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Stray Recensione: il gioco del gatto che non graffia

Quando venne presentato nel 2020, Stray riuscì radunare su di sé un’attenzione decisamente poco prevedibile per un gioco puramente indie. Un’attenzione, però, facilmente intuibile. Dai al popolo dell’Internet un tenero micetto randagio in un mondo cyberpunk ricco di neon in cerca della via per tornare a casa e il gioco è fatto. Sono passati due anni dal primo incontro con il gioco di casa BlueTwelve Studio (e pubblicato da Annapurna Interactive) e finalmente abbiamo avuto l’occasione di provarlo e perderci nei suoi vicoli, saltando di grattacielo in grattacielo, rovesciando bottiglie e graffiando ogni superficie. Il tutto con un unico obiettivo: arrivare alla verità e ritrovare, appunto, la nostra strada di casa.

Il viaggio è stato breve, soddisfacente sotto certo verso punti, anche ricco di mistero e delle volte un po’ spaventoso. Ma in linea di massima, Stray è l’esatta raffigurazione di quanto possa essere difficile produrre videogiochi nel 2022: se l’idea è buona, male è invece la sua esecuzione e probabilmente in nessuno universo parallelo il gioco che arriva dal Sud della Francia è diventato un must have, ma più un gioco di piena estate, con cui spezzare ed evadere dalla monotonia dall’afa estiva e dall’astenia che ci colpisce quando la colonnina di mercurio schizza sopra i 30 gradi.

Stray: il gatto sul tetto che scotta

Le vicende di Stray cominciano in una maniera molto banale. Una colonia di felina, composta da quattro gatti (tra cui il nostro protagonista) decide di fare una piccola escursione. Questo prologo, che ha la funzione di servire come vero e proprio tutorial per farci apprendere le varie basi (decisamente semplici) del gioco, come i salti e ovviamente la corsa. Non tutto va però per il verso giusto e nel tentativo di compiere un salto precipitiamo verso il vuoto, separati per sempre dai nostri amici felini. Soli, sperduti e conciati male, inizia la nostra avventura per poter ricongiungersi alla nostra famiglia e ovviamente trovare la via di casa.

I primi trenta/quaranta minuti di gioco sono tutti focalizzati sull’esplorazione ed è alla fine del primo livello vero e proprio che faremo la conoscenza del drone B-12, dopo aver seguito le sue indicazioni per poterlo liberare. L’avventura, da qui, prende due interessanti bivi: oltre a dover ricondurre il gatto al suo “domicilio” naturale, dovremo anche ricostruire la storia del piccolo robot che ci accompagnerà verso l’esplorazione della città. In Stray è successo qualcosa di terribile, che ha rimpiazzato gli umani e ha spinto i robot senzienti, che hanno creato un loro particolare linguaggio, a rifugiarsi all’interno di città blindate e dal gusto cyberpunk. Nel corso della nostra avventura faremo la conoscenza di quattro personaggi, che hanno come obiettivo quello di fuggire dalla città: un gruppo di ribelli, che si fa chiamare “gli Oltraggiosi” e che purtroppo si è separato, a causa di alcune difficoltà.

Le premesse sono sicuramente interessati e il plot alla base è molto solido. Stray apre questioni e pone domande al giocatore in maniera continua e ci invita a esplorare ogni anfratto, ogni singolo vicolo, soprattutto per la ricerca di collezionabili e i ricordi di B-12, che ci aiuteranno a ricomporre la memoria del drone e le sue origini, oltre che saperne di più del mondo e sulla minaccia che lo affligge, ovvero gli Zurk, esserini che mangiano il metallo e i residui organici e che hanno obbligato il mondo a rifugiarsi all’interno di città chiuse da un’immensa cupola, blindando gli accessi e le uscite. Se sulla carta questo processo è sicuramente intrigante, non lo è invece la sua esecuzione, che risulta poco rifinita e probabilmente degna di un’inesperienza di uno studio al lavoro da troppi anni su quello che è stato banalmente definito come il “gioco del gatto”.

Si impegna ma non si applica

Partiamo subito anticipando come il gameplay di Stray sia stato creato in maniera intelligente. L’esplorazione verticale, così come le varie interazioni con i personaggi e l’offerta puramente ludica funziona decisamente bene. Fin troppo semplice, forse, con l’aiuto anche di muri invisibili che non ci permettono di cadere e ricominciare una run ogni 5 minuti, ma comunque funzionale. I problemi del gioco di casa BlueTwelve Studio sono però da ricercarsi in una realizzazione che sembra quasi approssimativa e che rischia, inevitabilmente, di lasciare delusi tantissimi, potenziali giocatori.

L’elemento portante di Stray sono i puzzle. Puzzle che ci vengono presentati fin dall’inizio del gioco, ma che poi non cambieranno mai per tutta la durata dello stesso. Sebbene Annapurna Interactive dichiari 8 ore per il completamento della storyline, in realtà il gioco si può chiudere in appena 5, di cui 4 passate a risolvere puzzle poco ispirati, troppo semplici e spesso senza un vero e proprio filo logico. Il pattern è sempre lo stesso: trova un barile, spostalo, interagisci con un personaggio e trova quello di cui ha bisogno. Troppo semplici, troppo lineari e che inevitabilmente alla lunga stufano. La presenza di B-12 non è solamente un aiuto per aprire porte o interagire con l’ambiente e la comunicazione, ma anche un vero e proprio aiuto troppo importante: è lui a darci i consigli su come terminare un quadro, anche se ovviamente non ce n’è proprio bisogno. “Semplificare è difficile, complicare è facile”, recita un detto. Qui però siamo appena all’esercizio di stile: la sensazione finale è quella di trovarsi davanti a una tech demo, un concept di quello che poteva essere il gioco definitivo. Questa ipotesi sembra quasi trovare una conferma quando ci avviciniamo alla sessione finale del gioco: da un certo punto in avanti c’è un intero capitolo filler, che non ha scopo di esistere e da lì in avanti la sensazione è che il gioco sia stato completato di fretta, tanto che i puzzle diventano praticamente un try and error e si perde anche il minimo di logica vista in precedenza. La narrazione, infine, pone diverse domande ma ci consegna poche risposte, come se fosse solamente un pretesto per introdurci al gameplay. Gameplay che risulta sì ben realizzato, ma troppo debole, troppo semplice e fin troppo lineare.

Don’t say cat if you don’t have in the sac

Cosa si salva, dunque, di Stray? Il profilo tecnico è probabilmente il migliore mai visto in un indie game. Senza ray tracing, i riflessi sono fatti davvero bene e graficamente il gioco risulta leggero e appagante. Non abbiamo riscontrato troppi cali di frame rate e la pulizia, a livello di bug, è decisamente invidiabile, soprattutto tenendo conto che ci troviamo davanti a un’opera probabilmente priva di patch day one. La vera forza di Stray però risiede nel comparto artistico. Gli sforzi di BlueTwelve Studio sono sì carenti a livello di gameplay, scrittura e di game design, ma non a livello di world building. Il mondo del gioco è sicuramente uno dei più belli che abbiamo visto in una produzione indipendente, affascinante, pauroso e sicuramente di spicco. Lo sforzo del team di sviluppo ha portato alla creazione di una vera e propria dimensione parallela in cui perdersi. Uno sforzo incredibile, che abbiamo visto solo in prodotti riservati ai Tripla A. Ottima anche la colonna sonora e i collezionabili sparsi in giro per il mondo, così come ottimi gli achievement, ideali per poter platinare senza troppo impegno un’avventura comunque interessante.

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Stray non è un’avventura irrinunciabile. Ci sono dei lati abbastanza positivi, che però non bastano a renderlo un prodotto appetibile per la maggior parte delle persone. Se si può sorvolare sulla breve durata (ed è doveroso), purtroppo il gameplay superficiale e la narrazione appena abbozzata e che non risponde alle varie domande che vengono poste sono un enorme limite a tutti coloro che cercano un’esperienza più soddisfacente. Per tutti gli altri, in cerca di qualcosa di nuovo, forse l’acquisto è più consigliato.

Piattaforme: PC, PlayStation 4, PlayStation 5

Sviluppatore: BlueTwelve Studio

Publisher: Annapurna Interactive

Author: GamesVillage.it

admin

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