Categorie
Energia

Energia&Giornali: Il peggior articolo di divulgazione in materia energetica del 2016?

Proprio quando si sta iniziando a discutere della cosiddetta post-verità (termine che personalmente trovo orribile. Chiamiamole falsità o interpretazione distorte o tendenziose dei fatti), mi è capitato sotto gli occhi questo articolo:

Dato che è un tema di mio interesse ed ero curioso di vedere come veniva affrontato dai media generalisti, ho ben pensato di dargli una letta.

Ebbene, posso affermare che l’articolo in analisi è un serissimo candidato alla (poco) ambita leadership della classifica dei peggiori (pseudo)articoli di “divulgazione” (che Piero&Alberto Angela possano perdonarmi!) in materia energetica del 2016.

Precisiamo subito una questione: è palese che ciò non è dovuto a malafede, quanto piuttosto al modo di fare informazione oggigiorno imperante: un misto di superficialità, spettacolarizzazione di ogni cosa e utilizzo di parole-chiave atte a scatenare l’indignazione del lettore, spesso non addentro al tema trattato. Il tutto, ovviamente, per aumentare le letture e quindi il “valore economico” dell’articolo stesso (il che non è evidentemente sbagliato di-per-sé: mica i giornali campano di aria! Ed un articolo troppo tecnico e dettagliato, per svariati motivi (difficile da capire/lungo da leggere/spesso è assente un “cattivo” contro cui scagliarsi ecc) non genera traffico/copie vendute).

Si tratta infatti di un articolo scritto da un non addetto ai lavori che però, essendo un giornalista, ha utilizzato tutte le classiche tecniche per generare lo sdegno dei lettori (meglio, di una loro parte specifica) verso quei soggetti che nell’immaginario collettivo da sempre incarnano l’archetipo di “potere forte”/”detentore di interessi inconfessabili”/”circolo massonico” o, in via più triviale, di coloro i quali voglio sempre e comunque in*****e i poveri et onestissimi cittadini: governo, multinazionali del terrore, ecc. ecc.

Entriamo un po’ nel dettaglio.

Nell’articolo vengono mischiati senza logica temi diversi (smart meter 2G, fine delle Tutele di prezzo, cablaggio in fibra ottica del paese, l’istruttoria AGCM su E-Distribuzione per i lettori di impulsi dei misuratori (!!!)) e fin qui sarebbe anche quasi accettabile: mica è detto che tutti debbano essere addentro a temi così specialistici!

Il problema nasce quando questi vengono inframezzati da interpretazioni palesemente distorte di alcuni aspetti oppure da vere e proprie invenzioni.

Vediamone degli esempi:

“Evidenti anche gli altri vantaggi. Saranno più veloci ed efficienti le procedure di cambio fornitura e di voltura. Soprattutto in vista del 2018 quando,  con il passaggio obbligatorio al mercato libero, i clienti potranno sfruttare la concorrenza scegliendo le migliori offerte legate alle proprie esigenze, proprio come succede con i cellulari”

Quanto appena riportato è evidentemente una interpretazione distorta dei fatti per almeno 2 ragioni tra esse collegate: (i) ad oggi non c’è niente di certo circa la fine delle tutele di prezzo a partire dal 2018 per il semplice fatto che il DDL Concorrenza, che deve sancire i tempi e i modi di tale fine, è seppellito da qualche parte in Senato e da un po’ non se ne hanno più notizie e (ii) come noto tra gli addetti ai lavori, l’intenzione è quella di mantenere comunque un “servizio universale” (probabilmente simile al servizio di salvaguardia e quindi più costoso della maggior tutela così come la conoscevamo fino al 31.12.2016) per i clienti che decideranno di non passare al mercato libero e, quindi, nessuno sarà obbligato con la forza a passarci.

Vediamo altri esempi:

Le aziende riceveranno un incentivo maggiore, pari a 125 euro, se concluderanno in tempi brevi la sostituzione“.

Oppure:

Sorge, poi, inevitabilmente la domanda: quanto costa cambiare il cantatore? La risposta è abbastanza ovvia. Come tutte le spese sostenute per l’ammodernamento del sistema elettrico, anche questa sarà spalmata sulla bolletta di tutti i consumatori lungo i 15 anni di vita del contatore. Mentre se il cambio dell’apparecchio avviene prima del termine della vita utile (15 anni), la spesa derivante dal cambiamento è a carico dell’azienda. Peccato però che il 99% dei contatori sia stato installato nel 2001. 

Nel caso del primo esempio, si tratta di una dichiarazione proveniente dall’associazione Codici che però, oltre ad essere del tutto carente di dettagli (quali aziende? 125€ in assoluto non mi sembra tutto ‘sto incentivo su piani di miliardi di euro…forse erano €/misuratore messo in servizio?!Mah….! Quali sono i “tempi brevi”? mesi? anni?lustri?!), è completamente, assolutamente, terribilmente errata!

Si tratta di un errore da penna blu cobalto, roba da bocciatura diretta! Dato però che è un tema ultra-tecnico sul punto non si può infierire più di tanto(i 125 infatti sono il limite – nemmeno in euro, ma in percentuale – sia per il rapporto tra spesa unitaria complessiva proposta dall’operatore e spesa unitaria prevista dal regolatore che per la spesa unitaria effettivamente sostenuta. Dall’interazione di questi elementi nella c.d. matrice IQI si determina poi l’incentivo/penalità riconosciuta all’operatore). Dove invece si deve colpire duramente è sulla totale assenza di fact-checking e di imparzialità da parte dell’autore dell’articolo

Da notare inoltre l’utilizzo della classica tecnica giornalistica di creare artificiosamente dicotomie tra “noi”, immancabilmente i buoni, i puri di cuori, i migliori esponenti della ragione e “loro”, brutti, sporchi, cattivi e portatori di inconfessabili interessi di bottega (ovviamente a danno dei “noi”). Non c’è bisogno di dire che il lettore-target tende sempre ad identificarsi con il “noi” e a indignarsi verso “loro”, con tutto il corollario economico che ne segue.

Nel caso specifico, ciò si estrinseca nel dare al “noi” le voci delle varie associazioni dei consumatori  e riportane le dichiarazioni, senza però verificarle in alcun modo e inserendo, anzi, il link alla delibera 646/2016/R/eel dell’AEEGSI sul riconoscimento dei costi degli smart meter 2G, facendo con ciò intendere che quanto riportato sia effettivamente suffragato da questo documento che però, essendo contorto anche per l’esperto di settore oramai rotto a tutto, è quasi indecifrabile da un lettore non addentro a questi temi e che, pertanto, difficilmente riuscirà a capire che dei 125€ (così, assoluti…) non c’è traccia! Sempre in quest’ottica ricade un altro elemento di interesse: nessuno si è degnato di chiedere a “loro” cosa ne pensassero dell’argomento! E si che sarebbe bastato così poco: bastava chiamare E-Distribuzione o l’AEEGSI e chiedere una dichiarazione, facendogli magari anche presente quanto detto dalle altre parti! Invece, niente…nemmeno la frase standard “XXX, a nostra richiesta di commentare, si è rifiutato di rilasciare dichiarazioni”.

Nel caso del secondo esempio, sinceramente non ho parole se non di disappunto: si parte bene, dato che è verissimo che gli investimenti infrastrutturali vengono coperti tramite le tariffe pagate dagli utenti finali ed è altrettanto vero che la vita utile dei sistemi di misura 2G è di 15 anni.

Poi, però, arriva una uscita improvvida e senza fondamento: “Mentre se il cambio dell’apparecchio avviene prima del termine della vita utile, la spesa derivante dal cambiamento è a carico dell’azienda. Peccato però che il 99% dei contatori sia stato installato nel 2001“.

Tale assioma è sostanzialmente fondato su un dato di partenza falso: non è vero, infatti, che “il 99% dei contatori sia stato installato nel 2001ed è la stessa E-Distribuzione a fornire pubblicamente i dati reali, visto che nel proprio piano 2G riporta le installazioni annuali del periodo 2000 – 2016 dei misuratori 1G (cfr. pag. 20). Da questa fonte è possibile vedere che nel 2001 erano stati installati “ben” 109.142 smart meter 1G su un totale attivi al 31.10.2016 di 31.937.278, ovvero “ben” lo 0,34%! Il restante 98,66% ai tempi era ancora elettromeccanico. Al massimo, si può dire che il piano di messa in servizio degli smart meter 2G elaborato da E-Distribuzione tende a “ricalcare” quello seguito per gli smart meter 1G a suo tempo, così da sostituire, negli 8 anni di piano massivo, tendenzialmente degli asset che hanno completato la vita utile.

Ma ciò non è rilevante dato che, anche se tutti i 32 milioni di misuratori installati presso gli utenti BT avessero concluso da anni la loro vita utile, l’equazione proposta dall’articolo non starebbe comunque in piedi . Infatti, affermare che “se il cambio dell’apparecchio avviene prima del termine della vita utile, la spesa derivante dal cambiamento è a carico dell’azienda” è un grosso errore! La verità, in genere, è piuttosto diversa: l’azienda perde le quote di ammortamento residue e la remunerazione del capitale netto residuo dell’asset dismesso, ma dall’altra parte guadagna le quote di ammortamento e remunerazione del nuovo asset installato in sostituzione del vecchio e l’effetto netto di questi due eventi si riverbera sulle tariffe pagate dagli utenti. Poi nel caso degli smart meter 2G la questione si complica ulteriormente dato che verranno comunque riconosciuti in tariffa, fino al loro naturale azzeramento per fine vita utile, tutti gli investimenti relativi agli smart meter 1G esistenti al momento di avvio del piano di messa in servizio degli smart meter 2G ed il riconoscimento degli investimenti (valorizzati in un modo piuttosto complesso) relativi a questi ultimi asset seguirà – in “negativo” – proprio il percorso di fine vita utile degli smart meter 1G.

Quindi, il nesso causale implicito “Misuratori installati nel 2001–> oggi hanno finito la vita utile–>quelli nuovi li paga l’utente (tié…)–>la multinazionale del terrore è furba e, aiutata dai soliti poteri forti, lucra sulle spalle dei cittadini” non sta in piedi.

La verità è che gli investimenti infrastrutturali li paga sempre l’utente e sarebbe quindi più opportuno analizzare la loro bontà/necessità invece che sprecare tempo a cercare complotti lì dove non ci sono. Nel caso specifico, si sarebbe potuto valutare se fosse più opportuno utilizzare gli smart meter 2G per sostituire gli attuali 1G (che andavano comunque cambiati per vari motivi, non ultimo la questione della validità legale delle misure dei misuratori installati pre-2007) oppure continuare con gli 1G (cioè, sostituire gli attuali 1G con altri 1G  nuovi) e utilizzare altri strumenti tecnici/normativi/regolatori per ottenere gli stessi effetti .

Non mancano, infine, le parole-chiave inserite nel testo ed opportunamente sottolineate al solo scopo di solleticare subdolamente il lettore, aizzandolo contro i soliti “poteri forti”. Vediamone un esempio:

Quindi è praticamente impossibile sapere quanto incida sulla singola utenza, perché non si tratta di una voce a sé tipo il canone Rai. L’unica cosa certa è che non dovrebbero esserci aggravi rispetto a quanto già si sta pagando fino ad oggi. Ma la certezza si avrà solo a partire da gennaio 2017.

(Tralasciamo le altre imprecisioni contenute nell’estratto riportato: da gennaio 2017 non si saprà un bel niente, dato che mancano ancora tantissimi step prima che E-Distribuzione – e solo lei per ora – avvii il suo piano 2G i cui primissimi costi si vedranno nel 2018 se tutto va bene e se ci sarà un aggravio o meno è tutto da vedere)

Che senso ha, se non quello prima ipotizzato, buttare nella mischia il famigerato ed esecrato Canone Rai? Non è nemmeno una voce della bolletta, ma un elemento posticcio inserito a forza per finalità politico/amministrative ben precise!

Detto questo, mi auguro che il 2017 porti ad una sana, e necessaria, riflessione sulle modalità di fare informazione.

div{float:left;margin-right:10px;} div.wpmrec2x div.u > div:nth-child(3n){margin-right:0px;} ]]> Advertisements

Condividi:

Mi piace:

Mi piace Caricamento…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.