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Perché il Giappone è il pilastro di una “Nato” d’Asia

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Ma un ruolo fondamentale in questa rivisitazione dei rapporti la ricopre il fronte tecnologico. I diplomatici di Washington e Tokyo hanno firmato un memorandum per l’Innovazione globale attraverso la scienza e la tecnologia. Si stabilisce l’impegno ad approfondire la connettività tra gli imprenditori scientifici e tecnologici statunitensi e giapponesi, ad espandere le opportunità di investimento e a promuovere l’innovazione tecnologica. Il governo giapponese finanzierà interamente i partecipanti del suo Paese e i costi operativi ampliati del piano per i programmi specifici per il Giappone, mentre gli Stati Uniti forniranno competenze tecniche e faciliteranno l’elaborazione dei visti.

Tokyo snodo tech di Nato e Aukus

Via libera anche a una serie di investimenti su digitale, microchip, transizione energetica. Ma anche, ovviamente, intelligenza artificiale: Microsoft ha annunciato un piano in materia da 2,9 miliardi di dollari sul territorio giapponese. Non è un caso sporadico. Il Giappone pare destinato ad accentuare una tendenza che lo vedrà diventare sempre più uno snodo cruciale sul fronte tecnologico, con però possibili applicazioni militari e di sicurezza.

Basti ricordare che lo scorso anno Tokyo ha firmato un documento di partnership con la Nato. Tra i 16 punti del piano, si menzionano un rafforzamento dei rapporti in materia di sicurezza marittima, ma anche azione comune su sicurezza informatica, tecnologia e minacce ibride. Al prossimo summit dell’Alleanza Atlantica, in programma a luglio a Washington, potrebbe essere anche annunciata l’apertura di un ufficio di collegamento con sede a Tokyo. Un’unione anche plastica del teatro asiatico con quello euroatlantico che la Cina vede come fumo negli occhi.

Ma il trend giapponese pare irreversibile. E il prossimo, importante, passo potrebbe essere l’adesione al secondo pilastro di Aukus. Il primo pilastro del patto di sicurezza che fin qui coinvolge Stati Uniti, Regno Unito e Australia prevede lo sviluppo congiunto di sottomarini a propulsione nucleare da lasciare poi in dotazione a Canberra per il presidio del Pacifico meridionale, altra zona particolarmente delicata per gli equilibri geopolitici. Il capitolo a cui pare destinato ad aderire Tokyo riguarda ancora una volta il campo tech.

Una rete per attutire l’ipotetico Trump bis

Il cosiddetto secondo pilastro si concentra infatti su capacità e tecnologie avanzate in una serie di settori, tra cui l’informatica quantistica, la guerra sottomarina, i missili ipersonici, l’intelligenza artificiale e la cybertecnologia. Il Giappone si impegnerebbe dunque a sviluppare in modo congiunto tutta questa serie di tecnologie con infinite possibilità di applicazione in materia di difesa.

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Come funzionano le elezioni in India

Author: Wired

L’elefante va alle urne. Tra aprile e maggio 2024 in India si terrà una delle tornate elettorali più lunghe della sua storia post-indipendenza. Nell’arco di sei settimane, quasi 950 milioni di elettori (più dell’intera popolazione di Stati Uniti, Unione europea e Russia messi insieme) potranno esercitare il loro diritto di voto e determinare la composizione del prossimo governo, nonché il destino di Narendra Modi, primo ministro in carica, e del suo partito, il Bharatiya Janata Party (Bjp).

I numeri di quella che è considerata la più grande democrazia al mondo sono pachidermici. Il Paese conta oltre 960 milioni di cittadini aventi diritto di voto, tra cui circa 470 milioni di donne, 19 milioni di giovani che votano per la prima volta e 197 milioni di elettori ventenni. L’affluenza alle elezioni è generalmente elevata: il record si è toccato nel 2019, quando si sono presentati alle urne il 67% dei votanti (quasi 615 milioni di persone). Quest’anno scommettono gli osservatori, dopo che l’India ha superato la Cina come paese più popoloso del mondo, questo precedente potrebbe venire polverizzato. Ma vaste elezioni richiedono alti costi: secondo le stime, i partiti hanno speso oltre 7 miliardi di dollari nelle elezioni parlamentari del 2019 e la cifra potrebbe raddoppiare per questa tornata elettorale.

Cosa si vota?

Quel che gli elettori sono chiamati a decidere è chi siederà nella camera bassa del Parlamento indiano, il Lok Sabha o Camera del popolo, la più potente delle due camere che compongono il parlamento indiano. Che è bicamerale e comprende anche il Consiglio degli Stati (o Rajya Sabha). Il partito o la coalizione che ottengono la maggioranza nel corso di queste elezioni nominerà uno dei suoi membri eletti come primo ministro, il quale sarà chiamato a indicare i ministri che prenderanno parte al gabinetto. Il sistema elettorale indiano è maggioritario e multipartitico: vince il candidato che riceve più voti.

Quando si vota?

A causa delle dimensioni del Paese, la votazione non può avvenire in sicurezza in contemporanea in tutti gli stati, ma è divisa in sette fasi e ci vorranno quasi sei settimane per completarle, dovendo tenere conto di fattori come gli estremi climatici, i festival culturali e le ricorrenze religiose. Le date annunciate dalla commissione elettorale sono il 19 aprile, 26 aprile, 7 maggio, 13 maggio, 20 maggio, 25 maggio e 1° giugno. In alcuni stati come Bihar, Bengala occidentale e l’Uttar Pradesh la votazione si estenderà per tutti e sette i giorni. In altri, come Arunachal Pradesh e Sikkim, avrà luogo in un giorno. In totale, 44 giorni effettivi, perché il risultato sarà reso noto il 4 giugno: si tratta del secondo esercizio elettorale più lungo nella storia elettorale del subcontinente dopo le prime elezioni, svolte nell’arco di cinque mesi tra settembre 1951 e febbraio 1952.

Gli sfidanti

Il partito attualmente al potere e in cerca di una terza conferma è il Bharatiya Janata Party, formazione politica nazionalista hindu guidata dal primo ministro Narendra Modi, salito al potere nel 2014. Nelle precedenti elezioni del 2019 ha ottenuto 303 seggi. La coalizione di cui il Bjp è parte, l’Alleanza democratica nazionale (Nda) ha ottenuto un totale di 352 seggi – in altre parole, una maggioranza schiacciante. A questo giro, il primo ministro in carica ha annunciato che punta a 370 seggi per il Bjp e oltre 400 per la Nda, il che costituirebbe un risultato senza precedenti. Quello di Modi è stato un decennio che ha visto il governo alle prese con alcune delle più importanti sfide per il Paese sia a livello social-economico (infrastrutture antiquate e la mancanza di acqua pulita e servizi igienici), sia a livello di visibilità internazionale: digitalizzazione, allunaggio, moneta elettronica, energie rinnovabili ma anche accuse di controllo (se non di repressione, soprattutto delle minoranze) hanno caratterizzato questi anni.

Lo sfidante principale è l’Indian National Congress o più semplicemente Congress, guidato da Mallikarjun Kharge, il primo presidente negli ultimi 24 anni di storia del partito a non chiamarsi Gandhi di cognome: dopo gli ultimi due disastrosi passaggi elettorali, la famiglia erede politica di Jawaharlal Nehru e di sua figlia Indira Gandhi, due anni fa ha fatto un passo indietro. Alcuni analisti sostennero all’epoca che si trattasse di tentativo da parte della famiglia Gandhi (la madre Sonia, nata in Italia, il figlio Rahul e la figlia Priyanka) di far apparire il partito come meno “dinastico” e smorzare le critiche di Modi, che ha spesso definito il partito di opposizione un “affare di famiglia”. La coalizione di opposizione, nata l’anno scorso, nasce da una sua alleanza con altri partiti regionali: si chiama Indian national developmental inclusive alliance o in altre parola (le sigle sono grande passione del subcontinente) India. Ne fanno parte, non senza periodiche crisi, un ampio ventaglio di partiti, dall’All India Trinamool Congress (il potente partito al governo nello stato del Bengala occidentale), il partito dell’uomo comune Aap (che guida non senza problemi la capitale Delhi) e il Dravida munnetra kazhagam (che governa il Tamil Nadu), fino a partiti più piccoli come il Partito comunista di liberazione (marxista-leninista) e la Lega musulmana.

Il voto

In base alle regole elettorali indiane, deve esserci un seggio elettorale entro 2 chilometri da ogni abitazione, il che spiega perché una parte non marginale dei 15 milioni di lavoratori (tra i quali molti insegnanti) coinvolti nel processo elettorale devono attraversare mari e monti, letteralmente, tra isole, ghiacciai, deserti, giungle, per assicurare ai concittadini il diritto di voto. Ogni fase elettorale durerà un giorno, di conseguenza varie circoscrizioni elettorali voteranno nelle stesse 24 ore.

Le elezioni così scaglionate consentono al governo di spostare le forze dell’ordine nelle varie aree, prevenire episodi di ressa o violenza, ma anche trasportare funzionari elettorali e macchine per il voto – il quale è espresso elettronicamente usando oltre 1,7 milioni di macchine per il voto elettronico a registrazione diretta, che rilevano i voti immediatamente, non sono collegate a Internet e stampano le ricevute. Una curiosità: le macchine elettorali prevedono anche il tasto chiamato Nota, ovvero Nessuno dei precedenti (None of the above).

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Il nuovo piano della Cina per l’autosufficienza tecnologica

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Taipei – Xīn zhí shēngchǎnlì. Ovvero, nuove forze produttive. La formula chiave delle “due sessioni” 2024 pare essere questa. Una formula dietro la quale si cela un cambio di prospettiva e di modello di sviluppo per la Cina. Se n’è parlato tantissimo durante le riunioni della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e dell’Assemblea nazionale del popolo, che come ogni anno rappresentano il principale appuntamento politico e legislativo a livello statale. È qui, insieme al Plenum del Partito comunista (che nel 2023 non si è inusualmente svolto) che le proposte, le idee e le teorie trovano forma. Entrano nel lessico, nella liturgia e nell’ortodossia di Partito e Stato, due entità di cui i confini sono in realtà sempre meno definiti.

Per ogni concetto che assurge a linea guida, serve una “mitologia“. Ed ecco allora che i media statali cinesi spiegano che la formula di “nuove forze produttive” è stata introdotta dal presidente Xi Jinping lo scorso settembre, durante un’ispezione nell’Heilongjiang, una provincia nord orientale. Stavolta, il leader ne ha parlato in maniera specifica durante la seconda sessione dell’Assemblea nazionale del popolo durante una riunione con gli esponenti della provincia dello Jiangsu. Xi ha chiesto di concentrarsi sullo sviluppo di alta qualità come massima priorità, sollecitando sforzi per intensificare l’innovazione, promuovere le industrie emergenti, adottare piani lungimiranti per lo sviluppo di industrie orientate al futuro e migliorare il sistema industriale modernizzato.

Il discorso ha subito conquistato, come ovvio, il centro della ribalta. Ma che cosa significa esattamente il concetto di “nuove forze produttive”? Si intreccia con gli obiettivi strategici dell’autosufficienza tecnologica e quello di trasformazione del modello di sviluppo. La Cina di Xi non mira solo ad accelerare e persino completare la transizione da “fabbrica del mondo” a società di consumi, ma anche a creare un modello di crescita ad alta qualità, meno imponente dal punto di vista quantitativo ma più sicuro e privo di esagerate esposizioni a debito e turbolenze esterne.

Innovazione massima priorità strategica

Le due sessioni 2024 certificano che l’innovazione deve essere il cuore delle nuove forze produttive e che queste ultime sono il motore con cui la Cina può lasciare il modello di crescita tradizionale e percorrere un sentiero di sviluppo produttivo diverso, in cui l’high tech e l’alta qualità siano in grado di sprigionare un potere trasformativo di innovazione.

Sin qui, tante buone intenzioni. Ma per passare ai fatti concreti, servono secondo la leadership cinese due passaggi. Il primo è l’investimento nella ricerca per perfezionare tecnologie in grado di cambiare le “regole del gioco”. Il secondo è applicare queste innovazioni tecnologiche sul piano industriale. Il terzo è completare la riforma dei settori produttivi. In qualche caso, la Cina sente di esserci già riuscita. Non a caso, anche nel rapporto di lavoro del premier Li Qiang si menzionano i successi raccolti in alcuni settori ad alto valore innovativo e strategico: auto elettriche, batterie agli ioni di litio, fotovoltaico. Senza dimenticare il recente lancio internazionale dell’aereo C919 che si propone di sfidare Boeing e Airbus in alcuni mercati emergenti (soprattutto del Sud-Est asiatico), la ricerca sottomarina e il settore spaziale.

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La popolazione della Cina continua a calare

Author: Wired

La popolazione della Cina è diminuita per il secondo anno di fila. La crescita continua dei passati 60 anni era già stata interrotta nel 2022, quando il conteggio demografico aveva registrato un calo di 850 mila unità. Nel 2023 questo numero è andato ad aumentare ulteriormente, raggiungendo i 2,08 milioni di persone in meno. I dati dell’Istituto nazionale di statistica cinese, equivalente del nostro Istat, riguardano solo chi ha la cittadinanza cinese e la Cina continentale, quindi senza Hong Kong e Macao.

L’India resta saldamente al comando come paese con il maggior numero di abitanti, mentre la Cina cala sempre più velocemente. Le nuove nascite sono scese del 5,7% e il tasso di natalità ha raggiunto il minimo storico di 6,39 nascite ogni mille persone, pari a 9,2 milioni, più basso anche rispetto al 2022. Al contrario, i decessi totali sono aumentati del 6,6%, arrivando a 11,1 milioni, raggiungendo così il livello più alto dal 1974, durante la Rivoluzione culturale di Mao Tse Dong.

Ad aver fatto indietreggiare il gigante asiatico si trovano le stesse politiche di Pechino, che dal 1979 al 2016 hanno imposto la rigida norma del figlio unico a tutte le famiglie, sanzionando con multe o addirittura con il licenziamento chiunque fosse scoperto a violarla e provare ad avere più di un figlio o una figlia. Allo stesso tempo però, l’elevato numero di morti registrato negli ultimi anni è dipeso anche dagli effetti della pandemia da Covid-19.

Il governo di Xi Jinping ha tentato in vari modi di invertire questa tendenza, incoraggiando le famiglie ad avere anche un secondo o un terzo figlio tramite agevolazioni fiscali e campagne propagandistiche per promuovere una cultura del matrimonio e della maternità, come riporta il New York Times, cercando anche di sostenere che le donne debbano tornare a ricoprire ruoli più tradizionali. Tuttavia, nei passati sette anni le nascite sono continuate a calare e la maggior parte delle coppie cinesi non sembra intenzionata ad avere più di un figlio o a tornare ai tradizionali ruoli di genere.

Come nei paesi più ricchi al mondo, la popolazione cinese sta cominciando a invecchiare, nonostante il Pil pro capite della Cina sia piuttosto basso e il paese sia considerato ancora in via di sviluppo. I dati indicano una crescita delle persone con più di 60 anni, 21,1% nel 2023 rispetto al 19,8% del 2022, e il paese dovrà nei prossimi anni fronteggiare i tipici problemi collegati all’invecchiamento di una società, come la carenza della forza lavoro, il peso delle pensioni e così via, senza però essere riuscita a raggiungere i livelli di welfare e benessere tipici dei paesi in condizioni simili.

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6 cose da sapere sulle elezioni di Taiwan

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Questo clima da confronto imminente non sembra appassionare più di tanto l’elettorato taiwanese. In passato il voto era molto più centrato sul tema identitario e sui rapporti con Pechino. Era stato così nel 2016, sull’onda delle proteste del “Movimento dei girasoli” e 2020, quando in pochi mesi si erano ribaltati i sondaggi a favore del Dpp in seguito alla repressione dell’autonomia di Hong Kong, che secondo la prospettiva di Pechino dovrebbe essere lo stesso modello da applicare a Taiwan.

In cima agli interessi degli elettori ci sono questioni economiche e sociali. In primis i prezzi delle case, il salario minimo e l’occupazione, ma anche il sistema educativo e la sicurezza. Molto citato anche il tema energetico, con le riserve taiwanesi molto dipendenti dall’esterno, e le posizioni contrapposte sul nucleare, che vedono il Dpp contrario e i due partiti di opposizione a favore. Si è parlato anche di diritti, ma dopo la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nel 2019 non sono previsti altri passi avanti drastici su un tema sensibile come la pena di morte, che seppur non eseguita da diverso tempo resta ancora in vigore.

Il ruolo dei chip

Il voto è importante anche per le sue implicazioni economiche. Taiwan è la ventiduesima economia al mondo ed è la patria della fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori. Il colosso Tsmc possiede il 52,9% del mercato nel settore fabbricazione e assemblaggio. I primi due competitor sono la sudcoreana Samsung Electronics con il 17,3% e l’altra taiwanese Umc con il 7,2%. Stati Uniti e Cina sono solo al quarto e quinto posto con Globalfoundries (6,1%) e Smic (5,3%). Circa due miliardi e mezzo di persone utilizzano ogni giorno prodotti contenenti semiconduttori prodotti da Tsmc. Tutto il mondo se n’è accorto durante la crisi per la carenza dei microchip avviata durante la pandemia. Un dominio non solo quantitativo, ma anche qualitativo, visto che è l’unica azienda insieme alla sudcoreana Samsung a essere in grado di fabbricare microchip a 3 nanometri, i più avanzati in circolazione.

Gli spostamenti e le manovre di Tsmc sono un caso sempre più internazionale, ma vengono osservate con estrema attenzione anche a Taiwan, con effetti sul dibattito politico. In concomitanza delle notizie delle aperture degli stabilimenti all’estero, soprattutto negli Usa, l’opposizione del Kuomintang ha offerto una sponda al timore, già diffuso da più parti, che la globalizzazione dei chip possa mettere a rischio il futuro dell’economia di Taiwan.

Gli scenari post voto

Prima del silenzio elettorale in vigore dal 3 gennaio, tutti i sondaggi davano Lai come favorito con una forbice che, a seconda dei casi, passava da un minimo del 3% a un massimo del 10%. Non è una vittoria scontata. Con un’opposizione unita, la vittoria di Hou e Ko potrebbe essere garantita.