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Tutte le previsioni azzeccate (o quasi) da Stephen Hawking

Author: Sandro Iannaccone Wired

Il grande scienziato ci ha lasciato da tre anni, e molte teorie che ha elaborato in vita sono ancora in fase di verifica sperimentale. Ecco quelle che si sono rivelate corrette

(Foto: Jemal Countess / Stringer / Getty Images)

Il 14 marzo 2018, oltre tre anni fa, ci lasciava il grande scienziato inglese Stephen Hawking, uno dei fisici teorici più importanti dell’età moderna. Come già accaduto con Albert Einstein (e con diversi altri scienziati), molte delle sue teorie hanno passato il vaglio della prova sperimentale soltanto dopo la sua morte; e molte altre attendono ancora di essere provate. La carriera scientifica di Hawking è cominciata con la sua tesi di dottorato, edita nel 1966, ed è finita pochi giorni prima della sua morte, con la pubblicazione del suo ultimo articolo: oltre mezzo secolo di teorie e previsioni nei campi più all’avanguardia della fisica e dell’astrofisica, tra cui la termodinamica dei buchi neri, la descrizione del Big Bang, la teorizzazione delle singolarità gravitazionali e molto altro. Space.com ha messo insieme una breve lista delle teorie di Hawking che a oggi sono state validate e di quelle che al momento restano ancora ipotesi. Vediamole insieme.

Viva il Big Bang

Come dicevamo, la carriera di Hawking è cominciata con la sua tesi di dottorato, pubblicata in un momento di acceso dibattito nella comunità scientifica a proposito di due teorie cosmologiche contrapposte, quella del Big Bang e quella del cosiddetto stato stazionario. Entrambe le teorie erano concordi nel sostenere che l’Universo fosse in espansione, ma la prima postulava che l’origine dell’espansione fosse uno stato ultra-compatto e super denso, esistente in un momento preciso del passato, mentre la seconda assumeva che l’Universo fosse da sempre in espansione, con la creazione continua di nuova materia per mantenerne costante la densità. Hawking mostrò che la teoria dello stato stazionario non è coerente dal punto di vista matematico, e postulò che l’Universo come lo conosciamo oggi ebbe origine in un punto infinitamente piccolo e denso, una cosiddetta singolarità. La sua teoria è oggi quasi unanimemente accettata dal resto della comunità scientifica.

I buchi neri sono là fuori

Il nome di Hawking è strettamente associato alla teoria dei buchi neri, un altro tipo di singolarità che si forma quando una stella, esaurito il carburante che ne innesca le reazioni di fusione nucleare, collassa sotto l’azione della sua stessa gravità. L’esistenza dei buchi neri deriva direttamente dalla teoria della relatività generale di Einstein, e la loro reale esistenza è stata in dubbio più o meno fino all’inizio degli anni settanta, quando Hawking cominciò a interessarsi al problema. In un articolo pubblicato su Nature, lo scienziato britannico combinò le equazioni di Einstein con quelle della meccanica quantistica, mostrando che effettivamente i buchi neri, fino quel momento ritenuti una pura “astrazione matematica”, potevano effettivamente esistere nell’Universo. La prova finale della correttezza della teoria di Hawking è arrivata soltanto nel 2019, quando lo Event Horizon Telescope è riuscito a fotografare un buco nero supermassiccio al centro della galassia gigante Messier 87.

La radiazione di Hawking

I buchi neri si chiamano così perché il loro campo gravitazionale è così forte che niente, neanche i fotoni, le particelle che compongono la luce, possono sfuggirvi. O quasi: applicando una legge della meccanica quantistica, che postula che nel vuoto possa crearsi spontaneamente una coppia di “fotoni virtuali”, Hawking teorizzò che alcuni di questi fotoni avrebbero potuto essere creati anche al di fuori da un buco nero (la cosiddetta radiazione di Hawking). Anni dopo, gli scienziati del Technion-Israel Institute of Technology, in Israele, studiando un analogo acustico dei buchi neri (un oggetto che non consente alle onde sonore di sfuggire) rilevarono l’equivalente della radiazione di Hawking nel sonoro, esattamente dove e come previsto dal fisico britannico.

Il teorema dell’area dei buchi neri

Ancora buchi neri. Nella termodinamica classica, l’entropia è definita come la misura del “disordine” di un particolare sistema, e il secondo principio sostiene che l’entropia non può che aumentare nel tempo. Lavorando con il collega Jacob Bekenstein, Hawking propose un metodo per calcolare l’entropia di un buco nero a partire da una misura della sua area: l’osservazione delle onde gravitazionali emesse da due buchi neri in coalescenza, nel 2016, consentì ancora una volta di provare che l’intuizione di Hawking era giusta. “Le proprietà dei buchi neri che abbiamo osservato”, disse all’epoca alla Bbc, “sono coerenti con le mie previsioni del 1970: l’area del buco nero finale è maggiore della somma delle aree dei buchi neri iniziali”. Grazie, Stephen.

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