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I 60 anni del trattato Ue, un’occasione per maggiori diritti previdenziali

La firma dei Trattati il 25 marzo 1957

La firma dei Trattati il 25 marzo 1957

Il 25 marzo del 1957 furono firmati a Roma da sei paesi, Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio e Lussemburgo, i trattati istitutivi della Comunità Europea. Sabato scorso 25 marzo 2017, in una città blindata, è stato celebrato il 60 anniversario di quella ricorrenza. Né i padri fondatori, né quelli successivi avrebbero mai immaginato la cappa di cupio  dissolvi che impesta l’aria più delle polveri sottili ed il clima di paura di disordini e di attentati che avrebbe accompagnato la ricorrenza. Fortunatamente tutto si è svolto senza incidenti. I padri fondatori forse si sarebbero immaginato uno  scenario del tutto diverso: folle festanti  in un clima di benessere diffuso. Infatti le premesse c’erano tutte: dalla libera circolazione delle merci alla libera circolazione degli esseri umani mentre le guerre che avevano insanguinato il mondo dal 1914 al 1918 e dal 1939 al 1945 erano un lontano ricordo. Proprio per questo la UE ebbe il Premio nobel per la pace nel 2012 per averla mantenuta dalla fine del 1945 ad oggi, ma oggi l’Unione Europea rischia di dissolversi e le celebrazioni del 25 e 26 marzo non hanno cancellato questa infausta possibilità. Dopo l’Olanda,  che ha regalato una pausa di ottimismo, si aspettano con apprensione le elezioni di Francia e Germania. Potrebbero essere decisive per la sopravvivenza della Comunità Europea. “Qualcuno ha parlato del rischio di un 1989 alla rovescia, in cui l’Europa si caratterizza per ricostruire muri”, ha avvertito il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, durante un dibattito all’Europarlamento sul vertice di Roma.
L’effetto scatenante è stata la crisi economica e l’esplosione dell’immigrazione dai paesi  extraeuropei colpiti non solo dalla crisi economica ma anche teatro di disastrose guerre civili, alimentare con armi ad alto livello di sofisticazione che non vengono prodotte certamente in Africa.
I rilievi e le critiche all’Europa sono note:
impoverimento di alcuni Stati per colpa di una ingiusta austerity, supremazia di altri, la moneta unica come veicolo delle crisi nazionali, una euro burocrazia opprimente, le vessazioni della troika eccetera.
Se la Comunità Europea si dissolve, è molto probabile che i vari Stati si faranno una guerra economica senza limite, gli Stati più deboli per mantenere quote di mercato ricorreranno a massicce svalutazioni delle rinate monete nazionali, assisteremo alla messa in atto di devastanti  politiche  fiscali per attrarre i capitali e per l’accreditamento sui mercati finanziari. Il  sistema bancario europeo andrebbe nuovamente in default con effetti disastrosi specie per i piccoli e medi risparmiatori che non hanno possibilità di portale lo stipendio o la pensione nei paradisi fiscali.  La possibile uscita a cascata dei Paesi dalla UE dopo le elezioni di Francia e Germania ( e nel 18 anche l’Italia), a partire da quelli più deboli farebbe collassare il sistema. Chi oppone la tenuta della GB a questi scenari, l’esempio del Regno Unito non regge, perché  a parte una forte la svalutazione della Sterlina che già c’è stata e che reca vantaggi solo nell’immediato, la GB è sempre stata con un piede dentro ed un altro fuori.  Poi reintrodurre le monete nazionali non è una cosa semplice con una serie di complicanze a scapito degli Stati e delle persone meno forti.
Nell’immediato tuttavia, la UE ci vuole costringere ad una manovra correttiva. E’ un richiesta giusta, una pretesa infondata, un abuso di potere?, non si sa.
In realtà l’Europa ci ha aiutato e anche di molto.

Diamo uno sguardo per esempio al sistema di sicurezza sociale.

Nell’imputazione delle responsabilità, è bene sapere per esempio,  che la decisione della politica sociale spetta in primo luogo ai governi nazionali. La UE si limita a sostenere e integrare gli sforzi dei singoli Stati membri.
Per contrastare l’impatto dell’invecchiamento della popolazione, la UE in materia di occupazione e affari sociali persegue i seguenti obiettivi:
facilitare il passaggio dalla scuola al lavoro
favorire l’occupazione
modernizzare i sistemi di sicurezza sociale
agevolare la libera circolazione dei lavoratori nell’UE
proteggere le persone con disabilità.
Inoltre, la UE coordina e controlla le politiche nazionali in campi quali la lotta alla  povertà, l’integrazione e le pensioni.
Solo  19 dei 27 paesi membri  hanno la moneta unica, ma non c’è ancora un sistema pensionistico unico. Esiste un sistema di coordinamento delle varie politiche previdenziali, con il fine comune di erogare pensioni adeguate  nella sostenibilità economica. La politica pensionistica della Comunità economica si basa su  tre pilastri
–     La sicurezza sociale obbligatoria,
–     regimi pensionistici integrativi,
–     le  assicurazioni sulla vita.
Questi pilastri  servono a garantire  a ciascun cittadino la possibilità di mantenere il proprio standard di vita dopo il pensionamento o nel caso di invalidità e,nel caso di morte, agli eredi.
Una delle strategie europee si basa sul mercato del lavoro, in modo da conseguire un corretto equilibrio tra la popolazione attiva e quella in pensione. Infatti, negli anni a venire, i tassi di attività dovranno crescere, soprattutto allungando la vita lavorativa  attiva, per poter garantire il finanziamento delle pensioni in una società che invecchia. L’espansione dell’attività produttiva consente di assorbire la nuova offerta occupazionale evitando conflitti fra generazioni.
Per questo si tende a  limitare il ricorso ai sistemi  di prepensionamento e incoraggiare i lavoratori a prolungare la partecipazione al mercato del lavoro .
Inoltre, per garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche, la spesa per le pensioni dovrà essere mantenuta ad un livello (in percentuale del PIL) compatibile con il patto di stabilità e di crescita, così da alleggerire il carico sui singoli bilanci statali pubbliche.
Questo presuppone anche la modernizzazione dei sistemi pensionistici.
I sistemi pensionistici non rispondono più correttamente alle esigenze di un numero sempre crescente di persone, considerando in particolare i nuovi modelli della famiglia, i ruoli delle donne e degli uomini all’interno della famiglia e del mercato del lavoro, ecc. caratterizzato da una  forza lavoro mobile e flessibile. Vale a dire che le forme di occupazione atipiche non devono comportare un’eccessiva perdita di diritti pensionistici e che il lavoro autonomo non deve essere scoraggiato da pensioni troppo basse.
Ma la politica pensionistica della Comunità Europea si è focalizzata anche sullo sviluppo delle previdenza complementare, incoraggiando la diffusione dei fondi aziendali e professionali, nonché vincolando a forme prudenziali gli investimenti. In ultimo sta lanciando i famosi PeP i piani pensionistici europei che sarebbero una sorta di piano previdenziale assicurativo sul modello dei Pip italiani, di cui avevo già dato conto in un precedente post.

Oggi un lavoratore della Ue ha una serie di garanzie sulla pensione spettante alla fine della carriera con la totalizzazione di tutti i periodi contributivi a prescindere dallo Stato dove ha lavorato. Così vale per la previdenza complementare dove gli accordi in materia consentono numerose best prati. In un’Europa dissolta si dovrebbero fare accordi bilaterali per ogni singolo Stato in un clima prevedibilmente non collaborativo.
Ecco perché occorre tenersi ben stretta la Ue, facendo un profondo restyling delle regole e continuando nella politica della sicurezza sociale così come era stata impostata in questi anni.

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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