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Fotovoltaico, meno costi e più efficienza per rispondere al made in China

L’Europa può tornare a essere protagonista nella filiera produttiva di moduli solari, a patto d’investire in tecnologie innovative che permettono di creare valore aggiunto: taglio più sottile dei lingotti di silicio, utilizzo di polvere riciclata, sviluppo di celle-tandem con la perovskite.

L’industria mondiale del fotovoltaico, come sappiamo, è saldamente in mano alle nazioni orientali, Cina in testa, mentre l’Occidente ha perso buona parte della sua capacità produttiva di celle e moduli solari.

L’Europa, in particolare, è rimasta spesso schiacciata dalla concorrenza cinese e ha provato a difendersi attraverso dazi antidumping, al centro di polemiche tra le aziende favorevoli e quelle contrarie al loro mantenimento (vedi QualEnergia.it, Moduli fotovoltaici, l’evoluzione dei prezzi e le anacronistiche misure antidumping).

Allora che futuro c’è per la filiera del fotovoltaico in Italia, Germania e negli altri paesi europei? In che modo può riconquistare spazio di mercato? QualEnergia.it ha discusso questi e altri temi con Fabrizio Dughiero, professore ordinario del Dipartimento Ingegneria Industriale dell’Università di Padova.

Prof. Dughiero, come si sta evolvendo il mercato internazionale dei moduli fotovoltaici?

Faccio due premesse: la prima è che tutte le previsioni sul fotovoltaico in Europa sono rosee. Nei prossimi dieci-quindici anni ci saranno molte installazioni in più. È un mercato maturo e inarrestabile ed è assurdo che l’Europa rimanga fuori da questo business, lasciando la produzione ai paesi dell’est.

La seconda premessa è che i prezzi dei moduli realizzati con la tecnologia standard del silicio si sono assestati tra 50 e 60 centesimi di €/watt di picco, per scendere a 0,30-0,45 in alcuni periodi e secondo le diverse qualità dei moduli stessi.

Allora che possibilità ci sono per ridurre ancora i costi e aumentare l’efficienza?

Partendo dalla costatazione che il 95% dei moduli fotovoltaici è di silicio, per ridurre il costo finale/watt di picco ci sono sostanzialmente due strade: diminuire i costi di produzione e incrementare il rendimento, cioè l’efficienza di conversione della radiazione solare.

Nel processo produttivo ci sono quattro stadi fondamentali, dal creare i lingotti di silicio all’assemblare i moduli veri e propri, passando per il taglio dei lingotti (wafering) e la realizzazione delle celle, che è una fase intermedia totalmente automatizzata.

In quale fase del processo si potrebbe creare più valore aggiunto, rispetto alle produzioni estere di minore qualità?

La lavorazione dei lingotti è il punto-chiave. Per prima cosa, bisogna puntare a ottenere la massima purezza possibile del materiale.

Il secondo passo è assottigliare i wafer di silicio arrivando a spessori di circa cento micron, rispetto agli attuali 150-180 micron. Il problema è tagliare i lingotti in “fette” sottilissime senza romperle e senza sprecare troppo materiale.

Come si potrebbe arrivare a questi risultati?

L’attività di ricerca e sviluppo è essenziale per l’innovazione tecnologica nella filiera del fotovoltaico. L’anno scorso, l’Università di Padova in collaborazione con diversi partner, tra cui ENEA e Fraunhofer Institut, ha partecipato al bando del programma europeo Horizon 2020, con un progetto che potrebbe abbassare il costo dei moduli fino a 0.20 €/watt di picco.

È un obiettivo che riteniamo raggiungibile in fabbriche modulari con economie di scala nell’ordine di 300-400 MW quanto a capacità produttiva.

Che riscontro ha ottenuto?

Il progetto non è stato finanziato nell’ambito di Horizon 2020 perché le risorse sono state destinate al fotovoltaico organico. Manca solo il gradino dell’industrializzazione: in laboratorio abbiamo già dimostrato l’efficacia dell’intero procedimento.

L’Università di Padova è impegnata in qualche altro progetto sul fotovoltaico?

Al momento l’Università di Padova è impegnata con vari partner nel progetto europeo SiKELOR (Silicon Kerf Loss Recycling) il cui obiettivo è riutilizzare la polvere di silicio che si forma tagliando i lingotti. Mediamente c’è uno scarto del 50% di silicio durante il wafering.

In sintesi, cerchiamo di realizzare lingotti di altissima qualità grazie ad un riscaldamento elettromagnetico che associa anche un controllo dei movimenti del materiale fuso, che ci permette di miscelare fino al 50% di polvere riciclata.

Che cosa pensa, invece, delle ricerche sulle celle di perovskite? 

Le ricerche sulla perovskite sono molto promettenti. Una possibilità è sviluppare celle solari di silicio in tandem con la perovskite e aumentare così di 2-3 punti percentuali il rendimento complessivo, che potrebbe attestarsi intorno al 25-26% combinando i vantaggi dei due materiali per assorbire uno spettro solare più ampio.

Silicio e perovskite, infatti, assorbono lunghezze d’onda diverse e quindi creano una sorta di complementarietà, che porta a sfruttare al meglio lo spettro di radiazione solare, e tutto ciò a costi limitati.

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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