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Microchip, ora ne abbiamo troppi?

Author: Wired

Per chi ha seguito le notizie dal mondo della tecnologia, sarà sembrato che negli ultimi anni il mercato dei microchip sia essenzialmente impazzito. Blocco produttivo legato alla pandemia, ricostruzione delle catene di approvvigionamento su base geopolitica, reshoring industriale delle maggiori potenze, e soprattutto carenza globale di microchip a livello globale. Negli ultimi tre anni questi sono alcuni elementi chiave del dibattito pubblico riguardo una delle tecnologie più importanti per la nostra economia.

Recentemente però nel vocabolario del discorso sui semiconduttori è iniziata a comparire anche un’altra parola, che nel settore non si sentiva da un po’. Eccesso, o surplus se volete. Sembra che, nel giro di qualche mese, la situazione si sia ribaltata e che oggi invece siano prodotti addirittura troppi microchip. Che significato ha tutto ciò? Come è successo che da un estremo si sia passati all’altro? E come se ne esce?

Il progetto impossibile del Giappone per dominare l’industria dei microchip

Rapidus è la nuova società su cui Tokyo ha deciso di puntare per recuperare terreno nel mercato dei semiconduttori. Ma ha obiettivi estremamente ambiziosi. Forse troppo

Un fattore politico?

Negli ultimi anni il mercato dei semiconduttori, la componente essenziale con cui vengono prodotti i microchip, ha conosciuto una notevolissima espansione. I ricavi del settore nel 2021 contavano circa 600 miliardi di dollari, ma alcune proiezioni indicano che il settore in questo decennio crescerà un ritmo del 6-8% annuo fino a raggiungere i 1.000 miliardi di dollari nel 2030.

Davanti all’espansione di questo mercato, i paesi sviluppati non sono rimasti a guardare. Cina, Stati Uniti, Europa, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, India: tutti hanno messo in atto piani per prendersi una fetta di quel mercato, cercando di attrarre investimenti e di produrre possibilmente in loco i microchip richiesti dalle proprie industrie. Dietro a queste misure (in alcuni casi del valore di decine di miliardi) si cela certamente una ragione economica ma in molti casi la motivazione è prevalentemente politica: i semiconduttori infatti sono considerati da tutti una risorsa tecnologica troppo strategica perché un paese possa esserne dipendente dall’importazione. Molti governi dunque hanno approvato piani per riportare la produzione entro i confini nazionali, in un’ottica sia di sicurezza economica che di sicurezza militare (dati gli usi militari di certi tipi di microchip).

Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è qui che nasce l’eccesso di offerta. Certo, molti paesi hanno varato piani industriali enormi per riportare la produzione in casa, ma nella gran parte dei casi si tratta di investimenti recenti che non hanno ancora aumentato la capacità produttiva effettiva visto che gli stabilimenti sono ancora in costruzione.  L’origine dell’eccesso di microchip che stiamo vedendo oggi è invece da ricercare sul lato della domanda

La globalizzazione dei chip mette rischio il futuro di Taiwan?

Il raddoppio del produttore Tsmc già certo negli Stati Uniti e quello sempre più vicino in Giappone. E poi anche lo sbarco in Germania (e in Europa). I semiconduttori made in Taiwan conquistano il mondo. Sull’isola, però, in molti non sono contenti della scelta

Un mercato complesso

Intanto, la prima cosa da chiarire è che non c’è un eccesso generalizzato. Ciò che dallo scorso autunno si è cominciato ad osservare è un surplus produttivo rispetto alla domanda in alcuni settori industriali e relativamente ad alcune tipologie tecniche, mentre in altri settori e per altre tipologie il mercato continua a essere sottofornito. Per esempio nel settore automobilistico, che solitamente utilizza microchip la cui tecnologia è già abbastanza matura, si prevede una continuazione dell’attuale carenza di semiconduttori. L’elettrificazione, che aumenterebbe la componentistica di microchip in un’auto da 500 dollari a 1.600, è poi un processo che rischia di esacerbare ulteriormente questa penuria.

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