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“macro”-transazioni di Star Citizen sono un modello giusto per i giocatori?

Author: Ultime news PC | Multiplayer.it

Mettere in uno stesso calderone i diversi modelli di business che sono emersi in questi rutilanti anni dell’industria videoludica è sicuramente una semplificazione eccessiva, però fa un certo effetto vedere levarsi da una parte una crociata di dimensioni epiche come quella mossa alla volta delle micro-transazioni di Star Wars: Battlefront II e al contempo notare come Star Citizen continui macinare milioni di dollari mettendo in vendita pezzi del gioco prima ancora che questo sia uscito in forma definitiva (o provvisoria). Non per trarre conclusioni affrettate, ma viene da pensare che una delle due compagnia abbia azzeccato il modo di trarre denaro aggiuntivo attraverso acquisti in-game, mentre l’altra decisamente no.

La situazione di Star Citizen è ovviamente particolare e va messa subito in chiaro: l’acquisto degli elementi di gioco, come le navi o come anche gli appezzamenti di terreno, com’è emerso proprio oggi, rientra in un meccanismo di auto-finanziamento del progetto che ha raggiunto ormai un livello impressionante, per cui gli acquirenti sono a tutti gli effetti dei backer che sostengono lo sviluppo del gioco e per questo motivo sono investiti di un ruolo importante e per certi versi anche gratificante. Questo è uno degli elementi che probabilmente contribuisce a rendere la vendita di pezzi di gioco da parte di Cloud Imperium Games accettabile e anche fruibile da parte di un’utenza che tra l’altro non corrisponde necessariamente a quella solitamente abituata a consumare contenuti in-game attraverso le micro-transazioni, visto che il gioco di Chris Roberts sembra dedicato più ai giocatori classici e hardcore che agli utenti standard degli MMO, anche se Star Citizen punta sotto molto aspetti ad effettuare una fusione tra i due mondi in questione.

Oltre al nobile fine che si prepongono, le micro-transazioni di Star Citizen – che spesso e volentieri sono in verità macro-transazioni – si fondano su un concetto diverso: non sono boost immediati e consumabili, né elementi puramente estetici ma sono oggetti di un certo valore, che trasmettono un senso di proprietà all’interno del mondo online del gioco. Trattandosi di una sorta di mondo alternativo condiviso, almeno nelle intenzioni degli sviluppatori, i giocatori spendono volentieri i propri soldi per elementi che hanno effettivamente una certa rilevanza al suo interno e che possono fare in modo che si distinguano nella vasta popolazione online. Le critiche mosse nei confronti delle lootbox non possono dunque essere applicate a questo sistema di monetizzazione, perché non c’è azzardo né casualità, ma semplicemente una deliberata scelta di spendere soldi per ottenere qualcosa di solido e duraturo, che possa effettivamente caratterizzare l’esperienza di gioco.

Non è ovviamente un sistema che risulta facilmente applicabile a qualsiasi genere videoludico, essendo adatto in particolar modo a quei giochi che puntano alla creazione di una sorta di società online, ma anche rispetto alle micro-transazioni ormai affermatesi nel mondo degli MMO hanno una valenza diversa. C’è anche da dire che si tratta di elementi in grado di influenzare gli equilibri di gioco: è vero che tutti questi oggetti potranno essere acquistati anche con il denaro conquistato in-game, ma l’acquisto anticipato può determinare un bel vantaggio, e non si parla peraltro di oggetti alla portata di tutti. Per alcune navi si arriva a richiedere centinaia o addirittura migliaia di dollari, e il bello è che vengono esaurite anche a grande velocità, a dimostrazione di come questo sistema di monetizzazione, evidentemente, non scandalizzi più di tanto e risulti anzi anche ben accetto. Ma può essere considerato eticamente corretto? Alla fine, dunque, ha senso creare una distinzione tra micro-transazioni giuste o sbagliate?

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