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Trono di Spade S07 – Il potere del fandom

La settima stagione del Trono di Spade è volata via in un batter d’occhio. Dopo essersi fatta aspettare più a lungo del solito, in appena sette settimane ha già raggiunto il suo finale, lasciando dietro di sé una scia sterminata di critiche e nuovi spunti di riflessione. Ma più di qualsiasi altra cosa, ha ribadito la consapevolezza che la serialità televisiva ha raggiunto un nuovo, importantissimo punto di svolta, che potrebbe piacere o meno agli spettatori.

Risulta ormai stantio ripetere quanto la serialità, specialmente quella statunitense, sia cresciuta ed evoluta nel nuovo millennio, fino a diventare un argomento facile e sicuro di conversazione anche fra sconosciuti. Ma è anche diventato evidente, per via dei nuovi imponenti record registrati da questa stagione, che qualcosa nella formula degli show sia cambiata drasticamente, e non necessariamente in meglio.

Ormai da un pezzo le vicende dei regnanti di Westeros hanno abbandonato i lidi cartacei a cui si ispirano, e inizialmente avevamo giudicato tale distacco un punto a favore per la serie televisiva, che finalmente seguiva un ritmo più incalzante rispetto alle logorroiche prime stagioni introduttive. Il prodotto era molto più scorrevole da seguire e ogni puntata riusciva a mantenere alto l’interesse, coniugando scene di grande intrattenimento e momenti più riflessivi. Ma nell’attuale stagione l’equilibrio fra spettacolo e approfondimento si è sbilanciato a favore del primo, accostandolo visivamente ai livelli dei blockbuster hollywoodiani.

Ad essere sacrificato sull’altare dell’intrattenimento è il fattore temporale: gli avvenimenti si svolgono uno dietro l’altro senza momenti di pausa e senza fornire coordinate temporali utili per lo spettatore, la cui percezione della consecutio viene irrimediabilmente alterata. Nel penultimo episodio sperimentiamo il culmine di questo problema, con una sequenza di salvataggio a grandi distanze che in appena 10 minuti ricopre ben 3 giorni. L’ellissi temporale ha peggiorato le cose, scatenando dubbi persino su dettagli minori come la velocità aerea di un corvo.

Il problema principale deriva dal tenore della sceneggiatura. Lo show sta cominciando a chiudere le storyline aperte negli anni, aspirando a una climax finale che riunisca i vari personaggi. In questa singola stagione assistiamo a numerosi momenti di questo tipo – gli ultimi Stark finalmente insieme a Grande Inverno, John Snow che incontra Daenerys – ma l’impressione è che gran parte di tali cambiamenti siano stati realizzati solo per far felice lo sterminato fandom della serie. I personaggi amati dal pubblico non vengono sfiorati (la fortuna di Tormund), quelli più odiati sono i primi ad andarsene (Ditocorto), le comparse sono carne da macello.

Questa distinzione porta ad alterare la moralità come era intesa dalla serie: laddove inizialmente c’era un’enorme zona grigia, ora c’è una netta distinzione fra buoni e cattivi. La psicologia dei personaggi si assottiglia e le loro azioni si son fatte più prevedibili. Senza una solida base letteraria e la mano di un vero autore, Il Trono di Spade sta diventando un enorme giocattolo in mano ai fan, che vedono realizzati dagli showrunner Benioff e Weiss tutti i loro desideri.

A compensare una sceneggiatura prevedibile e un fanservice forzato vi è lo spettacolo più imponente che il piccolo schermo ci ha regalato: sette puntate dense di azione su larga scala con i giganteschi draghi presenti a seminare distruzione, finalmente mostrati in tutta la loro potenza. La CGI è di prim’ordine e crea uno spettacolo incredibile, specialmente nelle due principali battaglie, che abbondano di brutali morti.

Il finale di stagione, fra qualche piano un po’ debole e scene intime discutibili, segna comunque l’inizio dell’ultimo atto dello show, con barriere geografiche e metaforiche finalmente abbattute. L’inizio della Grande Guerra e la minaccia dal Nord sapranno rialzare la qualità generale del Trono di Spade? Lo sapremo al più tardi tra un paio d’anni, con l’ultima stagione dello show che ha portato la serialità moderna verso nuove vette.


Autore: Andrea Balena Tom’s Hardware

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