Categories: Tecnologia

Come Pixar ha sfruttato l’intelligenza artificiale per creare Elemental

Author: Wired

Fortunatamente, a Kanyuk è venuta un’idea. Il supervisore si occupava di animazione alla Pixar dal 2005, dai tempi di Ratatouille, e aveva sempre fatto fatica a far apparire nel modo corretto i vestiti di grandi gruppi di persone. Mentre cercava di risolvere il problema, è entrato in contatto con Siggraph, un’organizzazione che fa parte dell’Association for Computing Machinery ed è dedicata al progresso della computer grafica. Intorno al 2016, ha trovato alcune ricerche del gruppo sull’uso dell’apprendimento automatico per perfezionare le simulazioni di tessuti, che ha poi cercato di padroneggiare. Elemental gli ha dato l’opportunità di mettere in pratica ciò che aveva imparato.

Intorno al 2019, Kanyuk si è imbattuto in un documento del Siggraph Asia sull’uso del neural style transfer (Nst) – il tipo di intelligenza artificiale che serve a riprodurre su una foto lo stile di Van Gogh o Picasso – per muovere i voxel (in sostanza pixel 3D dotati di volume) nelle animazioni e dare a un personaggio un determinato aspetto. Kanyuk pensava che l’Nst potesse aiutare la Pixar a risolvere il problema delle fiamme, nonostante avesse specificato a Sohn che c’era solo il 50 per cento di possibilità che la tecnica funzionasse, come succede per gran parte dell’apprendimento automatico. Gli ho detto: “Ti darò cinque idee e forse ne funzioneranno due”; la risposta del regista è stata: “Facciamole tutte”, racconta Kanyuk.

Kanyuk ha quindi chiesto l’aiuto dei Disney Research Studios, con cui la Pixar aveva già collaborato per Toy Story 4. Il laboratorio, che ha sede Zurigo, è specializzato nella ricerca di metodi per far in modo che l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico possano per esempio far apparire gli attori più vecchi o più giovani, o ricreare al meglio le caratteristiche della pelle di una persona. “Molti di noi non si sono occupati di apprendimento automatico fino a poco tempo fa, quando non ha iniziato a diffondersi; quindi abbiamo imparato sul campo – riferisce Kanyuk –, mentre per quanto riguarda la ricerca che esce dal laboratorio Disney, loro vivono e respirano questa roba“.

Kanyuk ha iniziato a incontrarsi regolarmente con il team dei Disney Research Studios. Insieme sono riusciti a risolvere il problema del fuoco reclutando un artista della Pixar, Jonathan Hoffman, che ha disegnato una serie di fiammelle vorticose, appuntite e quasi cartoonesche che il team ha soprannominato “gigli”. L’Nst è riuscito a combinarle con il fuoco indefinito della simulazione originale, ottenendo il movimento e l’intensità tipica delle fiamme, appena smorzata da un pizzico dello stile Pixar.

L’unico inconveniente, naturalmente, è che l’utilizzo di questo tipo di apprendimento automatico richiede un’enorme potenza di calcolo. Dopo tutto, applicare la tecnica su tutte le 1600 inquadrature di Elemental si sarebbe rivelata un’impresa monumentale, soprattutto se si considera che il processo richiedeva molti processori grafici. “All’inizio non avevamo le risorse, quindi abbiamo detto a [Sohn] che probabilmente avremmo potuto realizzare Ember solo nei primi piani“, ricorda Bakshi. Poi, continua Kanyuk, gli animatori si sono resi conto che se avessero usato la tecnologia per Ember avrebbero dovuto applicarla anche agli altri personaggi di fuoco.

L’idea ha funzionato. Alla fine, Kanyuk e tutti le altre persone coinvolte in Elemental sono riusciti a realizzare le inquadrature necessarie. La Pixar sta ancora “grattando la superficie” delle potenzialità dell’Nst, sottolinea Kanyuk, “ma sono molto entusiasta di aver trovato un caso d’uso su Elemental che ha alzato il livello del tipo di immagini che possiamo creare“.

Per Sohn, è stata l’occasione per dare al film l’aspetto che desiderava, creando allo stesso tempo qualcosa di inedito per il pubblico. È il simbolo di una di ciò che il regista ama della Pixar: l’incontro tra arte e tecnologia, in cui quest’ultima è una parte fondamentale del processo e non un semplice elemento.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired UK.

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