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Rottamazione, una “vigna” per le case automobilistiche

Le auto sono progettate per raggiungere una percorrenza di almeno 250.000 chilometri, un limite che consentirebbe di ammortizzare il loro elevato “costo energetico”. Tuttavia quella media annua, per esempio in Italia, è stata nel 2015 di appena 11.000 km. Con quali danni in termini di emissioni di CO2?

Nel 1966 il signor Irvin Gordon di Anchorage, in Alaska, aveva acquistato un’auto da 1.770 cc di cilindrata, quindi piccola per un cittadino statunitense, e guidandola ogni giorno per 47 anni, a settembre del 2013 le aveva fatto percorrere quasi 5 milioni di km, per la precisione,4.890.980 cioè 12,7 volte la distanza dalla Terra alla Luna.

Quell’auto, sia onore al merito, è una Volvo, ma è noto che Mercedes prevede per i suoi clienti una scala di premi al raggiungimento dei 250.000, 500.000, 750.000, 1.000.000  e 1.610.000 km, e che tutte le auto di tutte le Case sono progettate e prodotte per raggiungere una percorrenza di almeno 250.000 chilometri.

Nonostante tali attestati sulla possibile durata di un’auto, molti automobilisti europei sono costretti a sostituire ogni pochi anni la loro, anche se con pochi chilometri e in buono stato, con un’altra nuova, che poi dovranno sostituire di nuovo dopo pochi anni, anche se in buono stato e con pochi chilometri percorsi.

Ciò accade dal 1992, con l’entrata in vigore della prima direttiva CEE sulle emissioni dei veicoli a motore, nei Paesi che, come l’Italia, hanno scelto di dare esecuzione a quella direttiva (*), e alle successive, non soltanto obbligando le Case a produrre o importare, da una certa data, solo veicoli meno inquinanti di quelli prodotti o importati in precedenza, ma anche forzando i cittadini ad acquistarli, se per qualunque motivo essi devono poter circolare sempre, con limitazioni “ambientali” del traffico dalle quali esentano solo le più recenti.

Una “scelta” che si fa sospettare frutto di lobbying. Una scelta oltretutto controproducente. Perché non ha ridotto l’inquinamento, che è anzi aumentato, e perché la grossa “vigna” che ci hanno potuto piantare le industria del settore, oltre a pesare sui bilanci delle famiglie causa un enorme spreco di energia, nuocendo così proprio a quell’ambiente che le Direttive UE vorrebbero proteggere.

Il 66% dell’elettricità mondiale, infatti, è ancora costituito da fonti fossili, e per il 39% dall’inquinantissimo carbone.

La sua produzione fa perciò emettere molta CO2, nonchè particolato, CO, SOx, NOx, cioè gli stessi inquinanti per i quali si criminalizzano i motori diesel.

Come accennato, la percorrenza minima programmata per tutte le auto è di 250.000 km. Ed è quindi al raggiungimento di almeno quel traguardo che il loro “costo energetico” può dirsi ammortizzato.

Ma la percorrenza media annua delle auto, per esempio quelle acquistate in Italia, è stata nel 2015 di soli 11.000 km e di 12-13.000 km nel decennio precedente. Per cui la maggioranza di quelle rottamate per “ragioni ambientali” ha impiegato (o avrebbe impiegato ) circa 10 anni per ammortizzare appena la metà di quel costo.

La rottamazione sostitutiva di un’auto con meno di 250.000 km comporta quindi:

  1. lo spreco della quota del suo costo energetico non ancora ammortizzata;
  2. l’anticipata “spesa” del costo energetico della rottamazione, non grande, ma nemmeno trascurabile;
  3. l’anticipata “spesa” dell’ingente costo energetico dell’auto sostitutiva.

La misura del danno climatico così prodotto deve quindi partire dal costo energetico medio di una auto che secondo Wikipedia è di circa 30.000 kWh (pari a 10 anni di consumi elettrici di una famiglia media).

Perciò, poiché in Europa si vendono auto prodotte in tutto il mondo e poiché la media mondiale di CO2 emessa per ogni kWh prodotto è stata, per esempio nel 2014, di 518 grammi si può affermare che produrne una in quell’anno ha causato l’emissione di:

30.000 x 518 = 15.540.000 grammi = 15,54 tonnellate di CO2

pertanto, le 13.006.451 vendute nel 2014 in Europa, spesso per sostituirne altre rottamate, ne ha fatto emettere:

13.006.451×15,54 = 202.120.248 tonnellate circa di CO2

L’idea poi che quella scelta avrebbe fatto diminuire l’inquinamento urbano poteva essere plausibile, ma solo fino al 1999, anno in cui il prof. Hans Peter Lenz, dell’Università di Vienna, pubblicò i risultati di accurate ricerche, fatte da lui e dal suo staff in Germania e in Austria, nel libro “Emissions and Air Quality”.

Lo studio aveva infatti rivelato che i veicoli a motore termico non sono la principale fonte di inquinamento: la maggior parte proviene non tanto dai motori bensì dal sollevamento da terra di particolato e inquinanti grazie al loro passaggio.

Peccato che quel libro e il suo illustre autore siano stati ignorati dalla “grande informazione”, oltre che da quella del settore motoristico, con la sola eccezione, in Italia, del mensile “Auto” che nel 2006 ha pubblicato un articolo dell’ing. Enrico De Vita, relativo a quel libro, nel quale si potevano vedere questi due grafici a torta sulle fonti generali e locali degli inquinanti.

Vi si affermava:Due cose sono chiarissime: primo, il 9% del 26%, attribuito ai gas di scarico delle auto nel traffico locale, equivale al 2,5% del totale; come dire che quando in certe aree si proibisce la circolazione di tutte le auto (a benzina, a gasolio, Euro 0 oppure Euro 5), si riducono le polveri emesse della stessa percentuale; secondo, quando si introducono norme più severe per gli scarichi delle nuove vetture, si interviene su una frazione infinitesimale di quel 2,5%, ma non si modifica in alcun modo quella ben più grande prodotta e sollevata dai pneumatici (che nel traffico locale vale 3 volte di più)”.

Il fatto che i picchi di inquinamento urbano si verifichino sempre e solo d’inverno avrebbe dovuto suggerire fin da principio, ai decisori dei rimedi da adottare, di tenere particolarmente d’occhio i riscaldamenti, che d’estate non ci sono, mentre di auto ne circolano forse anche di più.

Ci ha pensato l’ing. Dario Faccini con tre lunghi articoli, scritti in base a dati ufficiali, pubblicati nel 2015-2016 sul sito web di ASPO Italia, associazione di sicura fede ambientalista, e che l’autore raccomandava di leggere “bevendo molta, molta camomilla” ( … ).

Vi risulta infatti, in breve, che le diminuzioni di potere inquinante dei veicoli termici, ottenute dal 1992 in poi anche grazie alle Direttive UE, sono state largamente vanificate dai riscaldamenti a biomasse (legna e pellet); i quali, a partire dal 2003, sono dilagati a valanga in sostituzione di quelli ad altri combustibili, ma si sono rivelati più inquinanti su scala locale di gasolio e GPL e soprattutto del metano: “In autunno e in inverno, quando le condizioni meteo impediscono la dispersione degli inquinanti, a Milano le biomasse, il traffico e il particolato di origine secondaria contribuiscono ciascuno per circa un terzo alle PM2,5 presenti nell’aria, con un peso leggermente maggiore da parte delle biomasse”, scrive Faccini.

Il lato comico della cosa  – se si potesse riderne – è che lo Stato italiano ha incentivato, anche con soldi pubblici, la rottamazione sostitutiva delle auto considerate “sporche” e ha incentivato anche i riscaldamenti a biomasse perché tale fonte è rinnovabile (ma non per questo “pulita” ).

Quegli articoli hanno avuto oltre 50.000 accessi da internauti, ma dalla “grande informazione” e da quella specializzata hanno avuto lo stesso rilievo dato, quattro anni prima, al libro di Hans Peter Lenz (non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere).

Nella migliore delle ipotesi, il motivo potrebbe essere ricercato nel timore di perdere la forsennata quanto succulenta pubblicità alle auto, arrivata ormai a superare per intensità e frequenza quella dei più comuni prodotti di uso quotidiano.

Quanto poi al motivo di tale campagna pubblicitaria, scatenata anche dalle Case più illustri, lo credo connesso ai “piazzali dei concessionari”, spesso strapieni di auto invendute che si possono vedere nei dintorni delle città (a causa di programmi produttivi troppo presuntuosi?).

L’articolo è stato pubblicato sul blog di Ugo Bardi

Autore: redazione QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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