Categorie
Economia Tecnologia

Come Fratelli d’Italia si è preso la tecnologia

Author: Wired

Il primo appuntamento è il decreto legge che Palazzo Chigi intende varare entro fine marzo, basandosi sulla strategia consegnata dalla commissione intelligenza artificiale voluta da Butti. Il documento, di cui Wired ha potuto visionare il rapporto di sintesi, fornisce dieci indicazioni generali, su come applicare l’AI nella pubblica amministrazione, come stimolare la ricerca scientifica e come favorire il trasferimento tecnologico alle imprese. È di fatto il canovaccio della legge che il governo Meloni vuole scrivere e che affiderà a una fondazione la regia dei progetti. Una poltrona che, è facile immaginare, Fratelli d’Italia vorrà tenere per sé.

Mosse sulla scacchiera

L’attivismo del partito di destra nel controllo degli snodi di legge, appalti e finanziamenti non è nuovo. La prima prova è stato il blitz a marzo 2023 al vertice dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), finita nel mirino del sottosegretario Alfredo Mantovano, con delega ai servizi segreti. L’ente ha 623 milioni in dote dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), una sequenza di appalti da dover assegnare e un ruolo chiave nell’architettura dati e cloud nazionale.

Poi è stata la volta del lunghissimo braccio di ferro tra Lega e Fratelli d’Italia per la poltrona di amministratore delegato di Cdp Venture Capital, il Fondo nazionale innovazione nato nel 2020 sotto Cassa depositi e prestiti (Cdp) per sostenere lo sviluppo di startup in Italia. Il principale azionista della cassaforte del risparmio postale, il ministro leghista delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, spingeva per rinnovare l’ad Enrico Resmini, ma Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario della presidenza del Consiglio all’attuazione del programma e fedelissimo di Meloni, ha voluto un cambio. Al timone è approdato l’ex responsabile finanziario di Terna, Agostino Scornajenchi.

Il quale si trova nella stessa situazione che toccherà al successore di Amadeus alla conduzione del Festival di Sanremo: raccogliere un successo incredibile (Resmini ha portato a 3,1 miliardi gli asset gestiti dal fondo e aveva la stima di tutto il mondo dell’innovazione italiana) e preservarlo. Non sarà facile. Non solo per le mutate condizioni di mercato, ma anche perché avrà un governo ingombrante. Il sottosegretario Butti promette da tempo soldi alle startup: 150 milioni che dovrà gestire Cdp venture capital con Acn e Palazzo Chigi. E di recente Meloni ha piazzato una fiche da un miliardo sempre sul capitolo AI. Ma non solo. Proprio al G7 Urso ha parlato di creare un campione nazionale” dell’AI. E ha anche annunciato che tra i decreti collegati alla manovra economica varata nel 2023, c’è una legge sulle tecnologie abilitanti, tra cui blockchain, metaverso e realtà virtuale, che insieme ai provvedimenti gemelli su economia dello spazio e del mare, muoverà 320 milioni di investimenti.

Musk e l’etica

Ma al netto di poltrone, soldi e nomine, che tecnologia immagina Fratelli d’Italia? La narrazione si muove su due binari. Da un lato c’è la fascinazione per Elon Musk, ospite d’onore dell’edizione 2023 della festa del partito, Atreju. Il fondatore di Tesla e SpaceX e proprietario dell’ex Twitter, ribattezzato X, è l’emblema dell’innovatore per la destra nazionale. Più per le sue prese di posizione contro i movimenti di sinistra negli Stati Uniti o sul tema del calo demografico occidentale che per il suo approccio liberista all’economia, che mal si attaglia al vento dirigista che spira in Europa e che anima le strategie del governo. Ma Musk fa gioco, sia come potenziale partner industriale (si parla di coinvolgere l’internet satellitare di Starlink per compensare il mancato cablaggio di alcune aree del paese) sia come voce di tecnologo e visionario. Peccato che l’imprenditore sudafricano sia allergico alle regole sul digitale di cui l’Unione europea si sta dotando (vedi il caso Digital services act e X) e che l’Italia deve applicare. E con la sua narrativa lungotermista e apocalittica sull’AI che sterminerà l’umanità, alimenta le paure per difendere i suoi interessi e mettere i bastoni tra le ruote a potenziali concorrenti più abili. Insomma, non fa certo il gioco di Roma.

Dall’altro lato, il partito continua a insistere sull’“etica” nella tecnologia. La dichiarazione del G7 è zeppa di riferimenti a un’etica sull’intelligenza artificiale, che però, come ha osservato su Wired il presidente della Fondazione per la sostenibilità digitale, Stefano Epifani, non serve: “Con la scusa dell’etica degli algoritmi finiamo per convincerci che l’etica è negli algoritmi, dimenticando che siamo noi a dover dare un’etica a ciò che fanno gli algoritmi. Insomma: dopo lo Stato etico ci mancavano le intelligenze artificiali etiche”. Eppure è uno degli aggettivi che la destra al governo ama appaiare all’AI. Un connubio che sarebbe innocuo, finché resta nel pour parler, ma che diventa rischioso se ispira le regole. Un conto è il diritto, altro paio di maniche l’etica. Anche perché l’AI Act non copre i campi della sicurezza nazionale e della difesa. Sui quali a pronunciarsi dovranno essere i governi. E in Italia, ça va sans dire, Fratelli d’Italia vorrà dire la sua.

Categorie
Economia Tecnologia

I Paesi del G7 vogliono investire nei cavi internet nell’Artico

Author: Wired

VeronaInvestire in cavi internet sottomarini nel mar Artico. È questo uno degli impegni presi dai paesi del G7, il forum intergovernativo che riunisce le sette economie più avanzate del pianeta (Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Canada e Giappone), al primo appuntamento ministeriale del G7, di cui Roma ha la presidenza per il 2024. “Lavoreremo per progetti di comunicazione sottomarina nel mar Artico e nel Pacifico, per mettere in sicurezza la trasmissione dei dati”, ha detto il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso.

Dossier telecomunicazioni

C’è in particolare un progetto, quello di un cavo internet nell’Artico, messo sul tavolo al G7 del 2023, a guida giapponese. Obiettivo: creare una connessione diretta tra Giappone, Europa e Nord America, bypassando la Russia. E l’Artico è la via più breve per collegare le tre sponde del blocco. Una partita che si è fatta più urgente all’incrinarsi dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, ma anche all’indomani degli attacchi a quattro cavi internet che passano attraverso il mar Rosso, snodo mondiale non solo dello scambio delle merci, ma anche delle informazioni, dato che da là passa il 17% del traffico globale di dati.

Un dossier esiste. È quello di Far North Fiber, 17mila chilometri di lunghezza, promosso da tre operatori di telecomunicazioni in Finlandia, Stati Uniti e Giappone (rispettivamente Oy, Far North Digital e Arteria networks) e affidato ad Alcatel submarine networks, il più importante sviluppatore di queste infrastrutture (parte del gruppo Nokia). Consegna prevista nel 2027. Al cavo è interessata anche la Commissione europea, che nel 2023 ha varato un’iniziativa sulle comunicazioni nell’Artico, così come la Nato, che ha istituito un coordinamento nello stesso anno, dopo il danneggiamento del cavo che collega l’arcipelago delle Svalbard alla Norvegia nel gennaio 2022. Al G7 di Verona e Trento, dedicato a industria e digitale e prima delle venti tappe in programma in diverse città italiane e che culmineranno a metà giugno con l’incontro dei capi di Stato a Borgo Egnazia, in Puglia, il gruppo di ministri ha preso un impegno anche nell’investimento in reti quantistiche.

Le sessioni di lavoro

All’incontro nella città veneta, nel palazzo della Gran Guardia, dirimpetto all’Arena, hanno preso parte anche le delegazioni dell’Unione europea, capeggiata dalla vicepresidente con delega al digitale, Margrethe Vestager, e di Corea del sud, Ucraina e Arabia saudita. I lavori sono stati suddivisi in tre momenti. Nella prima sessione è emersa una concertazione tra i paesi del G7 di allineare le regole per sviluppare in modo coordinato intelligenza artificiale, quantum computing e altre tecnologie di frontiera. In particolare, a guidare il lavoro sull’AI sarà il cosiddetto processo di Hiroshima, un metodo per stabilire norme comuni sul settore avviato durante il G7 giapponese. A ottobre è prevista un nuovo vertice ministeriale su tecnologia e industria, per mettere nero su bianco in un documento i progressi raggiunti e trasferire il dossier alla presidenza del 2028, affidata al Canada.

La seconda sessione ha messo a fuoco i problemi delle catene di approvvigionamento da cui dipendono le nazioni del G7 per svincolarsi e stabilire una politica comune sugli investimenti. A partire dai semiconduttori. La terza sessione, a cui hanno partecipato anche delegati dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), agenzia delle Nazioni unite, ha fissato come obiettivo la realizzazione di un hub per l’AI, per diffondere conoscenza e competenze a livello globale.

L’investimento di Silicon Box

Al tavolo del G7 Urso si è seduto sicuro dell’investimento da 3,2 miliardi da parte di Silicon Box, startup di Singapore specializzata in chiplet, minuscoli circuiti integrati grandi come granelli di sabbia. L’impianto dovrebbe generare 1.600 posti di lavoro. L’ad dell’azienda, Byung Joon Han, che ha partecipato a una riunione preliminare dei rappresentanti delle imprese, il B7, ha spiegato di voler far partire l’investimento entro il 2024. Ancora non è noto dove sorgerà la fabbrica né a quanto ammonti le agevolazioni concesse dal governo, tema su cui Urso non si è voluto esprimere.

Il ministro ha detto che l’investimento nasce a valle di una serie di incontri con 80 aziende della microelettronica portate avanti dalla task force dedicata del suo ministero e condotte nel 2023. Tra questi vi sono aziende di Taiwan, della Corea del sud, del Giappone e degli Stati Uniti. Tra queste Intel, che aveva intenzione di avviare anche in Italia un impianto nella filiera dei chip ma poi ha ritirato la proposta. La scorsa estate Silicon Box ha visitato diversi siti nel Belpaese e si orientata per insediarsi nel nord Italia. Secondo Urso quello della startup di Singapore è il primo di una serie di annunci: “Altri investimenti seguiranno nei prossimi mesi”.

Categorie
Economia Tecnologia

Che intenzioni ha il governo per vigilare sull’intelligenza artificiale

Author: Wired

C’è un motivo se la proposta di assegnare la supervisione del settore dell’intelligenza artificiale all’Agenzia nazionale per la cybersicurezza (Acn) ha retto 48 ore, prima di sparire dal pacchetto di norme sulla sicurezza informatica voluto dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e presentato al Consiglio dei ministri di giovedì 25 gennaio. Perché per quel ruolo c’è un altro candidato in corsa, da più parti considerato più adatto. È l’Agenzia per l’Italia digitale (Agid), l’ufficio nato per coordinare la digitalizzazione della pubblica amministrazione, che da mesi è la pedina che intende giocarsi il sottosegretario all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti. Il deputato comasco, arrivato quasi defilato a Palazzo Chigi, è sempre più ascoltato dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha voluto mettere il cappello del suo partito sul tema dell’AI.

Fatto sta che il primo tentativo di individuare per legge a quale ente pubblico affidare il delicato compito di vigilare sull’intelligenza artificiale è stato bloccato. La nomina di un controllore del settore è prevista dal regolamento europeo sull’intelligenza artificiale, l’AI Act, in queste settimane al ciclo di approvazioni finali da parte del Consiglio europeo (2 febbraio, la data previsto) ed Europarlamento (entro aprile).

Il retroscena:

  1. Come scegliere il controllore
  2. Il ruolo di Fratelli d’Italia

Come scegliere il controllore

Proprio perché il testo dell’AI Act veleggia verso il voto, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, ha spiegato in conferenza stampa che l’assegnazione all’Acn è stata espunta per evitare fughe in avanti. Insomma, un atto di cortesia istituzionale verso Bruxelles, tutt’altro che necessario però. La Spagna ha individuato un’agenzia per la supervisione dell’AI già lo scorso settembre. E lo ha fatto peraltro mentre Madrid aveva le redini della presidenza del Consiglio europeo con il mandato di chiudere l’accordo con il Parlamento sull’AI Act, raggiunto l’8 dicembre.

La fuga in avanti da frenare, piuttosto, è interna al governo. E riguarda l’impianto di controllo sull’intelligenza artificiale a cui Butti sta lavorando. L’AI Act, come emerge dal testo finale che Wired ha visionato, non impone di avere un solo referente, secondo la linea voluta dal Parlamento europeo, ma fa riferimento a varie autorità nazionali delegate. Se si analizzano i modelli applicati in finanza, per esempio, la palla passa agli enti di vigilanza deputati (in Italia sarebbe Consob). E negli articoli dedicati agli usi vietati e alle eccezioni, si menziona il fatto che i garanti nazionali dei dati personali e del mercato debbano spedire ogni anno alla Commissione un rapporto sull’uso dei sistemi di riconoscimento biometrico in tempo reale. In Italia, quindi, un compito a carico del Garante della privacy e dell’Antitrust. E ancora: laddove si menzionano la difesa delle infrastrutture critiche, è naturale cedere il passo all’Acn, che già le vigila sul fronte della cybersecurity.

Il ruolo di Fratelli d’Italia

Insomma, l’AI Act apparecchia una tavola con molti posti a sedere. Ma un padrone di casa ci vuole. Qualcuno che detti i tempi e le priorità, coordini il lavoro e sia un punto di riferimento verso l’esterno. Difficile pensare che il compito possa spettare a una autorità indipendente, come il Garante per la protezione dei dati o quello per la concorrenza e il mercato. Troppo autonomi e svincolati dalla politica, nella visione di Palazzo Chigi, per occuparsi della materia, scrivere regole e impostare gli ambienti di test (le cosiddette sandbox).

Categorie
Tecnologia

La legge contro gli “ecovandali” vuole zittire le proteste per il clima

Author: Wired

Il governo Meloni ha varato una legge per reprimere l’attività politica di chi protesta in nome della giustizia ambientale e denuncia le azioni troppo poco incisive dei governi nel reagire alla crisi del clima. È la cosiddetta legge contro gli “ecovandali”, che punirà con multe dai 10 ai 60mila euro e la reclusione fino a cinque anni di carcere gli attivisti ambientali che sono riusciti a far sviluppare una conoscenza collettiva sulla crisi del clima, proprio grazie alle loro azioni non violente.

Dopo essere stata approvata lo scorso luglio al Senato, la nuova legge ha ricevuto il via libera definitivo della Camera il 19 gennaio 2024. La norma, fortemente voluta e sostenuta dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, introduce pene estremamente severe contro chiunque arrechi un qualunque tipo di danno o modifica a beni culturali o paesaggistici. E anche se le organizzazioni ambientaliste non sono citate è chiaro che la legge sia stata fatta proprio per i gruppi come Ultima generazione.

Nel dettaglio, sarà punito chiunque “distrugga, disperda, deteriori, renda in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali e paesaggistici”, con multe dai 20mila ai 60mila euro. Mentre per chi “deturpa, imbratta o destina i beni culturali a un uso pregiudizievole o incompatibile con il loro carattere storico o artistico” riceverà multe tra i 10mila e i 40mila euro.

In più, rischia da 1 a 5 anni di carcere, poco meno rispetto alle pene previste per il reato di corruzione, chi “distrugga, disperda, deteriori, renda in tutto o in parte inservibili o non fruibili” beni mobili o immobili durante manifestazioni, mentre potrebbe ricevere da 1 a 6 mesi di carcere chi dovesse compiere le stesse azioni in musei, pinacoteche o gallerie, praticamente quanto chi commette una molestia sessuale.

Gli attivisti di Ultima generazione e l’organizzazione no profit The good lobby hanno commentato l’approvazione della nuova legge sottolineando “la nostra preoccupazione per la continua criminalizzazione degli atti di protesta della società civile, sempre più consapevole dell’ignavia politica sul tema ecologico e climatico, e sempre più spesso presa di mira, arrestata e incriminata per via delle proteste, così come i crescenti tentativi da parte del governo di silenziare ogni tipo di dissenso e il diritto di protesta”.

Categorie
Tecnologia

Si aprono le iscrizioni per il liceo del made in Italy

Author: Wired

A partire dal 23 gennaio 2024 saranno aperte le iscrizioni del liceo del made in Italy, il nuovo indirizzo di studi di ispirazione nazionalista fortemente voluto dal governo Meloni. Nato tra le polemiche, a causa delle poche differenze con il già esistente liceo delle scienze umane, potrà essere attivato solo su richiesta, da presentare entro il 15 gennaio, delle istituzioni scolastiche e sostituirà l’indirizzo economico-sociale.

Insomma, più che un nuovo liceo sembra trattarsi di un depotenziamento dell’indirizzo economico-sociale, a cui toglie l’insegnamento della seconda lingua straniera, diritto ed economia politica. In cambio, gli studenti avranno corsi di “gestione delle imprese del made in Italy, modelli di business nelle industrie della moda, dell’arte e dell’alimentazione e made in Italy e mercati internazionali”.

La differenza maggiore sarà il collegamento con la fondazione Imprese e competenze per il made in Italy, attivata con lo stesso decreto con cui è nato il liceo, che dovrebbe servire a portare i neodiplomati nel mondo del lavoro. Tutti i licei delle scienze umane che vorranno aprire i nuovi corsi, dovranno rinunciare all’attivazione delle classi a indirizzo economico-sociale, per non comportare nuovi oneri a carico dello Stato.

Il progetto è stato fatto partire “senza nuovi o maggiori oneri” per la finanza pubblica, quindi senza una copertura economica ad hoc. La legge non chiarisce nemmeno quali debbano essere le competenze richieste ai docenti per insegnare le nuove materie, né se verranno attivati speciali percorsi formativi di aggiornamento, lasciando aperti molti interrogativi su quale sarà l’effettivo risultato del nuovo liceo.

Sarà facile valutare il successo o l’insuccesso della nuova offerta formativa del governo Meloni, perché saranno le scuole stesse a richiedere o meno l’attivazione del nuovo indirizzo, entro il 15 gennaio 2024. Da quel momento sarà già possibile cominciare a tirare le somme, mentre a settembre si potrà fare il conto effettivo degli studenti e delle studentesse, che potranno iscriversi online attraverso la piattaforma Unica per la scuola.