Categories: Energia

La pesca inquina le barriere coralline con la plastica

Author: Rinnovabili.it

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La concentrazione di plastica è maggiore nelle barriere coralline ai limiti delle aree marine protette

(Rinnovabili.it) – Perfino gli ecosistemi più suggestivi del mondo sono ormai stati raggiunti dalla plastica. Tra le barriere coralline si annidano infatti un gran numero di detriti, che aumentano con la profondità. E derivano soprattutto dalle attività di pesca. Lo racconta un articolo pubblicato su Nature, che descrive uno studio dei ricercatori della California Academy of Sciences, dell’Università di San Paolo, dell’Università di Oxford e dell’Università di Exeter.

Quattro atenei in diversi paesi del mondo, insieme per mappare l’impatto della plastica sulle barriere coralline. Attraverso indagini visive subacquee che hanno coperto 25 hotspot negli oceani Indiano, Pacifico e Atlantico, i ricercatori hanno portato alla luce la distribuzione dell’inquinamento da plastica e le sue cause. I ricercatori hanno condotto più di 1.200 osservazioni in ​​84 ecosistemi di barriera corallina in 14 paesi. Per le barriere più profonde e difficili da raggiungere, situate nelle cosiddette “zone crepuscolari” (30-150 metri di profondità), hanno usato attrezzature subacquee specializzate. 

I risultati sono interessanti. Anche se chiaramente si tratta di ecosistemi meno inquinati delle coste e delle zone umide, presentano criticità uniche. La quantità di plastica aumenta infatti con la profondità ed è principalmente dovuta alle attività di pesca. L’88% dei detriti trovati era costituito da macroplastiche, più grandi di 5 centimetri. Come è possibile che finisca però così in profondità? I ricercatori ipotizzano due cause: il moto ondoso che porta i frammenti a impigliarsi nelle barriere coralline e i sub che li rimuovono solo da quelle barriere superficiali, più facili da raggiungere.

In questo modo, l’inquinamento più profondo non si riesce a ridurre. La cosa preoccupante è che la concentrazione della plastica è maggiore nei paraggi delle aree marine protette. Questo perché ai limiti di queste zone il mare è più pescoso e i pescatori battono il confine per massimizzare le catture. In questo modo, reti e altri attrezzi in plastica si accumulano in dosi massicce.

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