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Fornitura e gestione colonnine ricarica EV, bando a Ostiglia (MN)


Author: piantanida QualEnergia.it

Il Comune di Ostiglia (MN) apre un avviso pubblico per l’individuazione di operatori economici interessati alla fornitura, installazione e gestione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici. Importo: non dichiarato Scadenza: 6 dicembre 2019 Il bando

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Energia idroelettrica: i possibili rischi sul clima

Author: redattore Rinnovabili

Energia idroelettrica

Credits: soukmano da Pixabay

Uno studio dell’Environmental Defense Fund mette a punto un nuovo metodo per misurare l’impatto climatico delle centrali a energia idroelettrica

(Rinnovabili.it) – L’energia idroelettrica è una energia rinnovabile, la cui produzione sfrutta il movimento di grandi masse di acqua per generare elettricità. La rinnovabilità della fonte idrica porta a considerare la tecnologia idroelettrica come una soluzione rispettosa dell’ambiente, specie se paragonata agli impianti a base di combustibili fossili. Per quanto ciò sia vero, uno studio prodotto dai ricercatori dell’Environmental Defense Fund, pubblicato su Environmental Science & Technology, mette in guardia dagli impatti climatici delle centrali idroelettriche.

Nello specifico, i ricercatori mettono in luce quello che sembra essere un rilevante fraintendimento nella valutazione degli impatti ambientali dell’energia idroelettrica, vale a dire l’idea che le emissioni di gas serra prodotte dalle grandi centrali ad acqua fluente o a bacino  siano simili a quelle degli impianti che fanno uso del vento.

Secondo la ricerca, la maggior parte degli studi sull’impatto climatico dell’energia idroelettrica ha trascurato alcuni fattori, essendosi basata su una semplice indagine “aggregata”: valutare gli impatti su un arco temporale di 100 anni usando come unità di misura quello che accade in un anno. Questo tipo di analisi, che si avvale di una somma e di una prospettiva a lungo termine, trascurerebbe però gli impatti a breve termine dell’energia idroelettrica, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di metano. Il problema, infatti, nasce quando – a fronte di una maggiore richiesta di elettricità, e dunque di acqua – il livello dell’acqua negli invasi a monte delle dighe scende e questo abbassamento fa in modo che i sedimenti sul fondo si riscaldino, favorendo l’attività microbiotica che rilascia metano in atmosfera. Secondo lo studio, oltre alle emissioni di metano, le ricerche finora condotte avrebbero omesso anche le emissioni di anidride carbonica associate allo sviluppo iniziale degli impianti.

>>Leggi anche Sorvegliando le emissioni di metano: il nuovo tracciatore della IEA<<

Rispetto all’impatto climatico dell’energia idroelettrica, dunque, occorre adottare non semplicemente un approccio aggregato, ma un tipo di analisi che riesca a valutare ogni centrale caso per caso e nel breve termine. Lo studio dell’Environmental Defense Fund, infatti, vuole dimostrare che gli impatti sul clima variano sostanzialmente sia nei diversi luoghi del pianeta, sia nel tempo. Il risultato è che alcune strutture idroelettriche emettono in realtà più gas serra rispetto a quelle che bruciano combustibili fossili.

I ricercatori, infatti, hanno analizzato gli impatti climatici delle emissioni di anidride carbonica e metano su un campione di 1.473 impianti idroelettrici in 104 paesi. Il team ha scoperto che le emissioni erano in media molto maggiori (e quindi con un più grande impatto climatico) rispetto a quelle degli impianti nucleari, solari ed eolici, ma generalmente migliori per il clima rispetto alle emissioni da carbone e gas naturale. Tuttavia, alcune singole centrali idroelettriche sono risultate più impattanti (a breve e lungo termine) rispetto alle centrali a carbone e gas naturale. Questo significa che, nel breve periodo, i benefici climatici derivanti dall’uso dell’energia idroelettrica sono stati più piccoli, soprattutto a seconda della regione. La ricerca, infatti, stima che i nuovi impianti in Europa abbiano impatti climatici quasi nulli, mentre quelli africani abbiano prodotto impatti climatici maggiori rispetto alle centrali a carbone e gas naturale. Per tale ragione, i ricercatori concludono la loro ricerca sottolineando la necessità di considerare come prioritaria la progettazione di nuovi impianti idroelettrici che siano a prova di climate change.

>>Leggi anche Idroelettrico prima fonte rinnovabile in Italia, ma necessita manutenzione e rinnovamento<<

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Agenzia delle Entrate, risposta 481/2019


Author: gmeneghello QualEnergia.it

14 Novembre 2019

Scarica il pdf Collegato all’articolo “Ecobonus, si può cedere il credito a più soggetti?”

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MarinaTex: la bioplastica dagli scarti di pesce

Author: redattore Rinnovabili

MarinaTex

Credits: Free-Photos da Pixabay

Flessibile, resistente, compostabile e commestibile: MarinaTex vince il premio Dyson e si prepara a sostituire la plastica monouso

(Rinnovabili.it) – Si chiama Lucy Hughes, ha 23 anni e ha inventato MarinaTex, un materiale compostabile prodotto grazie ai sottoprodotti dell’industria della pesca, nella speranza che – un giorno – possa sostituire del tutto la plastica monouso. MarinaTex è il frutto degli studi in Product Design seguiti da Hughes presso l’Università del Sussex. Tutto nasce dal lavoro di tesi, iniziato con un’indagine sulla riduzione dello spreco di pesce (circa 50 milioni di tonnellate in tutto il mondo ogni anno, secondo le stime delle Nazioni Unite).

>>Leggi anche Bioplastica dai rifiuti della frutta, la ricetta svedese per la sostenibilità<<

Raggiunta da Reuters, Lucy Hughes ha spiegato che l’obiettivo del suo lavoro era capire come utilizzare il pesce sprecato al fine di potergli dare un valore: “Quando ho sentito le pelli e le squame nelle mie mani, ho potuto vedere che c’era un potenziale rinchiuso in loro. Erano flessibili, duttili e forti”. In questo modo (e grazie al tatto) nasce l’intuizione, seguita da diversi mesi di studio, ricerca e sperimentazione. Infatti, nonostante il materiale apparisse forte e resistente, occorreva trovare un modo per potere stabilizzarlo. La risposta è arrivata sempre dal mare, attraverso l’aggiunta di molecole di chitosano provenienti dai crostacei (il polimero che conferisce durezza e resistenza ai gusci) e di agar, un polisaccaride ricavato dalle alghe rosse, normalmente usato come gelificante naturale. Diversi mesi di test per mettere insieme squame, pelli, chitosano e agar sono culminati in MarinaTex, vale a dire nella produzione di un foglio traslucido e flessibile, che si forma a temperature inferiori a 100 gradi Celsius. Ed è, all’occorrenza, anche commestibile: “perché abbiamo bisogno di avere centinaia di polimeri artificiali quando la natura ne ha già disponibili così tanti?”, ha detto Hughes a Reuters.

Grazie alle sue ricerche, Lucy Hughes è riuscita a conquistare il James Dyson Award, riconoscimento internazionale per il design che celebra e incoraggia i progettisti di nuove idee e prende il nome dall’imprenditore britannico fondatore dell’azienda Dyson. Come ha affermato lo stesso James Dyson, non solo il materiale è più resistente del polietilene a bassa intensità (polimero termoplastico ricavato dal petrolio), ma biodegrada in 4-6 settimane nella semplice compostiera di casa, senza contaminare il suolo. Per fare un paragone, l’acido polilattico (PLA, polimero dell’acido lattico utilizzato nel settore delle bioplastiche) deve essere compostato industrialmente.

>>Leggi anche Bioplastiche: prodotte 3.000 ton di polimeri nell’Italia 2017<<

Adesso, Hughes ha in programma di utilizzare le 32.000 sterline del Dyson Award per sviluppare ulteriormente MarinaTex e costruire una strategia di mercato.

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Che futuro solare per il fotovoltaico! Ma la strada non è tutta spianata


Author: Luca Re QualEnergia.it

Potenziale enorme per questa fonte rinnovabile secondo il nuovo studio dell’agenzia IRENA. Prevista una crescita di 6 volte della capacità installata al 2030 in confronto a oggi. Stime, tendenze, incognite.

Finora la notevole espansione delle fonti rinnovabili nel mondo è stata incompleta e non ha risolto l’emergenza climatica come è emerso dal World Energy Outlook 2019 dell’Agenzia internazionale dell’energia (IEA, International Energy Agency).

Tuttavia, il potenziale delle energie pulite (e delle misure di efficienza) è ancora molto ampio e consente di tracciare uno scenario di drastica riduzione delle emissioni inquinanti nei prossimi decenni.

In particolare, un recente studio dell’agenzia “parente” della IEA, specializzata nell’analisi delle tecnologie “verdi” (IRENA, International Renewable Energy Agency), Future of Solar Photovoltaic (allegato in basso), approfondisce il ruolo futuro del fotovoltaico in un mix energetico fortemente de-carbonizzato, cioè privato della maggior parte dei combustibili fossili.

Lo scenario globale di riferimento è quello di “trasformazione energetica” riassunto nello schema sotto, tratto dallo studio dell’IRENA, dove nel 2050 le emissioni di CO2 correlate all’energia saranno calate del 70% circa in confronto a oggi, grazie all’incremento delle rinnovabili, alle politiche di efficienza e alla crescente elettrificazione dei consumi in alcuni settori-chiave come i trasporti e il riscaldamento degli edifici.

Si parla, infatti, di 9,8 miliardi di tonnellate/anno di CO2 (Gt, giga-tonnellate) nel 2050, mentre le politiche correnti porterebbero verso 33 Gt/anno. Quindi in sostanza, nel secondo caso, ci sarebbe solo una minima riduzione dal picco delle emissioni registrato nel 2018.

E nello scenario di trasformazione, secondo l’agenzia, il fotovoltaico avrebbe molte carte da giocare.

Il prossimo grafico mostra l’evoluzione attesa della potenza cumulativa FV in tutto il mondo.

La potenza totale installata, nello scenario di “energy transformation”, crescerà di circa sei volte dal 2018 al 2030, da 480 GW a 2.840 GW per poi superare 8.500 GW nel 2050; in media +8,9% l’anno nell’intero periodo considerato, arrivando rispettivamente a 270-372 GW di nuova capacità annuale nel 2030 e 2050 (nel 2018 si sono aggiunti circa 94 GW).

Realizzare nuovi impianti FV di grandi dimensioni (utility-scale), spiega poi l’agenzia, costerà sempre meno come chiarisce il grafico seguente.

Si potrà scendere, rispettivamente, fino a 340-165 $ /kW nel 2030 e 2050 secondo le elaborazioni dell’IRENA contro una media pari a 1.210 $ /kW nel 2018.

Mentre i valori LCOE (Levelized Cost of Electricity) potranno diminuire fino a 0,02-0,014 $ /kWh nel 2030 e 2050, contro una media intorno a 0,085 $ /kWh alla fine del 2018 (i valori poi sono scesi ancora: ad esempio vedi qui gli ultimi dati di Bloomberg New Energy Finance), rendendo così il fotovoltaico pienamente competitivo con le fonti fossili.

Per concludere, lo schema sotto mostra quanta strada debba ancora fare il fotovoltaico per raggiungere gli obiettivi indicati nello studio: molto dipenderà, in definitiva, dalle politiche e misure che saranno messe in campo dai singoli governi in tutto il mondo. Un po’ la solita storia…

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