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Tassi di rendimento USA-Germania: Quali scenari sui cambi?

Cari amici,

parliamo del differenziale di rendimento tra i titoli di stato Usa e quelli tedeschi. Non scopriamo nulla di nuovo, ma vederne graficamente l’andamento potrebbe aiutarvi a svolgere qualche ulteriore considerazione sulla divergenza dei rendimenti e anche sul cambio Eur/Usd.

Partiamo da questo semplice grafico che rappresenta la dinamica dei rendimenti dei titoli di Stato Usa a  2 anni e quelli tedeschi, sempre a 2 anni (ovvio).

Il grafico parte dal 2007 (10 anni).

Come vedete, la cosa che salta immediatamente nell’occhio è la caduta dei rendimenti nel 2008, in concomitanza con la recessione. Ma questo aspetto ci dice poco ai fini del ragionamento.

La cosa invece rilevante è che i due rendimenti hanno seguito sempre un elevato grado di correlazione. La correlazione si è spezzata all’inizio 2014, principalmente a causa delle divergenti politiche monetarie adottate dalle due banche centrali (FED e BCE). Nel 2013 la Fed ha iniziato il tapering (riduzione degli acquisti dei titoli) e poi, a fine 2015, ha dato inizio alla stretta sui tassi di interesse (0.25%), a cui  ha fatto seguito un’ulteriore aumento a dicembre 2016 (dopo un anno dal primo rialzo!!!!!). Nel corso delle ultime settimane, complici una serie di dati abbastanza robusti sulla salute dell’economia Usa, sembrano accentuarsi le probabilità che la FED aumenti  ancora i tassi nella riunione di metà marzo.

La Bce, invece, in tutto questo periodo di tempo (dal 2014) si è fatta via via sempre più espansiva: ha portato i tassi in territorio negativo e ha varato il quantitative easing, comprando 80 miliardi di titoli al mese (ad aprile gli acquisti verranno ridotti a 60 Mld).

La divergenza della politica monetaria delle due banche centrali (anche per via di livelli di inflazione differenti tra Usa ed Eurozona), spiega in larga parte la dinamica divergente dei rendimenti tra Usa e Germania: i primi sono saliti, mentre i secondi sono scesi in territorio ferocemente negativo.

Dal primo grafico del post, si può derivare un altro grafico che rappresenta la dinamica dello spread tra i due rendimenti considerati (cioè il differenziale di rendimento).

E’  questo

Come vedete, il differenziale di rendimento, negli ultimi 10 anni non è stato mai cosi a vantaggio del rendimento dei titoli Usa.

Tenendo conto che i cambi tra le valute (in questo caso Eur/Usd) dipendono anche da altri fattori, il differenziale di rendimento tra i titoli a due anni Usa e tedeschi, giustificano (almeno in parte) la dinamica del cambio Eur/Usd.

Infatti, mettendo nel grafico l’andamento del cambio Eur/Usd (linea rossa,  scala sinistra)  e quello dello spread tra i rendimenti dei titoli Usa e tedeschi (linea blu, scala destra), si ottiene quanto segue.

Come vedete esiste un elevato grado di correlazione tra lo spread dei rendimenti e  il cambio. In altre parole significa che, dati i tassi di interesse più elevati per i titoli Usa, gli investitori chiedono dollaro e vendono euro. Questo favorisce l’apprezzamento di una valuta a discapito dell’altra.

Tuttavia,  giunti a questo punto, è possibile svolgere qualche altro ragionamento per cercare di capire possibili dinamiche future.

Come detto nei mesi scorsi QUI, QUI, il mondo sembra vivere un nuova fase di slancio della crescita economica che, per forza di cose, si riflette anche sull’inflazione e sulle sue aspettative (complice anche la risalita dei prezzi del petrolio e delle materie prime). Il miglioramento dei dati macro hanno coinvolto l’eurozona e la ripresa si sta diffondendo un po’ in tutti i paesi, seppur con le dovute eccezioni e diversità.

Anche le metriche di inflazione sono in netto miglioramento, e l’inflazione si sta diffondendo un  po’ in tutte i paesi.

L’inflazione della zona euro, nel suo complesso, è arrivata al 2%, che il target desiderato dalla BCE.

Tuttavia, l’inflazione core (cioè depurata dalle componenti più volatili quali energia e alimentari) è ancora ben lontana dal 2%.

Il miglioramento delle metriche di inflazione, potrebbe determinare delle pressioni sulla Bce (soprattutto da parte tedesca, visto che in Germania l’inflazione è salita al 2.2%) affinché adotti politiche monetarie meno espansive rispetto alle attuali.

Anche se la Bce si è “impegnata” a mantenere il QE fino a fine anno, già da aprile ridurrà il ritmo di acquisti a 60 miliardi al mese.

Ovviamente, non ho  la pretesa di capire come e quando la Bce intenderà uscire dalla politica monetaria  ultra accomodante, ma sembra evidente che il quantitative easing sia ormai a fine ciclo, tanto più se  i dati sull’inflazione dovessero essere confermati nei prossimi mesi e la ripresa irrobustirsi.

Per ritornare al ragionamento inziale, se la politica monetaria in eurozona dovesse farsi meno accomodante di quanto scontato dai mercati, lo spread tra i rendimenti di Usa e Germania dovrebbe tendere a ridursi, con conseguenze anche sul cambio Eur/Usd.

A quanto sopra esposto, si potrebbe aggiungere che dovrebbero essere valutati con attenzione, oltre alle dinamiche già dette, alcuni elementi:

– La politica economica (e fiscale) della nuova amministrazione Usa, e quindi i riflessi che produrrà su crescita e inflazione;

– Il prezzo del petrolio;

– Il ritmo di rialzo dei tassi da parte della FED (il mercato sembra già scontare 2/3 rialzi);

– Il contesto geopolitico della zona euro, visti i numerosi appuntamenti elettorali e considerato lo status di safe heven del bund tedesco.

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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