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Siamo pronti ad andare su Marte? Ecco gli effetti sull'organismo e le contromisure della NASA

Author: Le news di Hardware Upgrade

Lo spazio non smette mai di affascinarci, anche perché continua a rimanere nell’immaginario collettivo come un’immensità tutta da scoprire, con mille misteri ancora da risolvere e su cui la letteratura di ogni tipo ha fantasticato praticamente da sempre. Ammirazione, paura, entusiasmo, curiosità, anche perché siamo consapevoli che la quasi totalità di noi non potrà mai avventurarcisi.

“Metterci piede” sarebbe riduttivo: il piede più famoso dello spazio e della storia dell’umanità è sicuramente quello di Neil Armstrong, comandante dell’Apollo 11:  il 20 luglio del 1969 lo pose sulla superficie lunare prima di chiunque altro. Lo fecero poi altre 13 persone, ma nessuno si ricorda di Eugene Cernan, ultimo “passeggiatore lunare” durante la missione Apollo 17 del 14 dicembre 1972. La prima volta, in missioni come queste, segna uno spartiacque nella storia.

L’ambiziosa missione su Marte, che dovrebbe portare un equipaggio sul pianeta rosso negli anni a venire (la data prevista cambia spesso, ma è questione di anni e non di decenni), presenta molte sfide che, a discapito di quanto si possa pensare, sono in gran parte legate al nostro organismo e non alla tecnologia necessaria per portarla a termine. Ne parla un po’ una delle nostre fonti, la NASA, e riveste un ruolo chiave considerando che il viaggio di sola andata per Marte può durare dai 150 ai 300 giorni, con una missione prevista complessiva prossima ai 3 anni di permanenza al di fuori dell’atmosfera terrestre. 

Da oltre un decennio si studiano in maniera maniacale gli effetti sull’organismo degli astronauti e dei cosmonauti; i dati migliori però vengono dall’esperienza di Scott Joseph Kelly (record di permanenza nello spazio per un astronauta USA, 382 giorni passati al di fuori dell’atmosfera terrestre). Ma il punto forte della ricerca è stato nel criterio di scelta dell’astronauta: Scott ha un fratello gemello, sempre astronauta e praticamente identico geneticamente e rimasto a terra durante quel periodo, che ha permesso di confrontare le differenze fisiologiche registrate durante quell’anno, gli effetti delle radiazioni a livello genetico e molto altro ancora. Ecco le 5 sfide che ci attendono per il viaggio andata e ritorno più atteso di sempre (almeno per ora).

1. Tre campi gravitazionali

Siamo organismi evolutisi in millenni per vivere sulla Terra, regolata dalla forza gravitazionale terrestre. Durante il viaggio Terra-Marte l’organismo sarebbe sottoposto a un’attrazione gravitazionale praticamente nulla, per poi passare a circa un terzo di quella terrestre sulla superficie di Marte e nella sua orbita. Non siamo fatti per passare da una all’altra come se niente fosse, anzi.

La Stazione Spaziale Internazionale (SSI), dove ha vissuto per oltre un anno Scott Kelly, si trova più o meno a 400 chilometri di distanza dalla superficie terrestre (oltre l’atmosfera, quindi), viaggiando a oltre 27 mila chilometri all’ora. A discapito di quanto si pensi, le persone sulla SSI fluttuano non perché non c’è gravità (che è di poco inferiore a quella sulla superficie terrestre), ma perché chi è a bordo è di fatto sottoposto a una costante caduta libera che non raggiunge mai il suolo. Gli effetti sull’organismo, però, sono assimilabili a quelli di chi vive o vivrà in assenza di gravità.

Si è riscontrato che le ossa degli astronauti e dei cosmonauti perdono in media l’1% della propria densità al mese, contro circa l’1-1,5% all’anno delle persone anziane sulla Terra. Tornati a Terra si è visto che il problema non è al 100% reversibile, rendendo quindi gli astronauti più soggetti a problemi alle ossa, osteoporosi su tutto, una volta diventati anziani, e anche ben prima della media.

Muscoli e sistema cardiovascolare sono sottoposti a una condizione del tutto anomala, in assenza di gravità. La perdita di massa muscolare è graduale e poco compensabile (avviene quasi tutto senza sforzi). I fluidi corporei, sangue in primis, sperimentano una situazione di assenza di gravità che li porta a essere presenti nella parte superiore del corpo molto più che nell’ordinaria situazione terrestre. Si sono registrati problemi alla vista, anche per maggior pressione oculare, labirintite ed equilibrio in generale, mal di testa, legati direttamente alla maggiore concentrazione dei liquidi nella parte superiore. Oltre a questo, una condizione di nutrizione anomala (ma soprattutto disidratazione e rilascio del calcio “in eccesso” dalle ossa) ha fatto registrare un maggior rischio di sviluppare calcoli renali. Anche la colonna vertebrale, che da una vita regge il peso dell’organismo sulla Terra, richiede attenzioni particolari per non alterare gli equilibri fondamentali per il ritorno sulla Terra.

Contromisure attualmente adottate o allo studio: la preparazione atletica prima della missione è estremamente importante, così come si sono rivelate fondamentali delle fasce di contenimento sulle cosce che permettono di mantenere un po’ di più i fluidi nella parte inferiore del corpo, con benefici per la vista ma non solo, anche sulle altre conseguenze derivate da questo problema. Integratori come il citrato di potassio saranno sfruttati per minimizzare il problema di calcoli renali, mentre i bifosfonati permetteranno di ridurre il riassorbimento osseo.


Il comandante della spedizione 29 Mike Fossum alle prese con un auto-controllo ai propri muscoli sulla Stazione Spaziale Internazionale (fonte:NASA)

L’esame delle urine a intervalli stretti permetterà di tenere sotto controllo la situazione, adeguando rapidamente i dosaggi. Prevista anche una massiccia dose di vitamina D, non essendo mai esposti alla luce del sole durante la permanenza nello spazio. L’esercizio fisico, svolto con macchinari appositi che oppongono resistenza meccanica (sollevare pesi nello spazio non funziona…), per mantenere il più possibile il tono muscolare.

 2. Isolamento e problemi psicologici

Qui non si scopre nulla di nuovo, succede da sempre e ovunque. Nello spazio però la cosa è ancora più accentuata. Essere stipati in poco spazio per lungo tempo con pochissime persone, pur con un training psicologico mirato, non pone affatto al riparo da inevitabili problemi di convivenza. Il fatto che la NASA metta questo problema fra quelli più difficili da risolvere la dice lunga sullo stress psico-emotivo a cui un equipaggio spaziale è e sarà inevitabilmente sottoposto. I rischi più grossi vengono dagli sbalzi umorali e dal calo del morale (si vola lontani dalla Terra, può succedere di tutto in qualsiasi momento, non possono venire a salvarti, più altri mille “cattivi pensieri” che possono nascere sentendosi letteralmente persi, lontanissimi da ogni cosa).

Oltre a questi disturbi del sonno per il cambio del ritmo circadiano ( la durata del giorno/rotazione completa sul proprio asse su Marte dura 38 minuti in più) e gli inevitabili problemi interpersonali. In agguato c’è anche la depressione, nonché la noia / monotonia che si alterna a periodi di lavoro lungo ed intenso. Sono tutti parametri che vanno valutati attentamente, al fine di avere almeno una soluzione per ogni problematica.

Ma c’è in agguato anche un disagio poco noto ma riconosciuto da tempo, che si verifica molto spesso a prescindere dalla lunghezza della missione, studiato per le prime volte negli anni ’80 nel corso delle lunghe permanenze nei luoghi di ricerca prossimi ai poli. Si chiama in inglese third quarter phenomenon, abbreviato in TQP (fenomeno dei tre quarti, sottinteso “della missione”). In un momento quasi sempre concentrato a tre quarti della missione, appunto, nel ristretto gruppo subentra un drastico calo dell’umore e un contemporaneo aumento della tensione e dell’irritabilità. Anche se erano stati preparati per affrontare quei momenti. Più ci si trova confinati e isolati, con le comunicazioni verso la Terra che richiedono molto tempo a fare avanti e indietro, più è facile che il fenomeno si verifichi, e con maggiore intensità.

Contromisure attualmente adottate o allo studio: La NASA studia da anni molto attentamente le persone confinate in ambienti isolati, non per forza nello spazio. Una missione può fallire miseramente se si trascura il fattore psicologico, elemento chiave in situazioni così estreme. Attualmente sono in uso apparecchi (actigraphy devices) che monitorano in maniera costante l’attività, le energie spese e danno indicazioni sui ritmi adeguati di sonno / veglia.


L’astronauta Janet Kavandi indossa un “Actiwatch”, che registra ogni attività
 

Anche l’illuminazione gioca un ruolo fondamentale e la tecnologia LED permetterà di armonizzare consumi e illuminazione adeguata. Previsto anche un test della durata di 5 minuti per valutare il livello di affaticamento, mentre la buona, vecchia, cara lettura di libri e riviste è ritenuta una attività chiave nel tenere sotto controllo lo stress.

3. I vani a disposizione

Riveste un ruolo fondamentale, imparando dagli errori del passato, realizzare vani che, giocoforza angusti, possano rivelarsi adatti, non troppo claustrofobici ma soprattutto controllati a livello sanitario. Gli studi hanno mostrato come i microrganismi che vivono regolarmente sul corpo umano possono essere trasferiti con estrema facilità da una persona all’altra, con maggiori possibilità di dare vita a patologie anche in considerazione dell’elevato ormone dello stress, che come è risaputo indebolisce il sistema immunitario. In altre parole: se sulla Terra un determinato batterio viene facilmente sconfitto dal sistema immunitario, nello spazio può invece causare malattie. Sia perché vengono trasmessi molto più facilmente, sia perché si è maggiormente immunodepressi.

Si sono verificati casi di riattivazione del virus di Epstein-Barr (o sarebbe meglio dire incapacità da parte del sistema immunitario di contrastarlo, cosa che avveniva sulla Terra). Stiamo parlando del virus della mononucleosi infettiva, che oggi sappiamo essere in qualche modo collegato ad alcuni tipi di tumori o linfomi.

Le insidie però vengono anche da fattori chimici, come i gas sprigionati dalle attività umane o dalle apparecchiature. La qualità dell’aria, spesso un po’ trascurata in passato, riveste ora un ruolo chiave per minimizzare qualsiasi problema possa influire sulla salute. Ogni centimetro dei vani in cui gli astronauti soggiornano è oggi progettato e pensato per minimizzare i rischi di infezioni.

Contromisure attualmente adottate o allo studio: attualmente avviene un controllo in tempo reale della qualità dell’aria, con sistemi adatti a ristabilire le condizioni ideali. I rischi vengono dal monossido di carbonio, formaldeide e ammoniaca. Sangue e urine vengono monitorati con grande frequenza, per non perdere nemmeno un minuto in caso di sviluppo di una patologia rischiosa. La NASA non scende nel dettaglio, ma grande importanza viene data a questo aspetto, anche perché basterebbe un nulla a causare una tragedia.

Sempre allo studio sono i cambiamenti sempre più specifici che avvengono nel sistema immunitario, per capire quali patologie rispetto ad altre possono verificarsi con maggiore frequenza. I vani sono oggi realizzati dando quindi grande importanza a comfort, efficienza ma anche facilità di pulizia o disinfezione, proprio per minimizzare ogni rischio per la salute.

4. Radiazioni

Sebbene venga da pensare subito alle radiazioni elettromagnetiche, esistono molte altre particelle ad alta energia che possono entrare in contatto con il corpo umano nel corso di una missione spaziale. Stiamo parlando delle pericolose radiazioni ionizzanti, chiamate così perché sono sufficienti a liberare elettroni da atomi o molecole, ionizzando la materia che attraversano, col rischio reale di alterarne la struttura. Vale ovviamente anche per atomi e molecole del corpo umano.

La Terra viene ininterrottamente bombardata da questo tipo di radiazioni provenienti dallo spazio, ma sia il campo magnetico terrestre, sia l’atmosfera costituiscono uno scudo molto efficiente. Nello spazio addio a scudi naturali. In passato si è stati fin troppo ottimisti sulla reale quantità di radiazioni ionizzanti da contrastare, rivelatesi col tempo ben superiori al previsto.

I fattori che determinano a quante radiazioni si può essere esposti sono molti fra cui la durata della missione (più dura, più si è esposti), ma altri assolutamente non controllabili, come picchi improvvisi e imprevedibili dovuti ad attività solari. A questo si aggiunge anche una differenza sostanziale fra un individuo e l’altro per quanto riguarda quantità assorbibile ed effetti. Uno studio del 2013 della NASA, possibile grazie alle misurazioni effettuate dal RAD (Radiation Assessment Detector) sulla superficie di Marte, ha dovuto rivedere le stime precedentemente effettuate.

Già allora si era calcolato che un eventuale viaggio di andata e ritorno su Marte avrebbe esposto gli astronauti a 0,66 sievert (il sievert – Sv – misura gli effetti e il danno provocato dalla radiazione su un organismo). Il limite imposto dalla NASA è di massimo 1 sievert nel corso di un’intera carriera da astronauta. Insomma, un viaggio su Marte comporterebbe di giocarsi 2/3 del “bonus radiazioni tollerabili” nel corso di un’intera carriera. Ma non finisce qui: queste previsioni potrebbero rivelarsi ottimistiche, perché sempre il RAD ha misurato temporanee e improvvise impennate del valore di radiazioni, fino a 25 volte maggiori, in periodi limitati di tempo. Inutile dire che, per semplice sfortuna, l’equipaggio potrebbe essere esposto a un quantitativo di radiazioni ben più alto del previsto.

Gli effetti sul corpo di una esposizione prolungata alle radiazioni? Molte sono purtroppo ben note: aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro, danni al sistema nervoso centrale, funzioni cognitive alterate, ridotte funzioni motorie e cambiamenti comportamentali. E poi nausea, vomito, anoressia e affaticamento cronico, cataratta, nonché alcune patologie cardiache e circolatorie. Insomma, uno degli aspetti più pericolosi in assoluto. Ma non finisce qui: farmaci e cibo devono essere conservati al più possibile al riparo dalle radiazioni.

Contromisure attualmente adottate o allo studio: La SSI rientra comunque all’interno del campo magnetico della Terra, risultandone comunque in parte protetta, ma nonostante ciò è soggetta a un quantitativo di radiazioni 10 volte superiore rispetto alla superficie terrestre. Aumenta drasticamente la quantità di radiazioni a cui una missione su Marte sarà sottoposta, e anche di diverso tipo. Sono due i livelli su cui si lavora. Il primo è ovviamente quello di schermatura fisica, con materiali e tecnologie sempre più efficienti in tal senso.

Ma si lavora anche su non meglio precisate contromisure biologiche. Sappiamo che individui diversi rispondono in maniera e misura diversa alle radiazioni, motivo per cui possiamo ipotizzare che si stiano studiando gli elementi che contraddistinguono gli individui più resistenti. Si potrà quindi, almeno in teoria, andare a potenziare tutti quei fattori di resistenza anche a livello biologico.

5. Distanza dalla Terra

La pianificazione meticolosa e l’autosufficienza sono elementi chiave di qualsiasi spedizione. Marte dista dalla Terra, a seconda della posizione, da un massimo di 100 milioni di chilometri a un minimo di 56 milioni di chilometri. La Luna, presa come paragone, da un massimo di 405.696 chilometri a un minimo di 363.104 chilometri. Marte è enormemente più distante. Le comunicazioni fra Terra e Marte, sola “andata”, impiegano circa 20 minuti. Un’eternità. Chiedere “Tutto bene?” e ricevere in risposta un “Sì” richiede 40 minuti, se si risponde immediatamente.


Distanza in scala fra Terra, Luna e Marte, quando è più vicino (56 milioni di Km)

In queste missioni si calcola sempre che qualcosa può andare male, come ad esempio proprio il sistema di comunicazione, motivo per cui ci sono sempre piani per portare a termine la missione in completa autonomia. Più la distanza dalla Terra aumenta, più diventa difficile fare piani di questo tipo. Essere autonomi, anche con la comunicazione, vuol dire anche prendere in considerazioni dosi sufficienti di acqua potabile (sì, viene riciclata e purificata anche l’urina, per questo scopo), di cibo, di medicinali, nonché avere sufficienti competenze mediche per far fronte a diverse patologie.

Contromisure attualmente adottate o allo studio: la NASA tiene traccia di ogni singolo problema di salute che si verifica o si è verificato sulla SSI, anche il più insignificante, e quale tipo di attrezzatura, farmaco, procedura può rivelarsi fondamentale. Fra le pratiche che ogni astronauta deve saper svolgere c’è quella di produrre una soluzione salina partendo dall’acqua purificata e cristalli di sale, eseguire ecografie, saper monitorare lo stato di ossa e organi interni.

La NASA ha inoltre realizzato imballaggi ed equipaggiamenti adatti a conservare cibi (realizzati appositamente per lo spazio), farmaci per massimizzare la stabilità nel tempo di questi elementi fondamentali. Il tutto con tolleranze che vanno ben oltre i tre anni.

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