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Tecnologia

Le morti che hanno segnato il 2023

Author: Wired

Dalla letteratura alla politica, dall’arte all’informatica, il 2023 è stato un anno di perdite significative per l’Italia e per il resto del mondo. Tra queste troviamo la scrittrice e attivista politica Michela Murgia, morta a 51 anni, i giornalisti Andrea Purgatori e Maurizio Costanzo e lo scrittore Milan Kundera. Con i suoi 86 anni di età, di cui trenta passati in politica, quest’anno è mancato anche Silvio Berlusconi. Il mondo dell’informatica ha invece perso Gordon Moore, cofondatore di Intel, e Luiz André Barroso, padre dei moderni data center. In circostanze non chiarite, è morto in carcere Theodore Kaczynzki, terrorista statunitense e figura controversa della resistenza contro la società industriale e tecnologica, conosciuto come Unabomber. E, sempre in carcere, è morto anche il mafioso Matteo Messina Denaro.

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Economia Tecnologia

Microchip, ora ne abbiamo troppi?

Author: Wired

Per chi ha seguito le notizie dal mondo della tecnologia, sarà sembrato che negli ultimi anni il mercato dei microchip sia essenzialmente impazzito. Blocco produttivo legato alla pandemia, ricostruzione delle catene di approvvigionamento su base geopolitica, reshoring industriale delle maggiori potenze, e soprattutto carenza globale di microchip a livello globale. Negli ultimi tre anni questi sono alcuni elementi chiave del dibattito pubblico riguardo una delle tecnologie più importanti per la nostra economia.

Recentemente però nel vocabolario del discorso sui semiconduttori è iniziata a comparire anche un’altra parola, che nel settore non si sentiva da un po’. Eccesso, o surplus se volete. Sembra che, nel giro di qualche mese, la situazione si sia ribaltata e che oggi invece siano prodotti addirittura troppi microchip. Che significato ha tutto ciò? Come è successo che da un estremo si sia passati all’altro? E come se ne esce?

Una fabbrica di microchip in GiapponeIl progetto impossibile del Giappone per dominare l’industria dei microchip

Rapidus è la nuova società su cui Tokyo ha deciso di puntare per recuperare terreno nel mercato dei semiconduttori. Ma ha obiettivi estremamente ambiziosi. Forse troppo

Un fattore politico?

Negli ultimi anni il mercato dei semiconduttori, la componente essenziale con cui vengono prodotti i microchip, ha conosciuto una notevolissima espansione. I ricavi del settore nel 2021 contavano circa 600 miliardi di dollari, ma alcune proiezioni indicano che il settore in questo decennio crescerà a un ritmo del 6-8% annuo fino a raggiungere i 1.000 miliardi di dollari nel 2030.

Davanti all’espansione di questo mercato, i paesi sviluppati non sono rimasti a guardare. Cina, Stati Uniti, Europa, Corea del Sud, Giappone, Taiwan, India: tutti hanno messo in atto piani per prendersi una fetta di quel mercato, cercando di attrarre investimenti e di produrre possibilmente in loco i microchip richiesti dalle proprie industrie. Dietro a queste misure (in alcuni casi del valore di decine di miliardi) si cela certamente una ragione economica ma in molti casi la motivazione è prevalentemente politica: i semiconduttori infatti sono considerati da tutti una risorsa tecnologica troppo strategica perché un paese possa esserne dipendente dall’importazione. Molti governi dunque hanno approvato piani per riportare la produzione entro i confini nazionali, in un’ottica sia di sicurezza economica che di sicurezza militare (dati gli usi militari di certi tipi di microchip).

Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è qui che nasce l’eccesso di offerta. Certo, molti paesi hanno varato piani industriali enormi per riportare la produzione in casa, ma nella gran parte dei casi si tratta di investimenti recenti che non hanno ancora aumentato la capacità produttiva effettiva visto che gli stabilimenti sono ancora in costruzione.  L’origine dell’eccesso di microchip che stiamo vedendo oggi è invece da ricercare sul lato della domanda

Produzione di massa di chip da parte di TsmcLa globalizzazione dei chip mette a rischio il futuro di Taiwan?

Il raddoppio del produttore Tsmc già certo negli Stati Uniti e quello sempre più vicino in Giappone. E poi anche lo sbarco in Germania (e in Europa). I semiconduttori made in Taiwan conquistano il mondo. Sull’isola, però, in molti non sono contenti della scelta

Un mercato complesso

Intanto, la prima cosa da chiarire è che non c’è un eccesso generalizzato. Ciò che dallo scorso autunno si è cominciato ad osservare è un surplus produttivo rispetto alla domanda in alcuni settori industriali e relativamente ad alcune tipologie tecniche, mentre in altri settori e per altre tipologie il mercato continua a essere sottofornito. Per esempio nel settore automobilistico, che solitamente utilizza microchip la cui tecnologia è già abbastanza matura, si prevede una continuazione dell’attuale carenza di semiconduttori. L’elettrificazione, che aumenterebbe la componentistica di microchip in un’auto da 500 dollari a 1.600, è poi un processo che rischia di esacerbare ulteriormente questa penuria.

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Economia Tecnologia

Intel, che fine ha fatto la fabbrica di chip in Italia

Author: Wired

Un’ondata di gelo travolge il Veneto. Non è colpa però delle rigide temperature invernali, ma del possibile passo indietro di Intel rispetto alla realizzazione a Vigasio, in provincia di Verona, di una fabbrica per l’imballaggio e l’assemblaggio di semiconduttori.

Secondo il Corriere della Sera, l’amministratore delegato della multinazionale statunitense Pat Gelsinger, pur smentendo le voci su un totale disimpegno dell’azienda sul territorio europeo, ha confermato l’intenzione di investire in Germania ma ha palesato qualche dubbio sull’effettiva costruzione dell'”annunciato impianto di packaging nell’Uein Italia.

L’Italia – ha spiegato l’ad – è ancora in gioco, ma anche altri paesi candidati. Stiamo cercando di vedere dove. Decideremo entro l’anno”. “Con la Germania – ha invece affermato – stiamo andando avanti. Stiamo finendo i negoziati su alcuni aspetti con l’Unione europea e con i tedeschi sulle dimensioni e altro”.

I motivi

Secondo quanto riporta il Corriere, la decisione con cui Intel sta continuando a lavorare per realizzare “un mega impianto all’avanguardia in Germania” potrebbe essere figlia di un contributo sostanzioso messo sul piatto da Berlino, per coprire i costi maggiori per l’azienda dovuti al caro energia, all’inflazione e all’aumento dei prezzi delle materie prime. Fattori che, secondo le stime di Intel, hanno fatto salire da 17 a 20 miliardi l’entità totale dell’investimento necessario in terra tedesca.

Una buona fetta, pari a circa 6,8 miliardi, potrebbe dunque essere coperta da risorse pubbliche. Proprio l’adozione da parte della Commissione europea del cosiddetto Chips Act, una serie di misure legislative e finanziarie per sostenere la produzione di semiconduttori nell’Unione europea, era d’altronde stato un incentivo per Intel in vista di una serie di investimenti nel vecchio continente.

Il governo

Il governo continua intanto a spingere affinché lo stabilimento del colosso statunitense sia realizzato in Veneto. Al Corriere, Gelsinger ha dichiarato di aver avuto una conversazione telefonica in merito con la premier Giorgia Meloni lo scorso 17 gennaio, mentre a margine dell’inaugurazione di Vicenzaoro January, in Fiera a Vicenza, il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha affermato di essere “in contatto costante – riporta l’agenzia stampa Radiocorsia con Intel, sia con le istituzioni europee per cercare di garantire all’Italia l’insediamento di Intel.

Il governo – ha aggiunto Urso – è in prima linea in questo progetto, un progetto in cui crediamo perché improntate e significativo anche dal punto di vista dello sviluppo tecnologico e per il quale abbiamo risposto positivamente a tutte le esigenze che ci sono state sottoposte. Starà infine all’azienda scegliere dove vorrà insediarsi“.