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Greenpeace accusa Shell: risparmia sullo smaltimento delle piattaforme

Author: stefania Rinnovabili

Gli ambientalisti accusano Shell: un precedente pericoloso per lo smantellamento, nei prossimi anni, di altre centinaia di vecchie piattaforme presenti in quest’area

(Rinnovabili.it) – Alcuni attivisti di Greenpeace hanno scalato ed occupato due piattaforme per l’estrazione di idrocarburi della Shell, nel campo petrolifero di Brent (Mare del Nord). La protesta è contro i piani della compagnia di smantellare le vecchie strutture rimuovendo solo la porzione aerea e lasciando invece sul posto le basi, contenenti acque e sedimenti contaminati. Come recentemente scritto alla Camera dei rappresentanti dal ministro delle Infrastrutture e gestione delle risorse idriche Cora van Nieuwenhuizen, i serbatoio di stoccaggio delle piattaforme conterrebbero infatti ancora circa 11.000 tonnellate di petrolio e prodotti chimici. L’accusa è che la compagnia si sia impegnata nella dismissione delle piattaforme risparmiando tuttavia sul loro corretto smantellamento. Shell ha affermato di contro che la decisione è stata presa sulla base di anni di ricerca e previa consultazione con le parti interessate: “le nostre proposte non sono state presentate fino a quando non siamo stati convinti che questa fosse l’opzione migliore: sicura, rispettosa dell’ambiente, tecnicamente fattibile e socialmente responsabile”.

>>Leggi anche Trivelle: Greenpeace, WWF e Legambiente sollecitano il MISE su dismissioni<<

Di tutt’altro avviso è Greenpeace, secondo la quale, se il governo britannico permettesse a Shell di infrangere le regole, si tratterebbe di “un precedente pericoloso per lo smantellamento, nei prossimi anni, di altre centinaia di vecchie piattaforme presenti in quest’area. Shell ha ricavato miliardi dalle trivellazioni di petrolio in questa regione, – scrive Greenpeace – e non dovrebbe essere autorizzata a risparmiare sullo smantellamento a spese del nostro ambiente marino”. Com’è facile intuire, il problema non riguarderebbe inoltre la sola Gran Bretagna: “L’Italia non è messa meglio – ha sottolineato Alessandro Giannì, direttore campagne di Greenpeace Italia – Bisogna attuare il piano di dismissione delle 34 piattaforme per l’estrazione degli idrocarburi individuate nel ‘Programma italiano di attività per le dismissioni piattaforme offshore’, redatto a fine 2018 dopo due anni di confronto tecnico tra Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dell’Ambiente, Mibact, Assomineraria (l’associazione di categoria dei petrolieri) e associazioni ambientaliste”.

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Sustainable steel production is closer than you think

Author: Mo Ahmed Schneider Electric Blog

While the steel industry can take credit for representing approximately 2.9% of total global economic value, it must also take the blame for generating 7-9% of total global CO2 emissions – not a very well-balanced scorecard.  But it does recognize the importance of tackling this challenge, and as a result, the steel industry is near the top of the list in efforts to seek solutions for decarbonization.

Zoom in a little closer to the process of steel-making and you will find the main culprit, the blast furnace. In a nutshell, metallurgical coal is burned in the blast furnace at extremely high temperatures with a mix of iron ore and other elements to produce molten iron, releasing all the economic value of the iron ore, but also releasing high amounts of gaseous biproducts.  In fact, for each tonne of steel produced, 2.0-2.5 tons of fossil-based CO2 is emitted.

Now consider that there are over 700 blast furnaces in the steel industry today, they account for 72% of total steel production, and they emit more than 50% of all steel-related CO2 emissions.  And due to the massive capital investment required to get a steel factory on-line, those blast furnaces are unlikely to be decommissioned any time soon.  However, several new technologies are emerging that promise to make steel a much more sustainable industry.

For example, the 28% of steel that is not made in a blast furnace is now made by melting recycled steel scrap in Electrical Arc Furnaces (EAFs), which is a much more environmentally friendly process.  An EAF emits only 0.2 tons of CO2 per tonne of steel. Unfortunately, scrap steel is in limited supply and it won’t be able to meet the growing demand due to rapid urbanization.  Bottom line is that existing blast furnaces will be needed to meet demand for many years to come.

There are other new technologies emerging that will also help to reduce the dependency on coal-fired blast furnaces, such as using alternate energy sources like natural gas (which has a lower CO2 emission than coal) or hydrogen (which emits no CO2).  This Direct Reduction IRON (DRI) process can eliminate 50% of CO2 emissions compared to blast furnaces.

The pressure is mounting on the steel industry to clean up its act and the message of sustainability is clearly resonating in the C-Suite of major steel producers, and it’s a sure bet the industry will move toward electrification. The need for new solutions will continue to drive  innovation such as the use of hydrogen to generate electrical energy in place of thermal (fossil fuel) energy.

But driving greater sustainability doesn’t necessarily require major CAPEX projects, such as replacing a blast furnace with a more eco-friendly alternative. Many energy efficiency opportunities exist in right in plain view, for example the use of medium voltage variable speed drives to run large fan and pump applications. In a recent project, a variable speed drive was used to replace a direct on-line motor starter.  It enabled the plant to reduce the speed of a large fan from 100% to 80% while still meeting the needs of the application and resulting in energy savings of 50%! Not bad! Known as the Cube Law, energy savings when using variable speed drives for fan and pump applications can be estimated as the cube of the target speed, not just a straight 1:1 reduction.  For example, operating at 80% reduces energy use to .83 or 51%.  The energy savings not only helped reduce the carbon footprint of the plant, but it also provided an ROI of just a few years.

Even when there are financial restrictions on CAPEX improvements, there are other creative options for financing that could be used such as Off Balance Sheet Financing (OBS) that allows CAPEX projects to be paid from the savings by listing the expense as “energy as a service” operational expense.

Another new trend in the industry is to offset the carbon footprint by installing microgrids, renewable energy sources that can reduce the plant’s dependency on electricity generated by fossil fuels. For example, Baosteel installed a 50 MW rooftop solar plant to generate clean electricity and reduce its carbon foot print. http://bg.baosteel.com/en/contents/3840/73269.html

If you want to explore some of these sustainable energy solutions in more detail, please see our web site on Energy as Service or microgrids.

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Aggregati di batterie domestiche alla prova dei servizi di rete: si può fare


Author: Lorenzo Vallecchi QualEnergia.it

RSE rileva segnali incoraggianti dalle simulazioni e prepara la sperimentazione nel 2020.

Batterie collegate all’impianto fotovoltaico di casa, usate in maniera aggregata e impiegate alla stregua di grandi centrali termoelettriche, per regolare e bilanciare la rete: uno scenario fino a poco tempo fa improbabile che diventerà presto realtà, secondo le simulazioni e i programmi di RSE, Ricerca sul Sistema Energetico. Tradizionalmente, la regolazione di frequenza e il […]

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Efficienza energetica, trucchi contabili mettono a rischio la decarbonizzazione


Author: Lorenzo Vallecchi QualEnergia.it

Le accise sui carburanti in Europa al centro dell’attenzione di una nuova ricerca.

Cosa succederebbe se i paesi europei considerassero tutte le accise sui carburanti e tutte le tasse sull’energia alla stregua di risparmi energetici, indipendentemente dal loro reale impatto sui consumi o sulle emissioni clima-alteranti? Il timore fondato è che alcuni paesi conteggeranno retroattivamente le accise come misure di dissuasione ai consumi e quindi alle emissioni.

Sulla carta, un tale tipo di contabilizzazione potrebbe cancellare – con un tratto di penna – la necessità di qualsiasi nuova politica di efficienza energetica. Ma sul campo, il consumo di energia e le esalazioni nocive continuerebbero ad aumentare.

È questo il ragionamento fatto da Regulatory Assistance Project e Stefan Scheuer Consulting, che hanno così deciso di esaminare se e come le politiche fiscali dei paesi europei siano usate o meno dai diversi stati per rispettare la forma ma non la sostanza dei propri obiettivi di risparmio energetico.

Il ricorso a “trucchicontabili, infatti, svuoterebbe di significato la Direttiva sull’Efficienza Energetica della Commissione Europea.

Uno dei possibili espedienti è piuttosto semplice: confrontare le emissioni che si sono avute con le accise esistenti e quelle, presumibilmente maggiori, che si sarebbero registrate se le accise fossero rimaste al livello minimo previsto dell’UE. Sulla base di tale confronto, uno può argomentare che la differenza fra i due valori rappresenti un risparmio energetico “aggiuntivo“, ha spiegato Brook Riley, responsabile affari dell’UE presso Rockwool, un’azienda specializzata nel settore isolamento.

“In pratica, ovviamente, non sono quasi mai (risparmi) aggiuntivi”, ha affermato Riley all’agenzia EURACTIV, definendo il trucco contabile “molto disonesto“.

Secondo lo studio, le tasse sull’energia stanno svolgendo un ruolo importante in molti Stati membri per l’adempimento degli obblighi di risparmio energetico previsti per il periodo 2014-2020.

Secondo EURACTIV, un numero crescente di Stati membri dell’UE sta infatti pianificando di ricorrere a trucchi contabili, compresi dei ritocchi alle accise sui carburanti introdotte in passato, per rivendicare risparmi energetici “aggiuntivi” e rispettare più facilmente i propri obblighi climatici.

“All’inizio, erano otto i paesi che avevano notificato delle misure fiscali. Adesso siamo arrivati a undici “, ha dichiarato a EURACTIV Stefan Scheuer, capo della Coalition for Energy Savings, una piattaforma che riunisce aziende, autorità locali e gruppi della società civile. “Esiste sicuramente un rischio”.

Le scorciatoie in esame includono la richiesta di contabilizzare come risparmi gli aumenti dell’IVA introdotti in passato sui carburanti – aumenti quasi mai o non necessariamente imposti con l’obiettivo di raggiungere dei risparmi energetici, ha detto Scheuer, la cui piattaforma Coalition for Energy Savings rappresenta 2.500 comuni e paesi in tutta Europa, nonché centinaia di aziende, cooperative, gruppi ambientalisti e associazioni di categoria coinvolti nel risparmio energetico.

Uno dei trasgressori è la Repubblica Ceca, che sta pianificando di trattare retroattivamente come risparmi energetici delle vecchie accise sul carburante, entrate in vigore nel 2014, per farle valere come parte dei suoi obblighi nazionali di risparmio energetico. Anche Lettonia, Lituania e Grecia stanno pianificando di ricorrere a modifiche fiscali retroattive per far figurare dei risparmi energetici “aggiuntivi”.

I ricercatori hanno considerato tali possibili provvedimenti fiscali sullo sfondo delle misure che gli Stati membri devono prendere nell’ambito della Direttiva UE sull’Efficienza Energetica, aggiornata lo scorso anno con l’obiettivo di raggiungere un risparmio energetico di almeno il 32,5% entro il 2030.

Il fulcro della direttiva – l’articolo 7 – obbliga tutti gli Stati membri ad ottenere un risparmio energetico dell’1,5% ogni anno. Tuttavia, questo obiettivo si sta rivelando difficile da raggiungere.

I paesi dell’UE hanno tempo fino a fine dicembre per far approvare dalla Commissione Europea i propri Piani Nazionali Energia e Clima (PNIEC), e quini è ancora possibile fare delle modifiche alle varie proposte.

Secondo alcuni osservatori, la Direttiva contiene delle garanzie che la Commissione potrebbe utilizzare per respingere i provvedimenti fiscali più evidentemente discutibili. La direttiva, ad esempio, stabilisce che il risparmio energetico possa essere indicato come aggiuntivo solo rispetto a quello che si sarebbe verificato in ogni caso.

Se l’UE non riuscirà ad arginare il fenomeno e agli Stati fosse permesso di aggirare invece l’articolo 7 con degli espedienti, rischiamo di perdere “lo strumento principale per andare avanti nella politica climatica”, ha avvertito Scheuer.

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BEI: domani la decisione sugli investimenti fossili

Author: redattore Rinnovabili

Dopo la proposta di luglio, la BEI diventerà davvero una Banca Climatica?

(Rinnovabili.it) – Questa settimana, la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) deciderà se interrompere o meno il finanziamento all’industria fossile, rivedendo una volta per tutte la propria politica di prestito nel settore energetico. La decisione dovrebbe arrivare martedì, e vedrà coinvolti in prima linea i ministri delle finanze dell’UE.

Rilasciata a luglio dalla BEI, la bozza di proposta per porre fine al finanziamento del petrolio, del carbone e del gas era stata ampiamente elogiata da gruppi ambientalisti, fra i quali spiccava la ong Counter Balance, che insieme ad altre 70 organizzazioni non governative si era impegnata in una campagna per la transizione energetica della politica di prestito della Banca Europea.

>>Leggi anche BEI: stop agli investimenti fossili entro il 2020<<

Tuttavia, l’entusiasmo si era presto affievolito. Infatti, la Commissione europea – insieme alla Germania, l’Italia, la Polonia, la Lettonia e la Spagna – sin da allora ha spinto affinché la banca continuasse a finanziare l’industria fossile, seppure in vista di un supporto verso la transizione. Questi Stati, infatti, chiedono che il gas sia ancora oggetto di finanziamento, sostenendo che se gli investimenti per un’energia a gas più efficiente venissero del tutto rimossi, alcune economie potrebbero finire con il fare uso di tecnologie più vecchie e quindi più inquinanti. La bozza di luglio ha dunque subito delle modifiche: sono venute meno alcune parole chiave inerenti alle misurazioni degli obiettivi di emissione che – secondo quanto riportato da Reuters – potrebbero rendere difficile monitorare in modo affidabile l’impatto.

>>Leggi anche BEI, perché il nuovo piano per abbandonare le fossili si fa attendere?<<

I dati della BEI mostrano che lo scorso anno i finanziamenti per progetti legati ai combustibili fossili sono stati pari a quasi 2 miliardi di euro, per un totale di 13,4 miliardi dal 2013. A fronte di questi numeri, un arresto immediato sarebbe accolto come un serio impegno da parte dell’Europa per affrontare il riscaldamento globale, allineandosi con gli obiettivi espressi dall’accordo di Parigi. Al contempo, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha chiesto alla BEI di impegnare in “progetti verdi” la metà dei 60-80 miliardi di euro che ogni anno vengono investiti dall’istituto, così da diventare una “Banca climatica”.

La proposta discussa martedì dovrebbe richiedere una maggioranza ordinaria, composta da almeno 1/3 degli investitori che rappresentano il 50% del capitale (rappresentati dagli Stati membri). Secondo Reuters, Wenrner Hoyer (amministratore delegato di BEI) ha dichiarato che ci si aspetta ambizione da parte dell’istituto: “abbiamo dato ascolto alla call to action internazionale, ora non dovremmo deludere”.

Se i piani verranno davvero approvati, la BEI fornirà sostegno a quegli Stati membri con un percorso di transizione più impegnativo verso investimenti verdi.  Per tali ragioni, il dibattito più aspro si avrà sulla definizione di cosa sia o non sia un “investimento verde”: l’emissione di obbligazioni verdi dovrebbe raggiungere quest’anno i 250 miliardi di dollari, ma la definizione di ciò che si qualifica come come è una questione ancora tutta aperta.