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Star Wars (e la crossmedialità) come nuova frontiera della narrazione

Author: Hardware Upgrade

Ho sempre visto la storia del cinema come un progressivo affinamento delle tecniche di narrazione. Ogni fase successiva ha preso spunto dalla precedente, l’ha arricchita e migliorata. Il risultato è stato una velocizzazione del ritmo cinematografico, con scene che sono diventate sempre più corte, dialoghi più stringati e azione più frenetica, senza sacrificare la profondità del messaggio. Quest’ultimo, infatti, è stato affidato a componenti esterne rispetto alla parola. Un giovane di oggi farebbe molta fatica a vedere un film degli anni ’50 o ’60 proprio perché abituato a un tipo di comunicazione completamente differente.

Il ruolo che una volta era solamente della parola è stato spesso preso dalla rete di citazioni e dal sottotesto che esiste nelle scene di un’opera filmica. Quentin Tarantino è stato il principale esponente di questo modo di fare narrazione: in una sua sequenza potreste vedere la maglietta di un personaggio che rimanda a un’idea o a un’altra scena di un suo stesso film, ascoltare una musica che si riferisce a un certo contesto o sentire delle parole che si rifanno a qualcosa di completamente diverso. Concentrare tutti questi stimoli in una singola sequenza aumenta il lavoro e l’intensità dell’interpretazione dello spettatore. Dovendo lavorare mentalmente di più per sviscerare la fitta serie di citazioni si sentirà più coinvolto e più partecipe nella narrazione, e percepirà come migliore ciò che sta vedendo.

Questa progressiva velocizzazione narrativa, e conseguente intensificazione, a un certo punto ha subito un arresto, probabilmente identificabile con il film C’era una volta a… Hollywood, non solo in Tarantino ma in tutto il cinema. Con nuove forme di narrazione che sono emerse, e mi riferisco alle Storie di Instagram tra le altre cose, ma anche agli show televisivi e ai videogiochi, si è assistito a una brutale frammentazione dell’intrattenimento. Oggi saltiamo da un contenuto all’altro a una velocità inimmaginabile fino a qualche anno fa: non riusciamo più a concentrarci su opere lunghe, come un film di 3 ore o un romanzo molto articolato, ma anche un videogioco single player che richiede 100 ore per poter essere completato.

Lo stesso Tarantino non riesce ad andare oltre quel C’era una volta a… Hollywood (non ha più fatto film da allora), mentre le recenti uscite cinematografiche non si concentrano più sul miglioramento delle tecniche di narrazione, ma ripropongono vecchi stilemi (o addirittura le medesime storie) del passato. Quella ricerca di velocizzazione e intensificazione, in altri termini, è giunta al termine e, con i videogiochi stessi che hanno fallito nel dare un contributo per quanto riguarda la parte di racconto (oggi prevalgono le forme ludiche pure, non quel mix tra interazione e racconto che a un certo punto ha fatto sperare che il media ludico stesso potesse in qualche modo superare quello cinematografico), si cerca lo step evolutivo successivo.

Che, a mio modo di vedere le cose, è la crossmedialità, e Star Wars evidenzia al meglio questo concetto. Certo, è il Marvel Cinematic Universe che per primo ha elevato questi presupposti all’ennesima potenza, ma con Star Wars si fa un successivo passo in avanti. In altri termini, oggi non è tanto la storia in sé a fare la differenza, o il modo con cui viene raccontata, ma è stabilire un immaginario, ovvero una fitta rete di rimandi e di nozioni che realizza una dimensione parallela a quella reale. All’interno di questa dimensione gli autori, poi, immergono storie e personaggi in modo tale che, interagendo con i rimandi precedentemente realizzati, coinvolgano lo spettatore in maniera diversa.

Oggi, Star Wars si compone non solamente dei film delle trilogie principali, ma anche da romanzi, fumetti, serie televisive (animate e filmiche) e videogiochi. Anche se per ragioni recondite e difficili da interpretare non tutti i fan lo accettano, tutte queste opere, a prescindere dalle peculiari tecniche di narrazione di ogni media diverso, concorrono con pari dignità alla formulazione dell’immaginario di Star Wars, al significato delle vicende e alla caratterizzazione dei personaggi. La serie televisiva The Acolyte che in questi giorni sta debuttando su Disney+ è un’opera filmica seguito di un’opera cartacea (tutta la narrazione dell’Alta Repubblica, avvenuta fino a ora solo tramite romanzi e fumetti) e prequel di un film, Episodio I: La Minaccia Fantasma, oltretutto arrivato al cinema 25 anni prima.

Dovrebbe essere chiaro che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso rispetto a tutto quello a cui abbiamo assistito fino a oggi. Qualsiasi contenuto di Star Wars, che sia un livello di un videogioco, una puntata di una serie TV per bambini o un film, presenta per ogni scena una serie di rimandi, o di Easter Egg, talmente grande che serve una guida – e questo anche per il più esperto dell’immaginario di Star Wars – per poter decifrare tutto, cogliere il vero senso delle cose e avere un’esperienza perfettamente gratificante.

Capite bene che se in una data sequenza ci si intrattiene solo per i duelli con le spade laser o per aver colto le evoluzioni psicologiche dei protagonisti è un conto, mentre è ben diverso rivedere un personaggio che aveva prodotto certe emozioni alla lettura di un dato fumetto o cogliere un riferimento politico a una precedente generazione che, magari, era stato introdotto in un vecchio romanzo canonico. Non solo si tratta di aumentare l’intensità del lavoro dello spettatore nell’interpretazione, come abbiamo detto prima, ma di combinare emozioni diverse in una maniera molto potente e, appunto, nuova. Non fai in tempo a cogliere il riferimento a una vecchia serie televisiva, che l’autore ti sbatte contro un parallelismo tra le giovani protagoniste della serie e ciò che ha vissuto il piccolo Ani nella sua gioventù, il tutto all’interno di una fitta rete di significati che richiamano i concetti storici di Star Wars come l’equilibrio tra lato oscuro e lato chiaro, la manipolazione o la rassegnazione a vivere un’intera vita all’interno di un’armatura perché non si vuole dimenticare il forte sentimento che è stato provato per una donna.

Oggi per me Star Wars rappresenta quasi tutta la dimensione dell’intrattenimento “nerd”. Quando finisco di lavorare o finisco le mie attività quotidiane, la mia evasione è quella di rifugiarmi in un mondo unico, che conosco bene. Ci sono storie, significati ed emozioni costruite in modo più o meno articolato come fanno le forme di narrazione tradizionali, ma tutto questo è inquadrato all’interno di un unico immaginario. Ed è per questo che i nuovi contenuti di Star Wars hanno una ricezione molto diversa, tra chi li adora, e prova delle emozioni fortissime, che possono essere di commozione o di ira, e chi rimane indifferente: non ha ancora capito che Star Wars è crossmedialità, e che seguirlo differentemente equivale quasi a non seguirlo.

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