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Legge sul divorzio, cinquant’anni fa l’amore coniugale diventava una scelta

Author: Luigi Mastrodonato Wired

Da lì in poi si ebbero la riforma del diritto della famiglia, la legge sull’aborto e l’abrogazione del delitto d’onore. Oggi Papa Francesco apre la chiesa cattolica alle unioni civili

Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”. Ci aveva visto lungo Amintore Fanfani, segretario della Democrazia Cristiana, quando negli anni Settanta aizzava le folle nel suo tour per il Belpaese per fare campagna elettorale contro la legge sul divorzio del 1970. La normativa approvata l’1 dicembre 1971, dopo una estenuante seduta parlamentare durata per quasi un giorno intero, fu la prima pietra che venne tolta a quel castello di conservatorismo e arcaismo in cui si trovava imprigionata un’Italia in mano al cattolicesimo, dopo essere stata in mano al fascismo. Due realtà differenti che avevano però un elemento comune su tutti: la difesa dei valori della famiglia cosiddetta tradizionale, quella tra uomo e donna, che procrea e dura fino alla morte.

Matrimonio (Getty Images)
Matrimonio (Getty Images)

Quell’1 dicembre del 1970 si metteva la parola fine a un processo che andava avanti da ormai un secolo. Di divorzio si era parlato in Italia fin dall’Ottocento, ma tra la forte influenza della Chiesa prima, la lunga parentesi fascista poi e il nuovo dominio politico della Democrazia Cristiana nel dopoguerra repubblicano, non se n’era mai fatto nulla. La nuova proposta veniva dall’accorpamento di due testi sullo scioglimento del matrimonio proposti prima dal deputato socialista Loris Fortuna, poi da quello liberale Antonio Baslini. L’iter parlamentare fu lungo e accidentato, lo scontro tra la fazione più conservativa composta da Dc, Movimento Sociale Italiano e Monarchici da una parte e radicali e socialisti dall’altra fu aspro, ma alla fine la nuova normativa venne approvata e da subito si avviarono le prime pratiche di divorzio. Dc e Msi si attivarono in tandem per promuovere un referendum abrogativo, che si tenne nel 1974. Ma ormai era troppo tardi, l’Italia era già proiettata verso un futuro di diritti civili e libertà delle scelte personali. Vinse il no e negli anni successivi, come aveva teorizzato il preoccupato Fanfani, venne la riforma del diritto di famiglia (1975), poi la legge sull’aborto (1978), poi l’abrogazione disposizioni sul delitto d’onore (1981) e fecero la comparsa le prime proposte di legge sull’unione civile tra persone dello stesso sesso.

Mezzo secolo dopo, possiamo dire che il primo dicembre del 1970 fu il giorno che cambiò l’Italia. La legge sul divorzio, e il referendum che ne conseguì, portarono a un’enorme presa di coscienza collettiva sui diritti della persona e sulla loro rivendicazione che si tradusse in una mobilitazione di carattere trasversale. Una pentola che bolliva da tempo fece saltare il coperchio e da lì niente fu mai più come prima. L’Italia si era già emancipata mentalmente dai valori arcaici di stampo cattolico e fascista su cui molte delle sue leggi erano ancora fondate, ma tutto questo apparteneva alla quotidianità, alle pratiche, agli ideali senza che ancora trovasse posto in parlamento. Il 1970 è invece l’inizio di una nuova epoca civile, in cui crolla uno dei più grandi pilastri del conservatorismo nostrano, macerie su cui poi beffardamente si banchetta qualche anno più tardi con un esito del referendum che spiega come il viaggio verso il progresso non può più conoscere inversioni a U. Fu in quell’occasione che il principio costituzionale della laicità dello stato italiano trovò forse per la prima volta piena applicazione, così come si intervenne a tutela delle condizioni delle donne, prime vittime del concetto di matrimonio indissolubile. Non è un caso che proprio negli anni Settanta si impose in modo diffuso e forte il movimento femminista italiano.

Eppure, la rivoluzione civile partita in quegli anni oggi non si è ancora compiuta. I valori della famiglia così come concepiti dal conservatorismo cattolico e fascista più radicale non sono stati sepolti, al contrario continuano a permeare la nostra quotidianità in una pressione perenne perché si ritorni al passato. Il principale partito italiano, la Lega, ha tra i suoi massimi esponenti chi come il senatore Pillon ancora adesso chiede di abrogare la legge sul divorzio, o si batte per togliere l’assegno di mantenimento così da rendere lo scioglimento del matrimonio impossibile per molti, soprattutto le donne, ancora intrappolate in molti casi in condizione di subordinarietà economica al proprio coniuge. Sempre l’Italia è costretta a confrontarsi con passerelle come quelle del Congresso della famiglia di Verona, dove un mix di partiti italiani e associazioni conservatrici, tutti accomunati dall’avere al proprio interno persone divorziate, urlano dal palco contro conquiste decennali come il divorzio stesso, tanto da aver dovuto costringere il leader leghista Matteo Salvini a chiarire che la Lega non è contro allo scioglimento del matrimonio.

Cinquant’anni fa l’Italia cambiava radicalmente ma oggi quel viaggio verso il progresso non solo sembra essersi arrestato, ma pare voler tornare indietro. Il concetto di famiglia tradizionale è tornato in trending topic e il bigottismo che si pensava avesse cominciato la sua discesa verso il baratro negli anni Settanta continua oggi a sopravvivere, in quella che suona come una seconda vita di cui non avevamo alcun bisogno.

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