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La spesa pensionistica è sostenibile, la BCE e il FMI rivedano i conti

Author: clinguella@finanza Finanza.com Blog Network Posts

Il Fondo Monetario Internazionale bacchetta l’Italia perché la spesa pensionistica è troppo alta scapito di quella assistenziale che viceversa è troppo bassa. Nel V rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, viceversa è tutto al contrario. La spesa per prestazioni sociali in Italia incide per il 54,44% sull’intera spesa pubblica comprensiva degli interessi sul debito pubblico: l’incidenza rispetto al Pil, considerando anche altre funzioni sociali e le spese di funzionamento degli Enti che gestiscono welfare, arriva a 29,26%, uno dei valori più alti in Europa. Sulla stessa lunghezza d’onda i sindacati. Per la Camusso non è necessario abolire la Fornero, ma correggere le sue storture, mentre Domenico Proietti della Uil, ribadisce che “la spesa per pensioni in Italia è ampiamente sostenibile nel breve, medio e lungo periodo”. Il Fondo monetario internazionale e le altre istituzioni che hanno manifestato perplessità sulla tenuta del sistema pensionistico italiano devono stare tranquilli, perché afferma Proietti, “la nostra spesa per pensioni è dell’11% rispetto al Pil, perfettamente in media con gli altri Paesi europei e addirittura meno della Francia e della Germania”. La soluzione per l’evidenza contabile? “separare contabilmente la spesa previdenziale da quella assistenziale, insediando subito la Commissione istituita dall’ultima Legge di bilancio”
Qual è la notizia sbagliata allora ci si chiede. Da una parte abbiamo una istituzione mondiale, dall’altra l’elaborazione di un gruppo privato privo di qualsiasi ufficialità. Per cui la logica suggerisce che ha ragione il fondo monetario internazionale. A dare manforte al FMI è intervenuta anche la BCE capitanata da Mario Draghi, dicendo le stesse cose.
A questo punto ci si viene assaliti da più di un dubbio. Quello che hanno pensato subito i più, è stata una mossa per mettere le mani avanti sul futuro nuovo governo, come per dire: “ Attenti a non esagerare”, invitandoli a muoversi con prudenza e oculatezza con le prossime mosse pensionistiche: Fornendo contemporaneamente alle forze politiche in campo, un potente alibi: “noi volevamo, fare così e così, ma la crudele troika ci ha impedito di farlo”.
Come sta veramente la situazione?
Realizzato con il patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Rapporto di Itinerari previdenziali, fornisce una visione d’insieme del complesso sistema di welfare italiano, illustrando gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate che Del resto, dopo il lavoro quello delle pensioni è a più ampia sensibilità o, ancora, quanti anelano alla giusta quiescenza, come afferma Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Ora diventa più che mai indispensabile fare chiarezza grazie ai numeri. Numeri che supportati dai dati Istat evidenziano, innanzitutto come, al di là dei proclami delle istituzioni come il Fondo monetario, la Ue e mettiamoci anche l’Ocse che già si era espressa in precedenza, la dinamica della spesa per le pensioni sia assolutamente sotto controllo.
Invece a dirimere la questione soccorrono le cifre ufficiali dell’Inps che offrono un quadro rassicurante.
Nel 2016, la spesa pensionistica italiana relativa a tutte le gestioni ha raggiunto, al netto della quota GIAS (vale a dire la gestione per gli interventi assistenziali), i 218.504 mld di euro, mentre le entrate contributive sono state pari a 196.522 mld di euro, per un saldo negativo di 21.981 milioni. A pesare sul disavanzo, in particolare, la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di ben 29,34 miliardi parzialmente compensato dall’attivo di 2,22 miliardi del Fondo pensione lavoratori dipendenti, il maggior fondo italiano, e dai 6,6 della gestione dei parasubordinati. Rispetto al 2015, aumentano invece del 2,71% i contributi versati: si riduce quindi di 4,56 miliardi il saldo negativo di oltre 26 miliardi registrato nel 2015.
Le pensioni vigenti al 1° gennaio 2018 sono 17.886.623, di cui 13.979.136 di natura previdenziale (vecchiaia, invalidità e superstiti) e le restanti 3.907.487 di natura assistenziale (invalidità civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali). Nel 2017 la spesa complessiva per le pensioni è stata di 200,5 miliardi di euro, di cui 179,6 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. È quanto emerge dall’Osservatorio sulle pensioni erogate dall’INPS che analizza i dati del 2017. Le nuove pensioni liquidate nel 2017 sono state 1.112.163, di cui poco meno della metà (49,7%) di natura assistenziale. Gli importi stanziati per queste pensioni ammontano 10,8 miliardi di euro, circa il 5,4% della spesa complessiva al 1° gennaio 2018 (200,5 miliardi di euro, appunto).
Se raffrontiamo i dati del 2016 con quelli resi noti ieri dall’Inps c’è addirittura una diminuzione della spesa. Nel 2016, la spesa complessiva per le pensioni è stata di 197,4 miliardi di euro, di cui 176,8 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali.

I vari provvedimenti di flessibilità in uscita,come come l’ape sociale ed i lavoratori precoci, non dovrebbero incidere più di tanto, visto che sui 60.000 pensionamenti previsti per questa fattispecie, le domande accolte non hanno raggiunto neppure i 30.000, cioè meno della metà. Tocca invece il massimo livello di sempre il rapporto tra occupati e pensionati, dato fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. Con un numero di prestazioni in pagamento in diminuzione, è interessante notare come il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e popolazione tocca invece quota 2,638, di fatto una prestazione per famiglia (spesso di tipo assistenziale).
La separazione tra previdenza e assistenza – Con riferimento al 2017, come abbiamo visto, risultano in pagamento in Italia 3.907 milioni di prestazioni di natura interamente assistenziale (invalidità civile, accompagnamento, di guerra) e ulteriori 5,3 milioni di pensioni che beneficiano, in una o più quote, di parti assistenziali (maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, importi aggiuntivi etc). L’insieme delle prestazioni ha riguardato 4.104.413 soggetti, per un costo totale annuo di oltre 21 miliardi di euro (+502 milioni e +2,41% rispetto al 2015). Prestazioni per le quali, ricorda il Quinto Rapporto, non è però stato di fatto versato alcun contributo (o, al più, sono state versate contribuzioni modeste e per pochi anni). Questi sono gli elementi di fondo da tener presente per l’impostazione concreta del reddito di cittadinanza che realisticamente non potrebbe essere diversa della REI, sia pure opportunamente modificata e rimpinguata nelle risorse.

Camillo Linguella

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