Author: Davide Ludovisi Wired
La novità sta nel modello di collaborazione tra industria e accademia. Per la prima volta Facebook accetta di rendere disponibili tutti i dati in suo possesso al mondo della ricerca. Senza poter avere voce in capitolo su quanto verrà scoperto. Non potrà nemmeno influenzare gli scienziati finanziando il progetto. I fondi, infatti, arrivano da realtà senza fini di lucro che si occupano di temi di analisi sociale.
Una commissione accademica super-partes, che conta tra le venti e le quaranta persone in tutto il mondo, ha il compito di garantire la qualità della ricerca. Tre gli esperti italiani coinvolti. Stefano Iacus, in particolare, fa parte del Design Committee. In pratica è il cuore del progetto, perché assieme ad altre due persone ha il compito di stabilire le regole per le call. Nonché le modalità con cui avvengono i passaggi di dati. C’è infatti la questione della privacy, che dev’essere salvaguardata. Le informazioni reperite non potranno che essere utilizzate per scopi di ricerca. Vietato ogni fine commerciale, quindi.
L’azienda di Zuckerberg è da tempo sotto pressione per il suo ruolo sempre più politico nella società. Quale sia effettivamente il peso nell’influenza democratica globale del social media non è facile stabilirlo. Facebook d’altronde ammette candidamente di non avere risposte. Con questa apertura senza precedenti affida quindi alla scienza il responso. Ma siamo sicuri che collaborerà?
“Se Facebook non dovesse essere d’accordo sull’analisi dei dati o se chiedesse di secretare alcuni dati, noi come comitato siamo obbligati a denunciarlo pubblicamente”, ci spiega Iacus. “L’azienda ha accettato questo veto da parte degli accademici: non si può rifiutare di fornire i dati richiesti”.
Statistico, professore all’Università di Milano, Iacus si occupa da anni di temi di analisi politica attraverso i social. I suoi lavori riguardano soprattutto lo studio sugli effetti causali in studi osservazionali, in contesti dove cioè non è possibile fare esperimenti. Per capire per esempio se i social hanno influenzato le elezioni non si può replicare il fenomeno. Si possono però ricavare delle risposte dalle analisi dei dati.
A farlo, però, non sarà lui. Il suo ruolo da garante glielo impedisce. “Io cercherò di facilitare il processo. Identificherò i dati necessari per rispondere ai quesiti e le migliori persone che si occuperanno dell’analisi. Controllando nel contempo che la privacy non sia messa in pericolo”, precisa Iacus.
Il particolare processo di peer review sarà gestito dal Social Science Research Council. È un’organizzazione indipendente che veglierà sugli aspetti etici e di sicurezza. I ricercatori potranno pubblicare i risultati delle analisi sulle riviste scientifiche, senza alcun veto da parte di Facebook.
Si parte con il tema dell’influenza del social media sui risultati elettorali. Per questa, come per tutte le altre call, ci sarà una gara internazionale per partecipare. Poi ce ne saranno altre, su ulteriori tematiche, che ovviamente riguarderanno anche le fake news.
Non è un caso che si inizi proprio dalle possibili distorsioni dei processi democratici. È un tema caldo che ci riguarda da vicino. Facebook, infatti, oltre a citare l’America, la Francia e la Germania, nomina esplicitamente anche l’Italia tra i paesi che potrebbero aver subito influenze straniere.
Si parte con Facebook ma l’obiettivo dei ricercatori è coinvolgere anche agli altri grandi detentori di dati come Twitter, LinkedIn e Google.
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