Author: Wired
Già ieri abbiamo riportato dei malfunzionamenti di ChatGpt, che hanno reso il chatbot inaccessibile fino alle 17 del pomeriggio, quando poi tutto è tornato funzionare alla perfezione – o quasi -. Oggi, invece, torniamo a parlarne per capire qual è stata davvero la causa dell’interruzione dei servizi di ChatGpt e delle Api del programma, ossia quegli strumenti che consentono gli sviluppatori di integrare il chatbot all’interno delle proprie applicazioni. Secondo quanto affermato dalla stessa OpenAI, infatti, questi malfunzionamenti sarebbero dovuti “a un modello di traffico anomalo che riflette un attacco DDoS”.
“Stiamo riscontrando una domanda eccezionalmente elevata. Tenete duro mentre lavoriamo per ridimensionare i nostri sistemi”, così ieri ChatGpt aveva comunicato ai suoi utenti l’impossibilità di utilizzare il suo servizio, lasciando intendere che la causa poteva essere da ricercare negli attacchi DDos. Ma mentre OpenAI ha temporeggiato per rivelare ai suoi utenti la reale causa dell’interruzione dei suoi servizi, nella giornata di ieri la cybergang Anonymous Sudan ha rivendicato sin da subito la paternità degli attacchi. “Il collegamento ChatGpt è completamente morto ormai in tutto il mondo, migliaia di segnalazioni su Twitter e sui social media, vediamo se ammetteranno che si tratta di un attacco DDoS”, hanno scritto i criminali sul loro canale Telegram, senza lasciare spazio a dubbi di alcun tipo riguardo la causa dei problemi del chatbot.
Più nel dettaglio, i cybercriminali hanno ammesso di aver colpito OpenAI utilizzando attacchi DDoS Layer 7, che permettono di prendere di mira un sito o un’applicazione con l’obiettivo di sopraffarne i servizi con un volume enorme di richieste, causandone il blocco completo poiché il sistema non riesce a elaborare tutte le richieste ricevute. Si tratta di attacchi molto efficaci – come dimostrato dalle numerose interruzioni riscontrate ieri sui servizi di ChatGpt -, perché mettono dura prova le risorse del server e della rete degli obiettivi colpiti. D’altronde, la cybergang Anonymous Sudan aveva già dimostrato di apprezzare particolarmente questa tecnica lo scorso giugno, quando ha bloccato i servizi di Outlook.com, OneDrive e del portale Azure di Microsoft. Ora, a distanza di mesi, i criminali tornano a usare la stessa strategia per colpire il chatbot più utilizzato al mondo, probabilmente per inserirsi nella scena dei cyberattacchi legati alla guerra tra Israele e Hamas. Oppure chissà, il motivo resta ancora da capire.
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