fondamenta e mura tostissime è stato il cineasta australiano di origini greche George Miller (nome d’arte di Goerge Miliotis) con la sua saga di Mad Max.

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Interceptor

Interceptor (Mad Max è il titolo originale) è il primo episodio che nel 1979 ha lanciato la carriera del suo regista e del suo giovane attore protagonista Mel Gibson. È la storia di Max Rockatansky ex-poliziotto che combatte bande di stupratori e sciacalli in un mondo in cui solo i folli possono vivere senza sensi di colpa.

In questa prima pellicola George Miller pone una forte enfasi sulla violenza nelle strade. Sembra quasi paradossale cercare di drammatizzare vendette e incidenti stradali in un contesto così fortemente segnato dalla morte e dalle catastrofi ecologiche. Eppure nelle tante riprese in soggettiva, sempre pronte a catturare il punto di vista di un guidatore, Miller riesce a far intuire il senso barbarico e folle di un mondo nuovo basato sull’aggressività meccanica e su schemi di violenza che ricordano uno strano incrocio tra western e medioevo.

Quando crollano civiltà e ordine costituito non vince chi riesce a costruire comunità pacifiche o a coltivare la terra con successo; vince chi riesce ad appropriarsi delle ultime armi da fuoco rimaste, chi riesce a procurarsi della benzina, chi riesce a spostarsi velocemente su mezzi blindati. Duelli tra auto e moto su strade deserte e polverose illustrano la vita quotidiana in quello che cinicamente quasi tutti noi definiremmo un credibile post-apocalisse. Cowboy che si confrontano in showdown meccanici.

Giostranti medievali che incrociano le loro traiettorie definendo codici sempre nuovi di (dis)onore.Su tutto, in sottofondo, riecheggia l’ultraviolenza post-modernista e nichilista di Arancia Meccanica. I duelli e gli inseguimenti costituiscono il motore action del film e hanno un forte debito nei confronti di Duel (1971, Steven Spielberg) e (curiosa ammissione dello stesso regista) Come vinsi la guerra (The General, 1926, di Buster Keaton).

Due sequel

Il Guerriero della Strada

Fu Il guerriero della strada (il secondo capitolo della saga) a decretare il successo planetario di Mad Max. Nel 1982, con un budget più solido rispetto al primo film, la Warner scommise sul lancio in USA cancellando quasi ogni riferimento al fatto che si trattasse di un sequel. Il titolo originale fu infatti The Road Warrior.

In questo film George Miller sposta un po’ l’attenzione dai mezzi di trasporto alle dinamiche di gruppo. Resta intatto il fascino delle scene d’azione che anzi sono più ricche in termini di stuntman e cura per il look. Pregevole la caratterizzazione di personaggi e dinamiche tribali con brutalità visiva e costumi che ricordano copertine di dischi punk o heavy metal. Le polveri del tempo e delle deflagrazioni nucleari hanno seppellito le istituzioni, facendo emergere subculture insospettabili e nuove mitologie.

Raccordi di montaggio bruschi, dettagli strettissimi, rituali tribali: pochi istanti per catturare essenze, storie, emozioni. Un flusso audiovisivo che ti impregna anche a distanza di tempo diventando cult perché c’è una guida sicura che capisce cosa inquadrare, perché e per quanto tempo. Il rischio insito nel giocare con azione e ultraviolenza potrebbero far naufragare film come questo in un mare di noia e ripetitività, lasciando le diverse scene sciolte come collane di perle prive di filo.

Il film riesce a definire un ritmo ma anche una visione: un’ottica nichilista che getta uno sguardo impietoso sul genere umano dopo l’apocalisse ecologica: c’è qualcosa di insano e folle nel fatto che l’uomo continui a mantenersi in vita nonostante l’evidente inclinazione violenta e autodistruttiva di tutto ciò che costruisce, dalle tecnologie alle organizzazioni sociali.

Oltre la sfera del tuono

Nel 1985 Mel Gibson e George Miller tornano sulle avventure di Mad Max. Con Mad Max – Oltre la sfera del tuono (Mad Max – Beyond Thunderdome) il cineasta alza il tiro delle ambizioni politologiche e antropologiche. Resta la visione di un futuro desolante, rendendo ancora più decisa la presenza del deserto: un nulla infertile popolato da reietti, storpi e pazzi. Un nulla che avvolge tutto e in cui non si può andare da nessuna parte.

La Bartertown governata da Aunty (Tina Turner) è dunque un faro nella notte del nulla. L’insediamento è il primo prototipo di città risorta dalle ceneri dell’apocalisse che cerca una sua strada verso la normalità. Il metano ricavato dagli escrementi dei maiali segna un ritorno alla tecnologia per innescare un nuovo ciclo di sviluppo.

Fanno la loro parte anche le sfide all’ultimo sangue disputate nella “Sfera del tuono”: costituiscono il tentativo di incanalare la violenza nei codici di nuove forme di intrattenimento. Quella di George Miller è la visione provocatoria e distopica di una democrazia che è tutt’uno con la società dello spettacolo.

I pilastri di una società semi-civile, sono spogliati di orpelli, e sbattuti in faccia nella loro crudezza. I nuovi gladiatori sono, al pari dei ragazzi selvaggi alla ricerca della Città del Domani Domani, figli dell’apocalisse che cercano di dare un senso ad un mondo ereditato. Intuiscono l’importanza di quello che c’era prima e, pur non avendolo mai vissuto, provano a ricodificarlo. Il sangue che scorre nel Thunderdome e i racconti nel teatrino di Savannah sono due facce delle stessa medaglia.

Ma la tribù dei bambini in viaggio verso l’isola che non c’è porta con sé un interessante seme di speranza: danno valore alle storie, alle narrazioni, alla parola. Vivono fantasticando un passato non vissuto che sembra un miraggio o qualcosa di molto simile alla nostra fantascienza. Un tempo caratterizzato da intrattenimento e benessere.

Questa fascinazione, questo desiderio costituisce un fondamentale salto evolutivo in un mondo fatto di azione. Chi è debole è schiavo: cos’altro c’è da dire? In generale la parsimonia linguistica delle avventure di Mad Max è un significativo contraltare all’orgia di azione e sopraffazione. Al punto che il crollo della civiltà non viene mai descritto. Non sappiamo cos’è accaduto, quale catastrofe, quale apocalisse; non serve raccontare, non serve spiegarci come funzionano le radiazioni e perché nascono uomini sterili e deformi.

Solo la violenza punk conta in questo microcosmo che è la definizione di un vero e proprio standard narrativo ponendosi continuamente dentro e fuori il cerchio di genere fantascientifico o western. Da Thunderdome in poi tutti i film post-apocalittici si sono dovuti misurare con le intuizioni di George Miller. Il problema non è più tanto rendere credibile l’apocalisse, quanto renderla interessante e non noiosa rispetto ai fasti del cinema passato.

Esiste anche, naturalmente, Mad Max Fury Road. Un lungometraggio con cui Miller torna alla sua creatura con un film dai molti meriti. Ci limitiamo a citarlo in Retrocult, perché è ancora troppo recente. 

Valerio Pellegrini è docente di Organizzazione d’impresa in rete presso il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università di Napoli Federico II. Consulente alla comunicazione digitale e audiovisiva. Si occupa di interaction design, mediologia e innovazione digitale nelle imprese.   Il suo sito è www.valeriopellegrini.it

Retrocult è la rubrica di Tom’s Hardware dedicata alla Fantascienza e al Fantastico del passato. C’è un’opera precedente al 2010 che vorresti vedere in questa serie di articoli? Faccelo sapere nei commenti oppure scrivi a retrocult@tomshw.it.

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Autore: Valerio Pellegrini Tom’s Hardware

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