Categories: Tecnologia

La macchina della verità alle frontiere dell’Europa è stata un assegno in bianco

Author: Wired

  1. La battaglia legale
  2. L’avatar che ti interroga
  3. Ancora nella nebbia

La battaglia legale

Eppure, a distanza di anni, la macchina della verità pensata per sorvegliare le frontiere dell’Europa è ancora avvolta dalla nebbia. La richiesta di trasparenza sul programma di ricerca, finanziato attraverso i fondi pubblici della Commissione, è stata oggetto di una lunga disputa legale tra Patrick Breyer, europarlamentare tedesco eletto nelle file del Partito pirata che chiedeva accesso ai documenti di iBorderCTRL, e l’Agenzia europea per la ricerca esecutiva (Rea), titolare delle informazioni, che invece le negava trincerandosi dietro la necessità di tutelare il segreto commerciale delle aziende coinvolte. Avviato nel 2019, il caso è arrivato giovedì 7 settembre a una svolta, determinata da una sentenza della Corte di giustizia europea. La quale ha stabilito che non si possono nascondere tutte le informazioni su un progetto di ricerca dietro la maschera del brevetto commerciale, ma solo quelle relative a strumenti e tecnologie, e che occorre dare risposte anche su programma in corso d’opera. Tuttavia, i giudici di Lussemburgo hanno accettato che i documenti siano forniti con molte parti nascoste, perché manca un’urgenza particolare per svelare completamente l’intero contenuto.

Breyer ha così pubblicato sul suo sito il fascicolo ottenuto da Rea, che Wired ha consultato per approfondire la vicenda. Il parlamentare ha ottenuto 45 documenti, che partono dagli esordi di iBorderCTRL, all’epoca presentato come progetto iCross, fino al piano di comunicazione messo punto dagli sviluppatori. Il primo file è la domanda di finanziamento presentata alla Commissione europea. È il 2015 e gli ideatori descrivono un sistema portatile di controllo intelligente. Acronimo: iCross. Alle spalle c’è una cordata di 13 enti tra aziende, università e forze dell’ordine. Al timone c’è la European dynamics Luxembourg, società informatica specializzata in servizi ai governi. Poi l’Università metropolitana di Manchester, quella di Hannover, la spagnola Everis, che opera nel campo dell’aerospazio, e la società polacca della difesa Jas.

L’obiettivo è realizzare un doppio sistema di sorveglianza alle frontiere. La fase uno prevede una registrazione pre-partenza nel momento in cui si pianifica il viaggio, con l’invio di dati personali, documenti di viaggio, targhe di un veicolo, accompagnata da una breve intervista, “automatizzata e non invasiva, scrivono, condotta da un avatar e soggetta all’identificazione di bugie, da collegare ai dati già raccolti ma anche ad altri pubblici per stabilire un grado di rischio della persona. La fase due consiste invece nel controllo al momento dell’arrivo, attraverso strumenti portatili che possono essere usati anche su autobus e treni, per verificare la corrispondenza delle informazioni, per esempio attraverso strumenti di riconoscimento facciale, e far passare il confine. Uno strumento del genere, nelle intenzioni dei promotori, serve ad accelerare i controlli, riducendo tempi e costi. Proprio il denaro risparmiato è una delle leve a cui si affidano, citando, nel 2015, uno studio del 1980 secondo cui la riduzione dei controlli alle frontiere aumenterebbe il pil nazionale del 2,5% ogni anno.

L’avatar che ti interroga

Il sistema di iBorderCTRL è composto da vari strumenti. Il principale è il rilevamento automatico delle bugie. Automatic deception detection system (Adds), questo il nome tecnico, che attraverso interviste video fornisce “un livello di falsità stimato sull’analisi di sessioni registrate di domande e risposte”, si legge nel documento. “Le domande – proseguono i proponenti –, imprevedibili per i viaggiatori, si concentreranno su argomenti basati sulle loro informazioni e sul loro profilo”. Per esempio? “Nel caso di persone in arrivo da paesi terzi come migranti, si concentreranno sulla verifica di bugie legate al coinvolgimento nel terrorismo, nel traffico di esseri umani o di stupefacenti”. Un’affermazione che non suona certo come una premessa di terzietà nell’approccio all’analisi dei dati.

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