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clima sta cambiando, ma non le politiche per il territorio e le nostre città

Dopo l’ultimo drammatico fenomeno meteorologico, quello di Livorno, WWF e Legambiente spiegano che mentre il clima sta cambiando, le politiche urbanistiche e per l’adattamento ai mutamenti climatici restano marginali. I danni in Italia, i costi e cosa si dovrebbe fare subito.

Com’era prevedibile dopo un duro e lungo periodo di siccità in Italia, le prime piogge hanno prodotto frane e alluvioni, e morti.

I cambiamenti climatici causano eventi metereologici estremi che combinati con l’insipienza della politica e con l’avidità dei costruttori portano a situazioni drammatiche; ultima in ordine di tempo quello di Livorno, accaduta tra sabato e domenica.

Dove il cemento l’ha fatta da padrone e un’attenta pianificazione urbanistica di lungo periodo è completamente mancata si verificano i fenomeni più gravi in termini di vite e di costi economici. Le città sono il simbolo di questa irrazionalità culturale e sono le prime a soffrirne.

WWF e Legambiente spiegano oggi che il clima sta cambiando, ma non la politica e le strategie. Temi che non sono ancora al centro dell’agenda delle istituzioni.

Il WWF Italia ha chiesto al Parlamento una sessione urgente e straordinaria sulle azioni messe in campo sull’adattamento ai cambiamenti climatici e sulla decarbonizzazione.

Per l’associazione ambientalista finora si è andato avanti “sperando” che non succedesse nulla. Ma –  spiega il WWF nella sua nota – l’emergenza climatica ci impone di agire subito, superando i rimpalli tra istituzioni locali, quelle regionali e quelle nazionali: è indispensabile un cambiamento di mentalità e una gigantesca opera di risanamento, riparazione, messa in sicurezza, riprogettazione.

“Occorre adeguare tutti gli insediamenti e le attività umane alla nuova realtà, soprattutto occorre una gigantesca opera di prevenzione, assumendo l’importanza della funzionalità dei sistemi naturali e una accorta ed equa gestione delle risorse naturali (a cominciare dall’acqua) per garantirci la sicurezza e la vitalità del territorio e la disponibilità (equa) delle risorse”, si legge nel comunicato dell’associazione.

Si ricorda che sono in corso due consultazioni su altrettanti importanti documenti: il piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico e la Strategia Energetica Nazionale.

La redazione finale dei due documenti – dice l’associazione – deve diventare un’occasione di coinvolgimento in uno sforzo comune per decarbonizzare l’energia (e l’economia) e per essere resilienti al clima che sta già cambiando più velocemente di quanto avessero previsto gli scienziati e sicuramente molto, ma molto più velocemente di noi.

Anche per Legambiente è urgente l’approvazione del Piano nazionale di adattamento al clima, con l’obiettivo di indicare risorse e obiettivi chiari, che sia in grado di dare priorità alla messa in sicurezza delle città più a rischio, e che faccia da riferimento per le politiche di intervento dei prossimi anni: soprattutto con l’elaborazione di Piani Clima delle città e il rafforzamento del monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici, con specifica attenzione alle aree urbane..

Oltre a sapere gestire l’emergenza e le allerta meteo, occorre prevenire.

Sebbene le precipitazioni che si sono abbattute nel livornese siano state eccezionali (circa 250 mm), le responsabilità umane riguardano la gestione del territorio e dei fiumi, oltre che i cambiamenti climatici: il rio Ardenza è un canalone che nell’ultimo tratto corre al mare tra due stretti argini attraversando il centro abitato e con case, capannoni e manufatti di ogni tipo a ridosso del fiume. Un disastro urbanistico.

Consumiamo suolo al ritmo di 35 ettari al giorno e tra 2012 e il 2015 in Toscana, entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali, ne è stato consumato un ulteriore 7,2%; proprio in quelle aree a maggior rischio idrogeologico. Si è irresponsabilmente continuato a costruire in aree pericolose.

In Italia la percentuale di suolo consumato all’interno delle aree a pericolosità idraulica elevata è del 7,3%, mentre è del 10,5 % nelle aree a pericolosità media, lasciando così oltre 7,7 milioni di italiani a rischio. (Ispra, 2016), continua il Wwf Italia.

Per il WWF scontiamo, tra l’altro, il notevole ritardo nell’applicazione delle importanti direttive europee “Acque” (2000/60/CE) e “Alluvioni” (2007/60/CE), la notevole confusione istituzionale con troppi soggetti nazionali e non che si occupano a più livelli di difesa del suolo senza una chiara regia a livello di bacino idrografico come, peraltro, previsto dalle normative europee.

Inoltre, mancano i soldi per prevenzione e pianificazione: ne spendiamo tanti solo a fronte di emergenze. Per far fronte al dissesto idrogeologico è stato stimato un fabbisogno di 44 miliardi di euro, molti ma nemmeno poi così tanti se confrontati ai circa 175 di miliardi di euro spesi negli ultimi 50 anni soprattutto in emergenze, con una media di 3,5 miliardi di spesa all’anno.

Secondo Legambiente, di fronte ad un costo accertato per i danni di circa 7,6 miliardi di euro, lo Stato ha risposto stanziando circa il 10% di quanto necessario, 738 milioni di euro, ed erogandone fino ad oggi circa 618milioni.

Oltre 1,1 miliardi di euro di danni in Campania, 800 milioni in Emilia Romagna e Abruzzo, 700 milioni in Toscana, oltre 600 milioni in Liguria e nelle Marche. Cifre che riguardano sia il patrimonio pubblico e privato che le attività produttive.

Serve attuare un vasto programma di riqualificazione ambientale per il recupero dei servizi ecosistemici, attraverso la rimozione di opere di difesa obsolete, il ripristino di aree di esondazione naturale, il recupero della capacità di ritenzione del territorio, garantendo cura e manutenzione costanti del territorio, fondamentali per una corretta azione di prevenzione ambientale, conclude il WWF Italia.

Legambiente chiede di stabilire una regia unica per gli interventi sulla costa; introdurre il tema dell’adattamento nella progettazione, valutazione e gestione delle infrastrutture; approvare delle Linee Guida per l’utilizzo di materiali che riducono l’impatto dei cambiamenti climatici all’interno dei quartieri. Approvare dei piani di monitoraggio e tutela degli ecosistemi più delicati rispetto ai cambiamenti climatici nel territorio italiano.

I dati raccolti nel dossier di Legambiente “Le città alla sfida del clima” mostrano come in questi anni siano cresciuti gli impatti e i morti dovuti al maltempo e come sia sempre più evidente che le città non possano essere lasciate da sole a fronteggiarne questi impatti.

Dal 2010 alla fine di agosto (escludendo quindi gli ultimi tragici eventi) sono 126 i Comuni italiani dove si sono registrati impatti rilevanti con 242 fenomeni meteorologici che hanno colpito l’Italia, provocato danni al territorio e causati impatti diretti e indiretti sulla salute dei cittadini.

In particolare, ricorda Legambiente, ci sono stati 52 casi di allagamenti da piogge intense, 98 casi di danni alle infrastrutture da piogge intense con 56 giorni di stop a metropolitane e treni urbani nelle principali città italiane: 19 giorni a Roma, 15 giorni a Milano, 10 a Genova, 7 a Napoli e 5 a Torino. Ed ancora 8 casi di danni al patrimonio storico, 44 casi di eventi tra frane causate da piogge intense e trombe d’aria, 40 eventi causati da esondazioni fluviali. Tra il 2010 e gli inizi del 2017, si sono inoltre registrati dal Nord al Sud del Paese 55 giorni di blackout elettrici dovuti al maltempo, spiega Legambiente.

Il più lungo black out è stato a gennaio 2017: in una settimana oltre 150mila case sono rimaste senza luce e riscaldamento a causa delle forti nevicate in Abruzzo.

Tra le grandi città, Roma negli ultimi setti anni ha registrato 17 episodi di allagamento intenso, di cui una buona parte solo negli ultimi anni. Tra le regioni più colpite dalle alluvioni e le trombe d’aria c’è la Sicilia, con più di 25 eventi concentrati nel territorio siciliano. Ma ancora più rilevante è il tributo che si continua a pagare in termini vite umane e di feriti: dal 2010 al 2016 sono oltre 145 le persone morte a causa di inondazioni e oltre 40mila quelle evacuate (dati Cnr).

Sottovalutate le onde di calore che possono avere effetti nocivi per la salute, soprattutto per gli anziani e gli ammalati, quando le temperature diurne superano i 35° C e quelle notturne non scendono sotto i 25°C.

In Italia l’ondata di calore del 2015 ha causato, tra gli over 65, 2.754 morti in 21 città italiane e provocato danni gravi alla produzione agricola e ittica dovuti al surriscaldamento.

Dati preoccupanti se si pensa che l’Italia è un Paese ad elevato rischio idrogeologico con 7.145 comuni italiani (l’88% del totale) che hanno almeno un’area classificata come ad elevato rischio idrogeologico, e con oltre 7 milioni gli italiani che vivono o lavorano in queste aree.

Autore: redazione QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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