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Perché saranno smartwatch, fit tracker e anelli a rilanciare i pagamenti digitali in Italia

Author: Eugenio Spagnuolo Wired

I pagamenti via wearable? Sono sicuri e potrebbero diffondersi sempre di più. Anche grazie all’arrivo di Libra…

foto: Pixabay

Smartwatch, fit tracker e simili: sembra proprio che indossare la tecnologia ci piaccia, se è vero come è vero che a livello mondiale il mercato dei wearable è passato dai circa 16 miliardi di dollari del 2016 agli oltre 26 miliardi del 2018. E, stando alle proiezioni, nel 2022 potrebbe spingersi fino a 73 miliardi di dollari. Una cifra che lascia pensare che gli “indossabili” potrebbero anche erodere un po’ di spazio agli smartphone in molte applicazioni nella vita di tutti i giorni.

Già da un po’ per esempio anche in Italia gli smartwatch si possono usare anche per pagare. E non sono gli unici. “Si parla di Apple Watch, degli smartwatch compatibili con Samsung Pay e/o Google Pay, degli smartwatch Garmin e dei fitness tracker di Fitbit”, illustra Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio mobile payment & commerce del Politecnico di Milano.

Ma ci sono anche gli oggetti normali dotati di appositi chip Nfc per abilitare i pagamenti. “Nel nostro paese – continua Portale – non abbiamo evidenze di grandi progetti attivi, oltre al braccialetto Letspay di Unipol Banca. In ogni caso, all’interno di questa categoria possiamo trovare dispositivi che spaziano dagli anelli (come i prodotti realizzati dalle startup Tokenize e Xenxo) agli orologi (Swatch Pay), dai portachiavi fino ad arrivare nei casi più estremi agli occhiali da sole (frutto della collaborazione tra Visa e Local Supply in Australia)”.

La spinta del mercato

Anche se per ora i pagamenti via mobile in Italia procedono con cautela (15,6 milioni contro i 4 miliardi di pagamenti con carta), qualcosa lascia pensare che proprio gli indossabili potrebbero spingerci dove le carte emesse dalle banche non sono riuscite, aumentando il numero di pagamenti digitali. In fondo un orologio, un braccialetto, un anello li abbiamo sempre con noi.

Attualmente l’Italia è il quinto mercato europeo per tecnologia indossabile, ma entro il 2022 sarà il terzo”, commenta Emiliano Imbimbo, responsabile digital issuing products di Nexi, spiegando che le vendite di indossabili nel nostro Paese nel 2017 sono cresciute del 108% raggiungendo i 207 milioni di euro di valore, un trend confermato anche per il 2018.

E una ricerca Forrester conferma che la funzionalità di pagamento è tra quelle che maggiormente spingerebbero un utente ad acquistare uno smartwatch. In Italia i pagamenti digitali rappresentano il 26% dei consumi delle famiglie italiane, ma stanno crescendo a un ritmo medio dell’11% annuo, e gli indossabili potranno concorrere a un ulteriore loro aumento”, illustra ottimisticamente Imbimbo.

Nexi è una delle aziende che ha portato la tecnologia dei pagamenti tramite smartwatch in oltre 100 banche italiane. “Oggi 4,5 milioni di carte emesse da Nexi sono abilitate ai due servizi di pagamento che consentono di effettuare acquisti in negozio tramite gli smartwatch compatibili. I clienti delle banche partner di Nexi, quindi, possono effettuare acquisti in tutti i negozi dotati di un pos contactless, pari al 75% degli esercizi commerciali in Italia” chiosa Imbimbo.

Questione di sicurezza

A frenare la diffusione dei pagamenti via wearable per ora c’è forse una naturale diffidenza legata ai rischi per la sicurezza. Se già un hacker può mettere le mani sulle carte di credito, figurarsi cosa potrebbe fare con un’app per uno smartwatch. “E invece i pagamenti via wearable sono sicuri perché non conservano né trasmettono i dati delle carte virtualizzate, ma dei codici che li rimpiazzano garantendo la privacy dei dati reali”, ribatte Valeria Portale.

La tecnologia dei wearable di ultima generazione offre infatti la stessa sicurezza degli smartphone, dall’inserimento del pin all’impronta digitale. Spiega Portale: “Alcuni device richiedono l’inserimento del pin/fingerprint solo alla prima transazione di giornata, contando sui sensori del battito cardiaco per capire se il dispositivo è sempre sul polso della stessa persona; quando il dispositivo viene sfilato dal polso, la possibilità di fare ulteriori transazioni senza inserire il pin/fingerprint viene inibita”.

E anche i braccialetti dotati di chip Nfc sono sicuri. “Parlando di oggetti dotati di chip Nfc, invece, abbiamo un livello di sicurezza simile a quello delle carte fisiche: richiesta del pin al pos e possibilità di “congelare” il chip da apposite app per smartphone”, conclude l’esperta del Politecnico.

Ma un aiutino (imprevisto) al settore potrebbe darlo l’arrivo di Libra, la criptovaluta di Facebook in arrivo l’anno prossimo: essendo spendibile solo attraverso app, se si dovesse diffondere come paventano molti osservatori, data la vasta utenza del social network di Zuckerberg (e di Instagram e Whatsapp), anche i pagamenti via wearable potrebbero approfittare della tendenza. Anzi, chissà che a Menlo Park non stiano già pensando anche al wearable per la diffusione della loro stablecoin.

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