Categories: Tecnologia

Svita, la scuola di impresa di Lazio Innova per le startup del Life Science

Author: Michele Chicco Wired

Il progetto nasce per individuare sul territorio le migliori idee dei ricercatori e trasformarle in piani industriali strutturati appetibili per i fondi di venture capital grazie a un accurato percorso di formazione

(foto: Getty Images)

Sviluppare le idee legate alla scienza della vita e aiutare i ricercatori a valorizzare i loro progetti. Nasce da qui il progetto Svita, ideato da Lazio Innova per potenziare l’ecosistema dell’innovazione nel Life Science con una scuola di impresa dedicate a chi ha voglia di confrontarsi con un settore di per sé complicato che richiede competenze, capitali e soprattutto lungimiranza. “L’idea di Svita nasce dalla consapevolezza della Regione e di Lazio Innova sia dei punti di forza del settore sia della scarsa capacità di mettere in contatto il mondo dell’impresa e della ricerca”, spiega Michela Michilli, responsabile di Svita – Scuola di impresa per startup legate alla Scienza della vita di Lazio Innova.

La call scadrà tra pochi giorni, il prossimo 14 maggio, e per partecipare basta presentare un’idea, non è necessario avere un business plan strutturato. Saranno 20 le idee di ricerca che saranno selezionate per seguire il percorso di formazione: “In una prima fase”, spiega Michilli, “si aiuterà a capire come passa dalla ricerca al prodotto e capire le opportunità di mercato; una seconda fase solo per 5 team serivrà a capire come proteggere l’idea, come costituire la startup e guardare alla capacità di attrarre gli investimenti”. 

Ad affiancare il team di Lazio Innova ci saranno esperti del settore, come Mario Carìa, Venture Capitalist e imprenditore dell’healtcare: “È importante capire qual è l’aspetto della ricerca che più è giusto per il mercato e farlo diventare un piano industriale. Le scienze della vita sono estremamente complicate, lo sanno benissimo i ricercatori stessi: ci sono regole, sono necessari diversi anni di studio per implementare un prodotto e servono competenze multidisciplinari nelle fasi di sviluppo”.

I fondi di Lazio Innova

Chi sceglie di investire nel settore sa che serve studio e molta pazienza per portare avanti un’idea imprenditoriale. Lazio Innova per sostenere lo sviluppo dell’ecosistema regionale punta le sue fiches, come spiega Lorenzo De Fabio, responsabile operativo dei fondi venture capital di Lazio Innova: “Sono capitali pubblici di venture, cerchiamo di colmare il gap che c’è in Italia rispetto ad altri mercati europei. È una funzione di stimolo intelligente: noi possiamo prenderci dei rischi dove ci sono delle potenzialità, cercando di attrarre i privati anche con meccanismi premianti per aiutare a portare le idee dal laboratorio al mercato”.

Attraverso il fondo diretto Lazio Innova investe fino al 70%, in partnership con privati. “L’obiettivo è cercare di andare a lavorare in settori in cui anche gli stessi potenziali imprenditori hanno meno familiarità con quello che ormai lo startupper digitale per antonomasia”. 

Un’esperienza che Lazio Innova porta avanti da anni, come dimostra la storia di Genechron nella quale il veicolo regionale ha investito nel 2016. Roberta Gioia, amministratore delegato della società, ha seguito un percorso simile a quello disegnato per progetto Svita ormai anni fa, riuscendo a trasformare un’idea su carta in impresa del Life Science e superando tutte le difficoltà tipiche del settore: “Bisogna davvero avere un team multidisciplinare e cercare di legare ricerca e mercato per far uscire la società dalle dinamiche dei laboratori universitari e avere un approccio più industriale”.

Per sostenere l’innovazione, sottolinea Gioia, “l’apporto finanziario è fondamentale e questo forse in Italia è ancora un po’ carente. E banalmente perché nel Life Science l’industria dei capitali ha meno competenze rispetto ad altri settori industriali e riesce con meno facilità ad investire”.

La scommessa dei fondi sul Life Science

L’Aifi, l’associazione italiana che rappresenta i fondi di private equity, riconosce i limiti dell’industria del capitale di rischio italiana e dà qualche numero da leggere in prospettiva: “Sono una trentina in Italia i soggetti specializzati nell’Early stage”, spiega Alessandra Bechi di Aifi, “un mercato che nel 2019 sono stati circa 300 milioni di euro distribuiti su 100 operazioni. Se da un lato nel quinquennio gli investimenti sono un quinto rispetto alla Francia, è un mercato che si sta vivacizzando grazie a una filiera sempre più articolata”. Nello specifico su Biotech e medicale, i sementi in cui è suddiviso il Life Science, “sono circa 30 investimenti l’anno, con un trend in crescita negli ultimi cinque anni”. L’investimento medio “è vario” – in media 1/1,5 milioni di euro – con un “coordinamento della filiera” e l’interesse crescente dei fondi esteri. 

Sul fronte specifico del Life Science, sottolinea Bechi, “abbiamo la necessità di costruire competenze: sia dal lato del management che sul fronte delle startup. Manca un po’ la capacità di incontrarsi, ma c’è la volontà di rischiare. Certo – chiosa la manager – resta sempre valida la nostra statistica: su 100 business plan presentati uno viene finanziato”. 

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