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Game of Thrones 8, 5 punti per prepararsi al quarto episodio

Author: Samantha Bosco Wired

I cinque punti più importanti della puntata di Il trono di spade intitolata La lunga notte, incentrata sulla battaglia tra Grande Inverno e il Re della notte e come questi introducono l’episodio successivo, dedicato allo scontro tra Targaryen e Lannister.

La lunga notte, il terzo episodio dell’ottava e ultima stagione di Game of Thrones scritto dai produttori della serie Dan Weiss e David Benioff, narra a Battaglia di Grande inverno, epico scontro tra l’esercito dei morti resuscitati dal Re della Notte e quello dei vivi – composto dai guerrieri del Nord, della Valle, dai Dothraki e dagli Immacolati – guidati da Daenerys Targaryen e Jon Snow. L’esito di questa puntata, incentrata su un evento che il pubblico della serie fantasy del canale americano Hbo attendeva da anni, è stato a favore dei vivi: l’inverno è arrivato ma la minaccia dell’invasione degli Estranei è stata scongiurata con la morte del Re della notte.

Ai sopravvissuti resta da riunire le forze e concentrarsi sull’Ultima guerra – così viene menzionata nel trailer ufficiale del quarto episodio (il terz’ultimo dello show) –, quella contro Cersei Lannister, la quale ha tradito gli accordi presi con Daenerys e Jon di sostenerli nello scontro con le creature proveniente da oltre la Barriera.

In attesa del quarto episodio da 80 minuti, in prima tv assoluta lunedì 6 maggio su Sky Atlantic, ricapitoliamo i momenti salienti del terzo, intitolato La lunga notte (The Long Night), e vediamo come ne anticipa i fatti.

1. Le profezie di Melisandre

Il ritorno della Strega rossa a Grande Inverno, dopo la permanenza precedente durante la quale aveva resuscitato Jon Snow, era atteso. Melisandre segue da sempre le visioni ricevute dal Signore della Luce e sembra arrivare poco prima dell’inizio della battaglia già sapendo cosa accadrà. L’arrivo dell’esercito degli Estranei avviene in condizioni avverse, nel buio più cupo e in mezzo a un tempesta di neve e ghiaccio accecante. La sacerdotessa incendia le lame dei Dothraki con la magia prima e la trincea eretta intorno al castello poi per impedire l’avanzata dei nemici in una guerra che vede i vivi subito in svantaggio.

La venuta di Melisandre si rivela tuttavia fondamentale non per il suo contributo tangibile ma per le sue parole: imbattendosi in Arya, le ricorda di aver profetizzato che la ragazzina avrebbe “chiuso molti occhi, marroni, verdi e azzurri, questi ultimi come quelli del Re della Notte. Le dice anche “Cosa diciamo al dio della morte?”, frase che il mentore di Arya Syrio Forel soleva dirle (la risposta è “Non oggi”), indicandole il suo destino. Quello della Strega, invece, è quello di lasciarsi morire dopo aver assolto alla sua missione, togliendosi il gioiello che la mantiene giovane.

2. L’assedio

Gli abitanti di Grande inverno si sono preparati all’arrivo degli Estranei con un piano preciso: usare Bran come esca (il re della Notte gli dà la caccia perché custode della memoria e della conoscenza) e ucciderlo, decretando l’arresto dell’invasione. Tuttavia la battaglia si risolve fin da subito a sfavore dei soldati di Grande Inverno: la prima linea formato dai Dothraki viene spazzata via in un batter d’occhio dagli avversari, la trincea infuocata innalzata per fermare i morti viene abbattuta, e i soldati caduti si risvegliano andandosi a unire alla fila nemiche in un esercito immortale e immenso.

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Tra i tanti a soccombere, l’intrepida Lyanna Mormont, che da sola abbatte un gigante, mentre Jaime, Brienne, Tormund, Verme Grigio, Podrick, Davos e Sam cercano di sopravvivere respingendo orde di mostri, e Jorah combatte fino all’ultimo respiro per proteggere l’amata Daenerys. Sarà con questo contingente di sopravvissuti esiguo che Daenerys si accingerà a invadere Approdo del Re nell’episodio successivo.

3. La disfatta dei draghi

L’arma segreta dell’esercito Targaryen, i draghi, si rivela molto meno incisiva in battaglia: anche il Re della Notte ne ha uno, il Viserion di Daenerys che aveva abbattuto e poi resuscitato. A causa della coltre fitta della tempesta che mette in difficoltà Jon e Dany – in groppa a Drogon e Rhaegal – il triello tra i draghi non pende a favore dei due amanti: non solo le creature non riescono a usare il fuoco per incendiare la trincea, ma entrambi vengono feriti dal fratello di ghiaccio.

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Alla fine, nel duello tra Viserion e Drogon, che ha dovuto abbandonare Daenerys a terra per liberarsi da un’orda di zombi, quest’ultimo sta per avere la peggio, ma la morte del Re della Notte restituisce Viserion alla morte. Con Rhaegal disperso e Drogon ferito, l’arma più forte dei Targaryen contro i Lannister rischia di non essere abbastanza potente.

4. Il pericolo delle cripte

Mentre in cielo e in terza imperversa la battaglia, sotto il suolo del castello, nelle cripte, Tyrion, Sansa, Missandei e Gilly possono solo udire quello che accade. Sansa e Tyrion ne approfittano per rievocare il loro matrimonio – lei le dice di essere stato il suo miglior marito – e riavvicinarsi, in uno dei pochi momenti romantici della stagione. Poco dopo, loro e gli altri rifugiati si renderanno conto di quanto poco felice sia stata l’idea di rifugiarsi in catacombe gremite di cadaveri, che resuscitano grazie al potere del Re della notte e li attaccano. Nei sotterranei di Grande Inverno c’è anche Arya, braccata da un’orda di mostri: a salvarla sono il Mastino e Beric che, dopo essere stato ucciso e risorto sette volte, muore salvando quella che si rivela la protagonista della profezia del suo Dio, il Signore della Luce. Assolvendo al suo scopo – proteggere questa figura mitica – permette ad Arya di raggiungere illesa il Bosco degli Dei, dove Bran attende il Re della Notte.

5. Il Bosco degli dei

Nei romanzi di George Martin che ispirano Il trono di spade, si menziona Azor Ahai, figura mitica che migliaia di anni prima aveva sconfitto gli Estranei. Per molti questo individuo leggendario sarebbe tornato sotto forma di Jon Snow, risorto dalla morte per mano di Melisandre. Tuttavia, è Arya a uccidere il Re della Notte, con la stessa daga d’acciaio di Valyria che il fratello veggente Bran le aveva donato tempo prima (e appartenuta a Lord Baelish), dopo che questo è stato difeso fino alla morte da Theon Greyjoy. La piccola Stark è Nessuno (così sono definiti gli Assassini senza nome), ovvero “Nessuno può uccidere il Re della Notte”.

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Con la sconfitta dell’Estraneo, l’esercito dei non-morti si dissolve e i sopravvissuti devono passare alla prossima battaglia, quella contro Cersei per il trono di spade. Il trailer della quarta puntata mostra Arya che celebra il suo successo baciando Gendry e una Daenerys su di giri che festeggia la vittoria e incita gli uomini all’”Ultima guerra”, mentre Sansa e Jon sfoggiano espressioni preoccupate. Le immagini della flotta con i vessilli Targaryen si intrecciano con quelle di Cersei e Euron Greyjoy che osservano il radunarsi dell’esercito e la Lannister che promette di distruggere l’avversaria. Ancora una volta le battaglie finali di Game of Thrones le combattono le donne.

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È iniziato il Ramadan, ma il digiuno è previsto da tante religioni. Ecco perché

Author: Sara Hejazi Wired

Il Ramadan comincia per milioni di fedeli musulmani, ma il digiuno è un tratto comune della maggioranza delle tradizioni religiose, con ragioni molto precise

ramadan
(foto: Getty Images)

La sera del 5 maggio inizierà per circa 2 milioni di persone in Italia e per 26 milioni di musulmani in Europa il Ramadan, il mese islamico del digiuno, che durerà fino al 4 giugno. Il digiuno è uno dei cinque pilastri della religione ed è quindi obbligatorio, a meno che non ci si trovi impossibilitati a farlo per motivi di salute (per esempio se si è affetti da diabete) o specifiche condizioni fisiche (gravidanza, allattamento, mestruazioni).

Si digiuna dall’alba al tramonto, il che rende le ore notturne per le comunità di musulmani un momento di festa e di condivisione di cibo, storie, chiacchiere e risate.

Suona tutto molto esotico? Eppure non dovrebbe: non vi è infatti religione che non preveda una qualche forma di digiuno e, di conseguenza, una qualche forma di festa nell’interrompere la fatica di non mangiare (né di bere nel caso dell’Islam) per molte ore di fila.

Così come non esiste abbondanza senza scarsità, non può esistere digiuno senza abbuffata. Tutte le tradizioni religiose avevano ben presente questa verità e ne hanno fatto tesoro: chi l’ha trasformato in un pilastro (l’Islam), chi in una forma di espiazione (Cristianesimo ed Ebraismo), chi in esercizio delle spirito (Buddhismo), chi in contemplazione (Induismo), chi in tributo per il divino (Totemismo): insomma il digiuno ha avuto, per le tradizioni religiose, il ruolo di disciplina, esercizio, legame comunitario, preghiera, concentrazione, atto votivo. E questo è il suo lato spirituale. Ma pure laddove la religione non c’entra, il digiuno gode di una certa fama: va di moda adesso il digiuno a intermittenza che è un via di mezzo tra dieta dimagrante e sforzo mentale.

Vista dunque la diffusione del digiuno su così larga scala e in contesti ed epoche storiche così diverse, avrà per caso anche un’utilità pratica?

La sua origine si perde nella notte dei tempi, o meglio in una notte di 13mila anni fa, quando la nostra specie è diventata abile nell’agricoltura e nell’allevamento di animali. Prima di allora, difficilmente si sarebbero visti e motivati digiuni organizzati e collettivi. Non ce n’era bisogno. Si digiunava se non si trovava nulla da mangiare.

Ma dopo che siamo diventati proprietari terrieri e domatori di animali, abbiamo conosciuto per la prima volta l’abbondanza da una parte, e la carestia dall’altra. Ad annate indimenticabili, sono seguiti tempi molto, molto duri.

Se le religioni parlano dell’aldilà e di forze invisibili, dicono la loro anche sull’ al di qua e sulla vita pratica, di tutti i giorni. Tutte le religioni danno una spiegazione alla sorte e alla malora, e a volte, come nel caso del digiuno, trasformano la scarsità in un’occasione di crescita, preghiera e condivisione.

Ecco dunque che il digiuno nasce come esercizio pratico per abituarsi ai momenti di scarsità e a ricordarsi che l’abbondanza non può essere una costante infinita, ma è ciclica, come i frutti della terra che l’uomo e la donna del neolitico hanno iniziato a coltivare.

Il digiuno nelle religioni nasce proprio come reminiscenza di un tempo in cui abbiamo conosciuto le dispense e le conserve, ma anche la devastazione dei raccolti e le epidemie dovute alla mancanza di cibo.

Certo, ora nei supermercati pare che l’abbondanza non possa mai avere fine, ecco perché il Ramadan suona così esotico. Non abbiamo più bisogno di abituarci ai cicli di scarsità, perché la disponibilità di cibo sembra accompagnarci sempre. Ma, anche se il digiuno non ha più una utilità pratica, è interessante come continui anche oggi a giocare il suo ruolo sociale e spirituale. Forse perché, in fondo, noi esseri umani viviamo di cibo, aria e acqua, certamente, ma anche – e nella stessa misura – di simboli, idee e credenze.

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Perché è così difficile applicare la legge Scelba sull’apologia del fascismo?

Author: Simone Fontana Wired

La cronaca ha rimesso al centro del dibattito la “libertà di espressione” da accordare ai movimenti neofascisti. La legge italiana in materia è chiara, ma la sua applicazione spesso farraginosa

Foto di Antonio Masiello/Getty Images

Dallo striscione degli ultras della Lazio alla manifestazione in memoria di Sergio Ramelli, dal concerto nazi-rock organizzato da Veneto Fronte Skinheads in un padiglione del comune di Cerea alle disavventure della famiglia Mussolini sui social network. La cronaca delle ultime settimane – complice la ricorrenza delle celebrazioni per il 25 aprile – ci ha più volte messi di fronte al tema dell’estrema destra e dell’atteggiamento che una comunità democratica dovrebbe riservare a manifestazioni di nostalgia per ideologie totalitarie come il fascismo.

Ma mentre si discute dei confini della censura sul web e dell’opportunità di dar voce a esponenti di movimenti variamente ispirati al Ventennio, l’ordinamento giuridico italiano possiede da tempo una norma per sanzionare l’apologia del fascismo. Si tratta della legge 645 del 1952, la cosiddetta Legge Scelba, nata dalla necessità espressa in una una disposizione transitoria e finale della Costituzione e ritoccata con un successivo intervento del 1975, ma la cui applicazione è risultata nel corso degli anni farraginosa ed eccessivamente discrezionale.

Il saluto romano

Uno degli ambiti in cui la giurisprudenza italiana fatica a trovare un’interpretazione uniforme è sicuramente quello che riguarda il saluto romano. Sul segno di riconoscimento del regime fascista – in questi giorni al centro di polemiche anche a causa di un discusso servizio del Tgr Emilia-Romagna – si sono susseguite sentenze di segno opposto, anche in riferimento a episodi molto simili tra loro.

La fattispecie, oltre che dalla Legge Scelba, è regolata anche dalla Legge Mancino del 1993, che all’articolo 2 punisce “chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali” di organizzazioni, associazioni o movimenti “aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”.

Lo scorso 30 aprile il Tribunale di Milano ha assolto quattro dirigenti di Lealtà e Azione, accusati di apologia del fascismo nel 2016 per aver mostrato il saluto romano al campo X del cimitero Maggiore di Milano, dove sono sepolti i caduti fascisti della Repubblica Sociale di Salò. Secondo il giudice “il fatto non sussiste” perché quella degli imputati sarebbe stata una “manifestazione del pensiero costituzionalmente garantita”.

Poco più di cinque mesi prima, lo stesso tribunale aveva tuttavia preso una decisione molto netta in senso opposto, infliggendo una condanna per dei saluti romani inscenati nello stesso cimitero, appena due anni prima. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice Luigi Varanelli affermava che “la manifestazione fu dichiaratamente volta a celebrare non i defunti ma la nascita del movimento fascista” e dunque “non commemorativa nel senso minimalista, ma rievocativa“.

Il “problema” della norma

La Legge Scelba vieta la “riorganizzazione del disciolto partito fascista” e prevede multa e reclusione in caso di violazione della norma, la cui applicazione viene preferita a quella della Legge Mancino, considerata meno specifica. Entrambe le leggi, tuttavia, devono contemperare il diritto costituzionalmente garantito alla libertà di pensiero, che può essere compresso solo in nome di un’urgenza che la Corte costituzionale nella sentenza 74 del 1958 ha individuato nel “concreto pericolo per l’ordinamento democratico”.

Al giudice è dunque affidata la discrezionalità nello stabilire quanto il pericolo sia effettivamente concreto, una prerogativa che la Cassazione ha fin qui interpretato seguendo due orientamenti differenti. Il primo sottolinea il carattere pubblico della manifestazione tipica del disciolto partito fascista, sanzionando la volontà di raccogliere adesioni e consensi propedeutici alla sua ricostituzione, mentre il secondo – più restrittivo rispetto alla norma – assegna la priorità all’articolo 21 della Costituzione, scegliendo di non punire le manifestazioni, anche pubbliche, di carattere commemorativo.

Il deputato del Partito democratico Emanuele Fiano nel 2017 ha provato ad aggirare tale discrezionalità proponendo un disegno di legge che introducesse il reato di “propaganda del regime fascista e nazista”, ma il tentativo è naufragato con il termine della scorsa legislatura, anche in seguito alla dura opposizione del Movimento 5 stelle, che in commissione Affari costituzionali aveva definito il provvedimento “sostanzialmente liberticida”.

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5 libri per capire gli spoiler

Author: Raffaele Alberto Ventura Wired

NO SPOILER (beh, era il caso di scriverlo). Il tabù fondamentale della società moderna è non rivelare la fine di un film, un libro o una serie televisiva: è così fin dai tempi di Cassandra, la madrina di tutti gli spoileratori

(foto: Mark Wilson/Getty Images)

Se siete arrivati qui, è perché probabilmente siete stanchi di combattere contro la più grande piega del vivere civile: lo spoiler. Che si tratti dell’onnipresente Game of Thrones o di oscuri romanzi d’appendice, nulla è al riparo dalla pratica di rivelare a un interlocutore il finale di un’opera di cui avrebbe preferito non essere messo al corrente – non ancora, perlomeno. Il fenomeno è così diffuso e capillare che merita una trattazione culturale, se non socio-linguistica: noi, grazie ai consigli di Raffaele Alberto Ventura, inizieremmo rileggendo questi 5 libri (dei quali, per coerenza, ovviamente non sveliamo i finali).

Silvia Genovese, Martina Sala, Spoiler. Il libro sui libri più bastardo del mondo (Salani)

Nella nostra società aperta, in cui è considerato legittimo pubblicare sui giornali immagini di violenza, battute di cattivo gusto e offese a minoranze religiose, esiste un tabù fondamentale da non infrangere se non si vuole subire l’ira dei propri interlocutori: rivelare il finale di un film, di un libro o di una serie televisiva. Qualcuno vi dirà che in fondo in un’opera di finzione non sono poi tanto importanti la fabula e i colpi di scena, quanto invece l’intreccio, la lingua, l’atmosfera, la fotografia o lo straordinario Toni Servillo, eppure… Essere vittima di uno spoiler non è mai piacevole, quando avevi in programma da tempo di vedere quel film o di leggere quel libro. Può esserlo invece quando quel film o quel libro non ti interessava poi tanto, ma per qualche ragione devi sapere di cosa parla: cultura generale, esami, o soltanto per il gusto perverso di spoilerarlo a terze persone. Questo libro dovrebbe servire proprio a questo, visto che racchiude 200 riassunti di classici della letteratura. Nulla che non potreste trovare in qualsiasi manuale scolastico, è vero, ma questo è sicuramente più adatto come regalo fastidioso a un vostro nemico. Mai riassunto è stato più esatto: “Un libro per rovinare la vita a se stessi o agli altri”.

Sofocle, Edipo re

Si considera generalmente che la regola universale dello spoiler non valga quando si parla di opere uscite da un certo tempo (un mese? sei mesi? un anno?). E figuriamoci dei classici, che oltretutto uno deve sempre fingere di avere già letto per non far brutta figura in società. Per questo nessuno fa molti sforzi per non spoilerare il finale della leggenda di Edipo, il che è davvero un gran peccato visto che si tratta di uno dei primi e più potenti colpi di scena della storia letteraria. Ma come se avessimo sempre saputo come andava a finire la tragedia del re di Tebe, che in fondo non è altro che una riflessione sul concetto di spoiler: dall’Oracolo di Delfi che anticipa il finale fino all’indovino Tiresia che rifiuta di parlare… Forse è questo che ci lega in maniera più intensa a tutto quello che classico non è, ogni epoca alle sue opere: queste ci colpiscono per via della loro novità semplicemente perché nessuno ce le ha raccontate male quando eravamo a scuola, mentre quelle più antiche ci arrivano già spoilerate. Non siamo mai sobbalzati sulla sedia, il nostro orrore nasce già archiviato.

Aristotele, Poetica

Se la tragedia ha una funzione catartica, ovvero sfoga le passioni mostrandone sulla scena le terribili conseguenze, questa rischia di non funzionare in presenza di uno spoiler: proprio Aristotele insisteva su quanto fosse importante quella che oggi chiameremmo suspense nella costruzione del meccanismo di purificazione. Lo spoiler infatti opera uno straniamento, ci allontana dall’immedesimazione totale, e rovinando il piacere della fruizione la rende anche parzialmente inefficace. Nel primo libro della sua Poetica, Aristotele descrive nel dettaglio la funzione sociale della tragedia e fornirà inoltre un manuale di scrittura per i secoli a venire. Quanto al secondo libro, beh, non vorrei spoilerarvi il finale del Nome della rosa.

Guido Vitiello, La commedia dell’innocenza (Luca Sassella Editore)

Se c’è un genere letterario che letteralmente non funziona in caso di spoiler, questo è proprio il giallo. Non il thriller contemporaneo, non l’hard boiled, non il poliziesco, ma il buon vecchio whodunit alla Agatha Christie che si basava interamente sulla soluzione di un enigma. Capirete che spoilerare il finale di Assassinio sull’Orient Express è come vendervi una copia della Settimana Enigmistica con il cruciverba già compilato: non c’è più nessun divertimento. Di questo parla questo saggio di Guido Vitiello, un vero giallo antropologico che sarebbe dunque un peccato spoilerare troppo, visto che si legge come un romanzo. Diremo solo che Vitiello propone una congettura ambiziosa, ispirata alla teoria del sacrificio di René Girard, secondo cui la scoperta dell’assassino ha una funzione catartica, perché ristabilisce una forma di ordine sociale attraverso l’individuazione di un capro espiatorio.

Christa Wolf, Cassandra (edizioni E/o)

Conoscete forse Cassandra, la sacerdotessa del tempio di Apollo invisa ai troiani a causa delle sue previsioni. Ecco dunque la madrina di tutti gli spoileratori, odiati non perché dicono il falso ma perché dicono il vero. In questa rilettura femminista del suo mito da parte della scrittrice Christa Wolf, questa paura della verità sembra essere intimamente legata alla struttura stessa dell’antico ordine patriarcale.

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Ora sappiamo cosa è successo alla mano di Leonardo da Vinci

Author: Viola Rita Wired

Negli ultimi anni Leonardo ha riportato una lesione che gli ha bloccato la mano destra: un team di scienziati ha ricostruito l’accaduto, grazie a un dipinto realizzato nel XVI secolo

Leonardo da Vinci
(foto: Hilda Weges via Getty Images. Il monumento a Leonardo da Vinci in piazza della Scala a Milano).

Artista, inventore, ingegnere, scienziato, Leonardo da Vinci è un’icona universale del sapere, del genio scientifico e della creatività. Com’è ormai noto, il 2 maggio 2019 ricorre il 500esimo anniversario della sua scomparsa. In questa occasione più di uno studio di riviste prestigiose ha approfondito il lavoro di Leonardo, individuando caratteristiche peculiari legate al suo modo di disegnare e dettagli anatomici dell’inventore finora passati inosservati.

Oggi, ad esempio, un team italiano ha approfondito le cause di una emiparesi e una lesione alla mano destra, documentata da varie fonti storiche, che negli ultimi anni della vita di da Vinci gli avrebbe impedito di dipingere.

Un ostacolo non insormontabile, dato che da Vinci disegnava anche – secondo alcune fonti: prevalentemente – con la sinistra. Dai risultati dello studio, pubblicato su The Journal of the Royal Society of Medicine, emerge che il danno era probabilmente dovuto a un trauma a un nervo invece che ai postumi di un ictus, come precedentemente ipotizzato.

I ricercatori si sono concentrati su un ritratto di Leonardo da Vinci attribuito all’artista lombardo Giovan Ambrogio Figino realizzato nel XVI secolo. Il ritratto, in gesso rosso, contiene una raffigurazione rara (quasi inedita) del braccio destro di Leonardo tenuto al collo e avvolto nelle pieghe dei vestiti, come una sorta di benda; la mano destra è sospesa e bloccata in una posizione rigida, la prova di un danno. Il ritratto è del 1517, precisamente di un anno e mezzo prima che da Vinci morisse. Gli scienziati erano già al corrente di questa lesione, che avrebbe impedito al genio fiorentino di dipingere bene con la destra: questo problema spiegherebbe anche perché negli ultimi cinque anni della sua vita il genio ha lasciato incompleti diversi dipinti, inclusa la Gioconda.

Come si diceva, le cause di questo danno alla mano finora erano rimaste oggetto di discussione. Come riferisce AdnKronos, secondo una precedente ipotesi, riportata da varie fonti –fra cui da Alessandro Vezzosi, direttore del Museo ideale di Leonardo da Vinci a Firenze – la lesione raffigurata nel ritratto di Giovan Ambrogio Figino sarebbe un esito di un ictus cerebrale subito da Leonardo, che gli avrebbe causato la paralisi della mano.

Oggi due ricercatori, Davide Lazzeri, che è specialista in chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica alla casa di cura Villa Salaria a Roma, e il neurologo Carlo Rossi dell’ospedale di Pontedera hanno ripreso in mano il ritratto per approfondire la questione, facendo una nuova ipotesi.

Se fosse stato un ictus, spiega Lazzeri, la mano sarebbe dovuta apparire contratta, assumendo la spasticità muscolare tipica che si osserva dopo un ictus. In questo caso, invece, il disegno raffigura una “mano ad artiglio”, con le dita tese rispetto alla loro posizione naturale. Questa disposizione è tipica della cosiddetta paralisi ulnare, spiegano gli autori. In generale questa paralisi dovuta a una compressione del nervo ulnare, che determina difficoltà nel muovere le dita della mano, scarsa sensibilità e nei casi più gravi una forma a uncino delle dita.

Studiando la biografia di Leonardo realizzata da Vasari, l’ipotesi dei due ricercatori italiani è che questa lesione sia stata il frutto di una sincope (uno svenimento) durante il quale Leonardo ha subito un trauma acuto, dovuto alla caduta, che ha causato il danno al nervo ulnare. L’ictus è improbabile, secondo i ricercatori, anche perché da Vinci non aveva avuto un declino cognitivo, una paralisi facciale o altri danni motori, tutti elementi spesso associati all’ictus.

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