Categories: EconomiaTecnologia

Piracy Shield, la piattaforma nazionale antipirateria, sta esaurendo il potere di oscurare siti

Author: Wired

Finora, in caso di errore, i titolari di domini censurati dall’Italia hanno avuto come unico strumento il ricorso legale entro cinque giorni dal blocco. Un problema cogente, se si considera che non è prevista alcuna notifica dell’oscuramento al titolare e che quest’ultimo potrebbe anche non accorgersene entro i tempi stabiliti dalla legge. Un altro effetto positivo di un cambio nella norma potrebbe riguardare gli operatori più piccoli tra gli Isp, tenuti a implementare i blocchi stabiliti da Piracy Shield entro trenta minuti. Questi hanno lamentato le difficoltà di rispettare le regole e hanno dovuto fare i salti mortali con un aggravio dei costi di gestione.

La strada che l’Autorità intende suggerire a Palazzo Chigi è quella di modificare l’oscuramento del sistema antipirateria in un blocco temporaneo, della durata di qualche mese, trascorso il quale l’indirizzo Ip torna disponibile. I tecnici consultati da Agcom, d’altronde, hanno spiegato che i pirati abbandonano gli indirizzi Ip bloccati per saltare su quelli ancora visibili con lo streaming illegale, in una rincorsa eterna tra guardie e ladri che rischia di ridurre sensibilmente, alla lunga, le risorse internet accessibili dall’Italia. E che a pagare siano siti innocui, mentre i criminali del pezzotto sbarcano su altri lidi dove proseguire indisturbati le loro trasmissioni.

Questo succede perché Piracy Shield è stata progettata come se a ogni indirizzo Ip corrispondesse un singolo dominio, mentre oggi la rete informatica è parecchio più complessa e a un solo Ip potrebbero corrispondere migliaia di risorse web, anche perfettamente lecite. È così che un singolo ticket di oscuramento brucia un sacco di risorse online, che spesso niente hanno a che fare con lo streaming pirata. Risorse che, non intervenendo in propria difesa entro cinque giorni dallo stop, si trovano con un blocco irrevocabile.

Cloudflare, multinazionale statunitense dei servizi di content delivery network (cdn, le reti di server che accelerano il caricamento delle pagine web scegliendo il più vicino all’utente) e della sicurezza in cloud, ha scritto ai gestori dei siti oscurati senza motivo da Piracy Shield il 24 febbraio, spiegando loro come far ricorso. Wired ha chiesto ad alcuni operatori che vendono domini online, come Ovh Cloud, Cloudflare e Akamai, se verificano prima la disponibilità del dominio in Italia dopo l’avvio di Piracy Shield, ma nessuno ha risposto alla nostra richiesta di commento.

Quanto vale Piracy Shield?

Per tutte queste ragioni si è resa necessaria una correzione di rotta. A quanto apprende Wired, Agcom sta discutendo come intervenire all’interno dei tavoli di confronto con gli operatori, nell’alveo di quello avviato lo scorso anno prima del lancio della piattaforma. Ma chi presidiava quelle riunioni? Attraverso una richiesta di accesso agli atti, Wired ha ottenuto la lista dei partecipanti, tra i quali Amazon, i rappresentanti dei fornitori di servizi internet e degli operatori di telecomunicazioni, rispettivamente Assoprovider e Asstel, il Comune San Benedetto del Tronto (che non ha mai risposto alla richiesta di Wired sulla sua presenza al tavolo), Confindustria, i detentori dei diritti come Dazn, Rti (gruppo Mediaset) le grandi compagnie di telefonia come Tim, Tiscali, Vodafone, Wind, Fastweb e Iliad e le leghe sportive del calcio (serie A, B e Pro) e del basket, Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn),Guardia di Finanza, Polizia postale, associazioni antipirateria e del ministero delle Imprese e del made in Italy. Mancavano però gli Isp che non afferiscono a un’associazione di categoria. “Sto scoprendo ora che c’era una convocazione, ma io non ho mai ricevuto nulla e non sapevo nemmeno di dover andare a cercarmela”, spiega uno di loro a Wired.

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