Author: Le news di Hardware Upgrade
La Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés ha ordinato a WhatsApp di interrompere la condivisione dei dati degli utenti con la compagnia “madre” Facebook. Secondo quanto si legge sul sito ufficiale che ha divulgato la novità il team alla base dell’app ha un mese di tempo per conformarsi all’ordine ricevuto dalla Commissione. La richiesta nasce in seguito all’aggiornamento dei termini di servizio avvenuto l’anno scorso, di cui abbiamo parlato qui.
L’obiettivo della condivisione dei dati è offrire pubblicità mirata agli utenti, misure di sicurezza individuali e di raccogliere dati con finalità di “business intelligence”, il tutto al fine di migliorare l’esperienza d’uso per i fruitori. In base alle indagini compiute dalla Commissione, tuttavia, quest’ultima ha stabilito che sebbene le intenzioni sulle misure di sicurezza fossero condivisibili, non lo sono altrettanto quelle relative alla business intelligence per svariati motivi.
Gli utenti del servizio non sanno infatti che WhatsApp raccoglie dati per questo scopo (ovvero per analizzare informazioni che possono essere utili per modifiche nella strategia aziendale), e non hanno alcun modo per disabilitare questo tipo di condivisione se non disinstallando l’applicazione. E questo, secondo il CNIL, è in “violazione delle libertà fondamentali degli utenti”. Non è la prima volta che un ente europeo bacchetta Facebook sulla condivisione dei dati.
Lo scorso anno era stata la Germania ad imporre il blocco della raccolta dei dati dagli utenti del servizio di messaggistica, mentre in seguito anche il Regno Unito aveva imposto un blocco dlelo stesso tipo. A maggio Facebook ha poi pagato una multa di circa 110 milioni di euro per aver offerto informazioni “fuorvianti” in merito all’acquisizione di WhatsApp, quando la compagnia affermava che non aveva la possibilità di collegare i profili degli utenti usando le informazioni a disposizione.
L’ultima bacchettata è ancora più recente e risale a settembre, quando la UE ha chiesto a Facebook e ad altre piattaforme di fare qualcosa per i post d’odio scritti dagli utenti, altrimenti sarebbe arrivata una nuova risposta legale.
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