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Riapertura, le regioni e il “lanciafiamme preventivo” contro il governo

Author: Luigi Mastrodonato Wired

Ieri invocavano libertà di decidere, oggi scaricano su Roma la responsabilità di un eventuale fallimento. Ricordiamo che De Luca, con 47 ordinanze e 25 chiarimenti, ha creato un modello Campania, rivendicando quotidianamente il potere di chiudere tutto

Stavolta il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, il lanciafiamme non l’ha diretto verso runner e neolaureati festanti, ma verso Roma. Non ha preso bene infatti che dal governo abbiano deciso di dare maggiore autonomia alle regioni nell’organizzazione della nuova fase di allentamento del lockdown che parte oggi, così che ogni realtà territoriale possa adeguarsi al proprio numero di decessi e contagi. Lo scontro stato-regioni, che si è consumato nelle scorse ore, è stato molto duro ed è principalmente per questo che si è arrivati a quel paradosso per cui un decreto che riapre tutto o quasi sia stato approvato a pochi minuti dalla riapertura stessa, aumentando le difficoltà di quei commercianti, ristoratori e via dicendo desiderosi di capire come organizzarsi logisticamente per l’eventuale alzata delle serrande.

Non è possibile che il governo scarichi opportunisticamente tutte le decisioni sulle regioni. Non è accettabile”, ha gridato De Luca in televisione. Anche il presidente della regione Lombardia, Attilio Fontana, pare abbia rallentato l’iter, proponendo durante la discussione notturna di ritardare di una settimana l’avvio della nuova fase per meglio definire alcuni paletti relativi alle riaperture. Una visione condivisa dal presidente della regione Molise, Donato Toma, e da quello della regione Abruzzo, Marco Marsilio. Come rileva il Corriere della Sera, la paura dei governatori riguardava i possibili risvolti penali di una riapertura senza sicurezza. In pratica un’ansia da responsabilità, il timore di dover rendere conto degli errori fatti in caso le misure adottate dovessero rivelarsi dannose per la salute pubblica nelle prossime settimane. Alla fine l’accordo è stato comunque raggiunto, con le regioni che unite hanno ottenuto l’integrazione delle proprie linee guida nel decreto, così da avere tutto nero su bianco, essere compatte quanto meno nei principi ed evitare contrasti interpretativi con le norme nazionali.

I timori regionali possono essere comprensibili. In generale, e più che mai in una situazione delicata come quella attuale, la responsabilità delle decisioni è giusto stia nelle mani dello stato, che tra mille task force e contatti con organismi internazionali più di tutti sa cosa è giusto fare e non fare. Eppure, tutto questo stona e non poco con la cronaca delle ultime settimane. Da tempo le regioni puntano il dito contro Roma e la sua custodia del potere decisionale, chiedendo maggiore autonomia e rivendicando di volta in volta il potere di scegliere come e quando riaprire, in modo indipendente. Lo fa da lungo tempo il governatore del Veneto, Luca Zaia, che già a metà aprile assumeva la leadership del movimento del riapriamo tutto. Lo faceva anche Attilio Fontana, che alla fine del mese scorso si diceva pronto ad allentare le limitazioni sulla base del programma delle quattro D. Lo ha fatto la presidente della regione Calabria, Jole Santelli, quando a inizio maggio ha riaperto bar e negozi in contrasto con le disposizioni nazionali. Lo fa infine Vincenzo De Luca, che con le sue quarantasette ordinanze e i suoi venticinque chiarimenti ha creato un modello Campania, rivendicando quotidianamente il potere di chiudere tutto: confini, comuni, porte di casa.

È paradossale allora che oggi, dopo settimane di richiesta di autonomia da parte delle regioni, a indignarsi per questa autonomia concessa siano proprio loro, le regioni. Il governo ha di fatto ceduto su questo punto, accogliendo le loro richieste ma anche mettendo sulle loro spalle la responsabilità delle scelte che faranno. Lo schema gradito da alcuni presidenti regionali filo-autonomisti sembrava però essere un altro, decisamente più comodo: all’interno dei nostri confini territoriali comandiamo noi, se però poi succedono casini la colpa è di chi ci ha dato questo potere, il governo appunto. Troppo facile così.

L’Italia è in balia di una guerra di responsabilità. Da una parte il governo che vuole passare la patata bollente alle regioni, dall’altra le regioni che vogliono passarla al governo. Di certo c’è che i governatori quella patata bollente l’hanno reclamata per settimane. Se oggi non la vogliono più per non doverne rendere conto in futuro, c’è allora un problema a monte. Fare politica significa adottare misure e prendersene la responsabilità. Accettare solo la parte comoda del pacchetto, così da lavarsene le mani se le cose non andranno come previsto, significa non essere buoni politicanti.

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