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Handmaid’s Tale – Un differente tipo di distopia

Author: Andrea Balena Tom’s Hardware

Quando viene pronunciato il termine “distopia” l’immaginario collettivo punta subito a 1984, il capolavoro immortale di George Orwell. Questo romanzo datato 1948 è tra i più influenti del Novecento ed è diventato la base per molta della letteratura mondiale del post guerra, tanto che le sue intuizioni sono confluite nel mondo reale nei modi più disparati e ogni sistema di sorveglianza viene automaticamente definito “orwelliano”.

Oggi, nel 2017, il sottogenere della fantascienza distopica è uno dei più inflazionati della narrativa e spesso si ha l’impressione che l’ingegno creativo non possa produrre nulla di nuovo. The Handmaid’s Tale, serie TV ideata da Bruce Miller e basata sull’omonimo libro di Margaret Atwood, ci mostra uno scenario futuro diverso da quelli a cui siamo stati abituati, e tuttavia estremamente plausibile. E per questo ancora più terrificante.

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In un futuro prossimo dopo l’eccessivo inquinamento e l’infertilità della popolazione, gli Stati Uniti D’America vengono sovvertiti da un golpe e in seguito rimpiazzati da uno stato di polizia teocratico di stampo biblico chiamato Società di Gilead. Seguendo alla lettera le Sacre Scritture, il regime ha ucciso o costretto all’espatrio tutte le minoranze etniche, i dissidenti e gli omosessuali, ma soprattutto ha restaurato i valori tradizionali fra cui il patriarcato. Le poche donne fertili rimaste sono state ridotte ad Ancelle, schiave per le famiglie facoltose obbligate a dar loro una progenie.Noi seguiamo la battaglia per la sopravvivenza di June/DiFred (Elizabeth Moss), una Ancella che vive in uno stato di quasi prigionia nella casa del Comandante Waterford, in attesa di dargli un erede.

Maltrattata da tutti, e in particolare dalla moglie del Comandante, June assiste impotente allo svilimento dei suoi diritti di donna e di essere umano. Nonostante questo, non perde mai la speranza, seppur flebile. A volte basta una scritta nascosta su un muro o un piccolo gesto gentile da parte di una persona per farle capire che il suo mondo non è completamente impazzito.

La sceneggiatura è efficace, anche grazie alla magnifica interpretazione dell’attrice, nel mostrare la quotidianità opprimente nelle quattro mura domestiche dell’imponente villa, il suo rinchiudersi in una gabbia mentale, costretta ad aggrapparsi anche al più sfocato ricordo della sua famiglia per tirare avanti (come fu con l’orwelliano Winston Smith). La storia si sviluppa in un continuo alternarsi fra presente e passato dove apprendiamo non solo la vita della protagonista ma anche le cause e il lento affermarsi del regime.

È importante sottolineare un dettaglio di questi segmenti, che dimostra la cura riposta nella scrittura: l’ascesa di Gilead non è stato un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di un clima di intolleranza che si stava diffondendo già da prima nella popolazione statunitense. Tralasciando i ribelli – sempre mostrati in piccoli numeri – si intuisce che c’è stato un tacito consenso verso questa trasformazione della società, ed è impossibile non azzardare un parallelismo con la situazione odierna nel mondo reale.

Un’altra cosa che balza all’occhio e caratterizza molto bene il tipo di distopia rappresentato è la quasi totale mancanza di tecnologia. Il ritorno a una società quasi medievale nella sua struttura ha portato all’uniformare i costumi in base alle mansioni, ma ha anche dato in mano i dispositivi tecnologici unicamente alla popolazione maschile. Alle donne, anche quelle più in vista nella società, non è più permesso neanche di avere un telefono, né tanto meno accedere a libri e giornali.

Nonostante le violenze, le repressioni e le sistematiche quanto teatrali purghe, nell’anima di June e delle altre Ancelle presenti risiede ancora la speranza. Ed è proprio la riconquista della loro indipendenza e femminilità l’elemento che, nella seconda parte della stagione, permette alla protagonista di riaffermarsi nell’ambiente domestico e diventarne la custode dei segreti.

La fotografia aiuta a immergersi nell’ambiente freddo e buio del regime, e del sole vediamo a malapena qualche spiraglio entrare dalle finestre dell’abitazione. I colori smorti e grigi di strade e abitazioni ci fanno intuire il vuoto sociale che pervade Gilead, peraltro in totale contrasto con i loro intenti ecologici. La regia è attenta sia a mostrare i momenti privati della protagonista quanto ad esaltare il potere del regime attraverso i suoi asettici e geometrici palazzi, quasi un rimando all’architettura nazista.

Il finale della stagione si rifà a quello del romanzo originale, ma lascia uno spiraglio aperto per un futuro migliore e per una possibile ribellione femminile. Dopo aver fatto incetta di Emmy Awards, la prossima stagione si slegherà dal materiale letterario, proponendo una continuazione che viene appena accennata nelle ultime pagine. Riuscirà a mantenere questo livello sopraffino di scrittura e intimità? Lo scopriremo la prossima primavera, prima sul servizio streaming americano Hulu e in seguito sul nostrano Tim Vision.


Tom’s Consiglia

Se l’adattamento televisivo vi è piaciuto, consigliamo il recupero del romanzo originale, anche soltanto per studiarne le differenze di scrittura.

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