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PIR: se l’Unione Europea si mette di traverso?

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L’argomento PIR è di massima attualità. L’industria del risparmio gestito punto forte su quelli che sono i Piani individuali di Risparmio.

L’obiettivo che ha portato il Governo a decidere per la nascita dei PIR è stata la necessità di convogliare una fetta (a questo punto considerevole) di risparmio privato verso le small cap, utilizzando la leva del vantaggio fiscale, ovvero la totale esenzione fiscale sul capital gain (26%) oltre che l’esenzione da imposte di successioni e donazioni.

Il MEF è molto positivo sul buon esito dei PIR (due miliardi di flussi sui Pir già dal 2017), ma sono certo che tutti i target saranno polverizzati. Anche perchè il legislatore ha lasciato una buona flessibilità a disposizione dei vari gestori. Infatti l’articolo 18 del disegno di legge di bilancio 2017 non parla specificatamente di determinati prodotti (che potrebbero quindi essere gestioni patrimoniali, fondi, depositi amministrati o polizza Vita) ma stabilisce alcuni vincoli ai quali i collocatori si devono attenere: almeno il 70% del patrimonio deve essere su emissioni di società italiane o Ue con stabile organizzazione in Italia. Inoltre, come già vi ho spiegato nei precedenti post, il 30% del 70% (ovvero il 21% del patrimonio totale) deve essere su strumenti (bond o azioni) riguardanti società non appartenenti all’indice FtseMib. In sostanza, mid/small cap quotate o no.

Per dovere di cronaca, vi ricordo che l’investimento deve durare almeno cinque anni e l’importo massimo investibile in un anno nel Pir è di 30mila euro (150mila in cinque anni).

Il prodotto non è una novità in Europa. Infatti in pochi sanno che in passato, negli anni ’90, paesi come Francia e Gran Bretagna hanno già ricorso a strumenti similari. Si chiamano tuttora Isa in UK (Individual Saving Accounts, simili ai Pir),o ancora in Francia 120 miliardi di euro sono finiti nei Pea (Plan d’Epargne Action) e così via.
Quindi nulla di nuovo. Più o meno. Già in Francia con questi Pea mi risulta che ci sono stati dei problemi in quanto si venivano a generare dei volumi di sottoscrizioni tali che andavano a generare delle turbative sui mercati sottostanti. In altri termini, mi risulta che tali operazioni furono poi stoppate, monitorate e successivamente modificate a causa dell’intervento della stessa Unione Europea che riteneva i Pea non a norma in quanto andavano a violare le norme della concorrenza e generavano distorsioni sui mercati finanziari.

Riprendendo quanto vi ho scritto in questo POST in merito al rischio “bolla” sul mercato delle small & mid cap italiche, qualcuno non ha pensato che i PIR potrebbero essere considerati NON a norma da parte del legislatore comunitario per gli stessi motivi che hanno portato ad un blocco (parziale) dei Pea?

Invito tutti i lettori che hanno delle informazioni in merito a commentare questo post proprio per dare a tutti il massimo delle informazioni (visto che le banche spingono di brutto sui PIR) ed aumentare quindi la consapevolezza su questo tipo di prodotto e le sue peculiarità (anche potenzialmente negative).

Riproduzione riservata

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Danilo DT

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Autore: Finanza.com Blog Network Posts

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