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Niente di nuovo sul fronte energia pulita nelle piccole isole

Dato per pronto la primavera scorsa, annunciato come imminente durante l’estate, alla fine del 2016 quel famoso decreto per promuovere le rinnovabili per le isole minori ancora è in qualche cassetto. Anche indagare sui progetti di fonti pulite in cantiere per le piccole isole sembra un’impresa ardua. Una nostra indagine.

Nel mondo dell’energia italiano la lunga lista dei “decreti missing”, scomparsi nel nulla, come quello sul Deposito Nucleare,  o che si fanno attendere per tempi biblici, come quello, che è stato, sull’incentivazione delle rinnovabili non fotovoltaiche, si allunga di una New Entry: che fine ha fatto il decreto per promuovere le rinnovabili per le isole minori?

Dato per pronto la primavera scorsa, annunciato come imminente durante l’estate, alla fine del 2016 ancora non si vede, e certo la crisi di governo non ne avrà accelerato l’iter.

Eppure è una di quelle norme win-win su cui dovrebbero essere tutti d’accordo e in cui tutti (o quasi) guadagnano, tanto che non solo non se ne capisce il ritardo, ma si stenta anche a comprendere perché non sia arrivato anni fa.

I termini della questione sono noti e più volte affrontati da questa testata (qui e qui): le isole minori non allacciate alla rete ottengono la loro elettricità da impianti diesel obsoleti, che producono una energia costosissima, sui 450 €/MWh, circa 10 volte più cara del PUN nazionale.

Per non strangolare gli abitanti di quelle isole, la differenza fra PUN e prezzo effettivo la pagano tutti gli altri italiani, al ritmo di circa 90 milioni di euro l’anno, caricati nella voce UC4 in bolletta elettrica.

Con quei prezzi di produzione, si può ben capire, sole, vento, moto ondoso, tutte fonti abbondantissime sulle piccole isole, potrebbero fare sfracelli, sostituendo gradualmente, magari tramite accumuli, la generazione diesel o olio combustibile.

Questo non solo consentirebbe di risparmiare, ma eviterebbe le emissioni di inquinanti in quelle perle naturalistiche e potrebbe rendere quei luoghi degli interessanti laboratori a cielo aperto di sperimentazione di progetti energetici avanzati, con pubblicità gratuita per le isole, creazione di lavoro e indotto ed esportazione. Oltre a soluzioni più efficaci, per esempio nella gestione di reti locali alimentate da prosumer.

Fossimo un paese normale, quindi, dovremmo già contare molti esempi simili a quello, come nell’isola di Hierro alle Canarie, alimentata dal vento e da una centrale idro a pompaggio, o nell’isola di Ta’u nelle Samoa americane, che Tesla ha recentemente reso autonoma dal diesel con solare e batterie. Invece niente.

E pensare che, come accade spesso in Italia, eravamo stati tra i primi ad andare in questa direzione, con l’impianto solare con batterie di Vulcano, creato da Enel addirittura nel 1984 e ancora unica fonte elettrica dell’isola.

Ma dopo quel lampo, gli interessi consolidati delle tante micro società che gestiscono la fornitura elettrica sulle piccole isole, e che vengono pagate a piè di lista (oggi solo un po’ temperato da un decreto 2014 che prevede costi standard), senza nessun obbligo o incentivo a cambiare fonti o aumentare l’efficienza, ha impantanato ogni altra iniziativa.

E dove non è arrivata l’inerzia burocratica e la connivenza politica, è arrivata la sfortuna: persino l’impianto FV da 1 MW, che la Regione Sicilia aveva finanziato a Lipari, per alimentare il nuovo dissalatore, non si è concretizzato. La società che doveva costruirlo è fallita prima di finire i lavori, e la Regione Sicilia non ha ancora appaltato ad altri il completamento, così che il più grande impianto solare delle isole minori, resta inutilizzato.

Cosa si aspetta per partire nella logica direzione delle energie rinnovabili, almeno in quell’ambito iperfavorevole?

Naturalmente l’aiutino pubblico, anche se in questo caso non sembrerebbe neanche servire: basterebbe diminuire gradualmente l’ammontare delle quote rimborsate, per spingere verso il passaggio a fonti meno costose, che nella situazione delle isole non possono che essere sole e vento.

Oppure, ma pare sia pura utopia, aprire la fornitura elettrica isolana alla concorrenza, e vedere se c’è qualcuno in grado di produrre con meno spesa e meno emissioni.

Invece la strada scelta è diversa: un decreto del Ministero delle Finanze, destinerà parte del rimborso dell’UC4 a finanziare una sorta di Conto Energia per le isole minori

I dettagli non sono ancora noti, ma pare che dall’emanazione del decreto al 2020, i risparmi, rispetto ai precedenti rimborsi, che le società elettriche isolane riusciranno a conseguire, finanzieranno i kWh da rinnovabili: in pratica i soldi che le società elettriche ci faranno risparmiare usando fonti meno costose o aumentando l’efficienza, torneranno a loro, per rimborsarle dei nuovi impianti costruiti.

E va bene, viene da dire, se dobbiamo tagliare la CO2, facciamo pure questo giro di cassa.

Ma neanche questo provvedimento ha per ora visto la luce: il decreto, da mesi annunciato, non appare, e il cambio di governo, sicuramente, non ne accelererà l’iter.

Quello che invece è già noto è un parere pubblico dato dalla Aeegsi sul decreto fantasma.

Come c’era da aspettarsi, l’Autorità per l’Energia svolge il suo consueto compito di frenatore di ogni novità nel campo delle rinnovabili: fra i suoi suggerimenti, che scommettiamo saranno accolti, ci sono quelli di trasformare gli obbiettivi minimi di installazione in obbiettivi massimi (non sia mai che se il solare diventasse nei prossimi anni troppo conveniente, si esageri nell’abbandonare i combustibili fossili …) e di spostare il raggiungimento degli obbiettivi dal 2020 al 2030, tanto il clima può attendere.

Si prevedono inoltre complicazioni come la creazione di un nuovo soggetto chiamato “gestore di sistema isolano” che dovrà, prima di installare un solo pannello,  presentare un piano energetico dettagliato ai prossimi 20 anni, tipo quelli che neanche l’Italia riesce a darsi da decenni, o il fatto che ogni “installatore terzo”, cioè chi vuole mettersi un impianto sul tetto di casa, debba chiedere il permesso alla stessa Aeegsi che, forse, chiederà anche a lui un piano energetico ventennale.

Suggerimenti che, se accolti, sicuramente contribuiranno a rimandare sine die ogni seria conversione alle rinnovabili nelle piccole isole.  

Chi scrive ha comunque provato a vedere se la spasmodica attesa del decreto fantasma del MiSE, stesse mettendo almeno in moto qualche seria iniziativa di conversione alle rinnovabili.

Bene, bisogna dire che indagare sul plutonio destinato alle bombe nucleari è più facile.

La pletora di mini società che gestiscono in monopolio le forniture isolane, si fanno mandare email, rimandano da un funzionario all’altro, si fanno lasciare nominativi e numeri di telefono da richiamare, ma poi, sostanzialmente, non parlano.

Né parla Terna, dal cui ufficio stampa abbiamo atteso inutilmente per una settimana una risposta a una richiesta di intervista a qualcuno di Terna Plus, la società che si sa avere in cantiere iniziative a Pantelleria e al Giglio. Nulla, neanche si trattasse del progetto Manhattan.

Quanto agli enti locali, ogni volta che li chiami chiedendo delle iniziative per le rinnovabili nelle loro isole, restano interdetti, come se parlassi di colonie marziane.

Così, cosa ci potremmo aspettare di vedere nei prossimi mesi?

Sicuramente altre iniziativa private spot, come l’impianto da 70 kWp, finanziato in crowdfunding e donato da Greenpeace al Comune di Lampedusa, benemerite, ma che non risolvono certo una situazione di fatto bloccata.

Ci sarà poi la nuova centrale elettrica di Favignana, che doveva essere un mostro diesel da 24 MW, ma che la Società Elettrica di Favignana, dopo vibrate proteste degli abitanti, ha graziosamente deciso di dimezzare a 12 MW (il cui costo andrà poi comunque ammortizzato con una cinquantina di anni di funzionamento), accompagnandola con un po’ di greenwashing, pagato dai contribuenti tramite UC4, sotto forma di impianto FV da 500 kWp, e, forse, con l’appoggio della Mercedes, con la sperimentazione di trasporti elettrici.

A Pantelleria invece, dovrebbe sorgere un impianto FV fra 500 kW e 1 MW, grazie alla cooperazione fra la locale società elettrica Smede e Terna, ma come detto nessuna delle due è stata disponibile a fornire dettagli. 

Così come non si è riusciti a sapere nulla di nuovo riguardo al già ricordato impianto da 4 MW dell’isola del Giglio.

Notizie di altri impianti in altre isole, il vostro reporter non è riuscito ad averne.

La sensazione, però, è che anche se nei prossimi mesi o anni, sentiremo annunciare come rivoluzionaria l’installazione di qualche impianto a rinnovabili qua e là sulle piccole isole, una Hierro italiana, cioè un progetto dimostrativo coerente, completo e scientificamente avanzato, per eliminare del tutto l’uso dei fossili da una o più di quelle realtà sarà qualcosa al di là dell’immaginabile in Italia.

Il motivo? Si richiederebbe il coordinamento di tanti enti diversi, dai Comuni alle Università, dalle piccole società elettriche a enti come Cnr o Enea.

Eppure si tratterebbe di uno scopo comune e condiviso, che dai noi in genere resta un sogno, come quello di abbandonare la protezione dei soliti, vecchi interessi, che fanno da macigno sulla strada di ogni innovazione.

Autore: QualEnergia.it – Il portale dell’energia sostenibile che analizza mercati e scenari

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