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Come Tom Cruise è arrivato a girare un film nello spazio

Author: Gabriele Niola Wired

Quando una persona normale va in crisi di mezza età e si fa la moto, lui esce dall’atmosfera (letteralmente). Storia di un uomo che voleva diventare mito e ci è riuscito. Anche senza Oscar

Non è normale voler filmare delle scene di un film nello spazio. È sostanzialmente pericoloso e richiede una pianificazione e un allenamento decisamente superiori ai benefici. Certo causerebbe un battage così potente da garantire un ottimo incasso, ma non è di certo l’unico modo per ottenerlo. Specialmente se si ha la fortuna e il merito di essere Tom Cruise. Cosa spinga una star mondiale di 57 anni a pianificare di girare un film nello spazio quando di anni ne avrà 58 è probabilmente il fatto di non avere alternative per le proprie aspirazioni di successo se non il successo commerciale. Un successo senza limiti al rialzo, la versione personale del capitalismo spinto per la quale ad ogni film bisogna fare un po’ di più. E ora la sua carriera, se la vuole portare avanti in questo modo, lo costringe allo spazio.

Ma non è sempre stato così, Tom Cruise non è sempre stato votato all’incasso senza limiti e al cinema gigantesco più o meno scriteriato (a seconda dei casi e degli esiti di certo non sempre del medesimo livello). Non solo la sua carriera era partita diversamente, ma anche quando era già la star più pagata del mondo, aveva comunque altre ambizioni solo che ad un certo punto qualcosa si è rotto e l’immagine che desiderava per se stesso è definitivamente cambiata spingendolo a votarsi ad un successo senza freni.

Quando era partito gli ci erano voluti 4 film per arrivare ad essere protagonista. Risky Business lo lancia e 3 anni dopo Top Gun lo impone. Negli anni di Reagan è esattamente quello che serve, non ha solo la faccia americana pulita, ma ha la recitazione vogliosa e animale, ha la carica e l’ottimismo dei suoi anni, è davvero il corpo giusto nella decade giusta, una combine che farà fatica a replicare quando, decenni dopo comincerà a dover cambiare. È infatti molto sciocco identificare Tom Cruise con Top Gun e i film che ne sono seguiti, perché nello stesso anno di quel film che lo impone come star d’azione è anche protagonista con Paul Newman di Il colore dei soldi e solo due anni dopo gira Rain Man. Nei 4 anni successivi poi infila Nato il 4 Luglio e Codice d’onore.

Già nei primi 10 anni dal suo esordio dedica tantissimo tempo, risorse e impegno a forgiare un’immagine da grande attore. Tom Cruise si assicura sempre di tentare dei ruoli da Oscar, li cerca, li prova e recita in quelle parti come si recita quando si vuole vincere un Oscar. Eppure fino a metà anni ‘90 viene nominato solo una volta, per Nato il 4 Luglio (sedia a rotelle, sogno americano infranto, trasformazione fisica… c’era tutto). Di vincere non se ne parla nemmeno, quell’anno c’era Daniel Day Lewis con Il mio piede sinistro e l’unico che sembrava poterlo insidiare era il Robin Williams di L’attimo fuggente. Cruise non ha speranze. Tuttavia se c’è una parola che caratterizza lui, il suo successo e la sua recitazione è tigna. Tom Cruise ha una dedizione fuori dal normale che fa la differenza davanti all’obiettivo ma anche nella sua carriera.

Negli anni ‘90 è una star pazzesca ma accetta un ruolo non protagonista in Intervista col vampiro, porta al successo Mission: Impossible ma accetta un film piccolo come Jerry Maguire (seconda nomination totalmente a vuoto, quell’anno ce la poteva fare ma è battuto da Geoffrey Rush in Shine) e lavora così tanto di agenti, eventi, voli con l’Inghilterra e riduzione del cachet da ottenere un ruolo nell’ultimo film di Stanley Kubrick assieme a sua moglie (nemmeno una nomination), e non domo subito dopo gira un film in cui ha un ruolo addirittura marginale, un guru del sesso in Magnolia (terza nomination stavolta come non protagonista ma il premio va a Michael Caine in Le regole della casa del sidro). Sono tutti ruoli strani e sghembi in film che poi si sono rivelati ottimi incassi, anche per merito della sua presenza, ma (con l’eccezione di Eyes Wide Shut) non nascevano bene. Anzi. Nascevano come scommesse molto difficili.

Eppure Tom Cruise all’Academy non piace. All’inizio degli anni 2000 ha quasi quarant’anni e sono ormai dieci anni che è un fedele della chiesa di Scientology, una religione che funziona come una terapia e come una lobby, che aiuta i suoi adepti a incanalare le energie positive per dare il meglio di sé e che, specie in quegli anni, ha un piede saldamente radicato dentro Hollywood. In pratica aiutano carriere. È dalla fine degli anni ‘80 che la sua fidanzata dell’epoca Mimi Rogers l’ha introdotto eppure nonostante tutto ancora non ha un Oscar. La sua tigna si fa ancora più forte per tutti gli anni 2000 in cui, accanto ai soliti filmoni più o meno d’incasso o riusciti, mette in fila Vanilla Sky, L’ultimo samurai (un film interamente pensato per la sua interpretazione per fargli vincere un Oscar), Collateral (in cui muta, cambia, fa il cattivo e sperimenta), Leoni per agnelli (in cui tenta la strada del cinema classico con Redford a promuoverlo) fino ad Operazione Valchiria (la carta antinazista). Nemmeno una nomination. Niente.

Di mezzo ci si era messa la scenata sul divano di Oprah, i misteri sulla gravidanza di Katie Holmes all’epoca sua compagna e i video leakati in cui diffonde la conoscenza di Scientology e scredita la psichiatria. Il crollo d’immagine azzera le poche chance tanto che la Paramount dopo 14 anni di film insieme scarica lui e la sua casa di produzione. A quel punto tutto cambia per davvero. È lì che qualcosa si rompe. Da dopo Operazione Valchiria non ci sono più tentativi di vincere l’Oscar, non ci sono più ruoli complicati ma una costante escalation di stunt e film per mantenere eternamente giovane il suo status. Decide di inseguire i cinecomic sul loro terreno ma senza bisogno di maschere o eroi. È lui il supereroe. E più la sua stella tende ad appannarsi per il sopraggiungere degli anni più deve trovare escamotage promozionali clamorosi.

Quella tigna che metteva nelle scene e nella carriera, comincia a metterla nella sua promozione, fa partire un’operazione simpatia lunga un decennio fatta di comparsate nei late show, uova in testa, partecipazione a Tropic Thunder, ruoli di commedia e tutto quel che serve. Fa anche tre red carpet in un giorno con il suo jet privato. Ma non solo. Se aveva iniziato a fare da sé i suoi stunt già ad inizio anni Duemila, almeno quelli più rischiosi, a partire da Mission: Impossible II, una volta capito che esiste un nesso tra rischio apparente della propria incolumità e box office, non fa che battere sempre più su questo tasto. Ad oggi le cose assurde che fa per davvero sono l’elemento principale della promozione di ogni film della saga Mission: Impossible. Per l’ultimo si è buttato da un aereo e a questo punto, dopo tutto quel che ha fatto, dopo il volo da un aereo, giustamente per fare di più manca solo lo spazio. Se ci riuscirà.

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