Author: Wired
In effetti, il progetto non è stato finanziato per i primi otto anni, sopravvivendo solo grazie ai membri del laboratorio che gli hanno dedicato il proprio tempo libero. La domanda centrale che lo studio cercava di indagare, però, era ambiziosa: è inevitabile che le cellule immunitarie invecchino? Nel 1961, il microbiologo Leonard Hayflick sostenne che tutte le nostre cellule (ad eccezione di ovuli, sperma e tumori) possono dividersi solo un numero finito di volte. Negli anni Ottanta, dei ricercatori formularono l’idea che il processo potrebbe avvenire attraverso l’erosione dei telomeri protettivi – una sorta di aghetto alla fine dei cromosomi – che si accorciano quando le cellule si dividono. Dopo un numero sufficiente di divisioni, non rimangono più telomeri a proteggere i geni.
Nel giro di poco tempo, il progetto di Masopust ha iniziato a occupare la maggior parte del tempo di Soerens. L’immunologo doveva immunizzare la colonia di topi, prelevare campioni e attivare nuovi gruppi di linfociti T. Soerens doveva anche contare le cellule e analizzare la miscela di proteine che producevano, prendendo nota dei cambiamenti nel corso degli anni, che possono indicare cambiamenti nell’espressione genetica di una cellula o addirittura mutazioni nella sequenza genica.
Un giorno, poi, è arrivata una variazione diversa dalle altre: un alto livello di una proteina associata alla morte cellulare, chiamata PD1. Le cellule in questione però non erano esaurite: continuavano a proliferare, a combattere le infezioni microbiche e a formare cellule di memoria longeve, tutte funzioni che il laboratorio considerava marcatori di salute e longevità.
Così il laboratorio ha continuato a lavorare allo studio. Alla fine, dice Masopust, “la domanda era: quanto tempo è sufficiente per andare avanti prima di aver dimostrato il punto?”. Dieci anni sembravano adeguati (per la cronaca: tutti i gruppo di cellule dello studio sono ancora attive).
Susan Kaech, professoressa e direttrice di immunobiologia presso il Salk Institute for Biological Studies, sottolinea che la memoria immunitaria di lunga durata non è di per sé rivoluzionaria: li linfociti T umani possono sopravvivere per decenni se non vengono attaccati. Ciò che è davvero senza precedenti è che queste sono state sottoposte ad attacchi per un periodo di dieci anni: “Sarebbe come correre una maratona ogni mese”, aggiunge Kaech.
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