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Muovi i piedi, non la mano. La potenza didattica degli obiettivi fissi

Primo disclaimer: se ti consideri un fotografo esperto probabilmente questo articolo aggiungerà poco o niente al tuo bagaglio tecnico. Si tratta di un articolo pensato per chi ha sempre fatto fotografia con fotocamere dotate di zoom, e vuole essere un pungolo per provare a cambiare punto di vista.

Voglio chiarire subito un punto chiave: questo articolo non vuole gettare discredito sulle ottiche zoom, che in molti frangenti risultano molto comode e riescono comunque a unire buona qualità e flessibilità d’uso. Parlando con fotografi professionisti che operano sul campo, anche in situazioni difficili, diversi di loro sono passati da una configurazione composta da due corpi e due ottiche fisse a un singolo corpo con zoom, trovandone beneficio. Anche nel nostro utilizzo quotidiano – per esempio nella copertura editoriale di una fiera – spesso ci affidiamo a ottiche zoom.

Fatte queste premesse, oggi voglio spendere alcune parole sulla potenza didattica delle ottiche a focale fissa e di come possano risvegliare quella creatività a volte sopita dall’uso dei più comodi zoom.

In fotografia, come nelle altre forme d’arte, la creatività va ‘nutrita

Uno dei detti più in voga tra i fotografi è quello che recita, più o meno, così: “Con lo zoom muovi la mano, con i fissi ti tocca far andare i piedi (e la testa)“. Generalizzando, in molte forme d’arte è proprio la presenza di alcuni limiti a liberare la creatività umana: la sfida del superamento del limite crea il terreno fertile per generare qualcosa di nuovo, di non scontato. Scrive Stephen Nachmanovititch nel suo libro ‘Il gioco libero della vita‘: “A volte malediciamo i limiti, ma senza di essi l’arte non sarebbe possibile. Ci forniscono qualcosa con cui e a dispetto di cui lavorare.

La realtà catturata da un pezzo di pellicola o da un sensore: la fotografia è limitata per definizione

La fotografia, ossia il fissare un istante (più o meno lungo) su un pezzo di pellicola o di silicio con delle dimensioni fisse, attraverso un sistema di lenti con delle caratteristiche particolari, vede nei limiti imposti dal mezzo tecnico la sua stessa definizione. Scegliere la via delle ottiche fisse può essere un modo per avvicinarsi maggiormente a questa essenza, prendendo più coscienza della natura limitata, e quindi potenzialmente in grado di liberare la creatività dell’uomo, della fotografia.

A volte basta fare pochi passi per trovare una prospettiva migliore

Didatticamente l’uso di un’ottica a focale fissa aiuta a considerare meglio le inquadrature: se nel punto in cui ci troviamo c’è qualcosa che non va nella nostra inquadratura non ci basta ruotare un po’ la ghiera dello zoom per tagliare via elementi di disturbanti o per includerne altri che potrebbero invece dare una chiave di lettura diversa allo scatto. Dobbiamo muoverci, spostarci: nel farlo incosciamente diamo il via a un processo mentale complesso che, nella ricerca di un punto migliore di ripresa, ci porta a fare lo sforzo di astrazione di considerare in modo tridimensionale lo spazio attorno a noi e come noi siamo in esso inseriti.



Lo stesso soggetto, differenti focali

Man mano che ci spostiamo raccogliamo più informazioni su questo modello 3D dell’ambiente che ci circonda e che il nostro cervello ricostruisce, aumentando la nostra consapevolezza su esso. Ci si sposta, si appoggia l’occhio al mirino e – attraverso i limiti imposti dalla focale fissa – si poggia lo sguardo una nuova porzione del mondo attorno a noi, concentrando l’attenzione solo sulla parte di realtà che entra dalla lente frontale del nostro obiettivo, magari scoprendo particolari che a ‘occhio nudo ci erano sfuggiti’. Questo lavoro di movimento, sguardo e pensiero, spesso porta a fotografie più ragionate rispetto a quelle ‘punta-zoomma-scatta‘.

Un mese senza zoom“, questo il limite che mi sono voluto porre per approfondire in prima persona la questione. Limitandomi però alle uscite fotografiche di piacere: come già detto per quelle professionali, come la partecipazione a una fiera, affidarsi a uno zoom permette maggiore flessibilità ed evita cambi di obiettivo in condizioni difficili. Per farlo ho chiesto la collaborazione di Fujifilm, che mi ha messo a disposizione una delle sue ultime mirrorless, la piccola Fujifilm X-T20, con tutto il parco di ottiche fisse f/2: FUJINON XF18mm F2 R, FUJINON XF23-2mmF2 R WR, FUJINON XF35mm F2 R WR, FUJINON XF50mmF2 R WR, FUJINON XF90mm F2 R LM WR. Le focali equivalenti coperte dal sistema sono circa quelle di un tuttofare neanche troppo spinto, 27-135mm, ma con la possibilità di sfruttare a tutte le focali la potenza creativa dell’elevata apertura di diaframma f/2. Tolto il 90mm F2, il più grosso e pesante del gruppo, si tratta di un parco ottiche che, unito al piccolo corpo macchina, può entrare tranquillamente in una borsetta, tenendo praticamente lo stesso spazio di una reflex con uno zoom tuttofare montato.

Tutta la cattedrale e linee cadenti per sottolinearne il senso di grandezza (e di oppressione sul piccolo osservatore) o linee perfettamente dritte grazie alla ripresa tele: scegliendo l’ottica si indirizza lo stile della foto

Il primo processo mentale che si instaura affidandosi a un parco a focale fissa e quello di scegliere la prima ottica da montare a inizio giornata, in base al luogo in cui ci si trova. Spesso la scelta di un’ottica influenza il nostro sguardo, portando l’occhio a soffermasi maggiormente su quei particolari che potrebbero funzionare bene nell’inquadratura di quella focale. Uno sforzo – spesso quasi inconscio – che fa lavorare di più la mente e potrebbe aprirla a cogliere più facilmente opportunità creative.



Lunghe focali e diaframma aperto per indirizzare l’occhio dell’osservatore in modo netto, focale corta e diaframma chiuso per avere tutto a fuoco (iperfocale)

Diverso il caso del momento in cui ci si trova davanti a qualcosa che si vuole fotografare e non si ha l’ottica giusta montata. La scelta dell’ottica determina la direzione creativa che vogliamo prendere con il nostro scatto, che può orientarsi verso un particolare o cercare di inserire il soggetto il più possibile nel suo ambiente. Le diverse focali, poi, non solo permettono di giocare con cosa entra o meno nell’inquadratura, ma possono aprire il campo a effetti creativi. Ne citiamo due estremi: l’uso dell’iperfocale alle focali grandangolari e la massima selezione del piano di fuoco con le ampie aperture e le lunghe focali. Nel primo caso con diaframmi abbastanza chiusi e soggetti non troppo vicini è possibile avere tutto ciò che c’è nell’inquadratura a fuoco, lasciando all’occhio dell’sservatore la libertà di soffermarsi sui dettagli preferiti. Nel secondo, al contrario, si può tagliare fuori dall’attenzione tutto quello che si trova pochi millimetri davanti o dietro il soggetto, incanalando in modo univoco lo sguardo di chi osserverà poi la fotografia.

Nonostante il 35mm sia su APS-C una focale ‘normale‘ e non grandangolare, la gestione dei piani è molto differente rispetto al tele 90mm

Altri due effetti che si trovano agli antipodi tra le focali grandangolari e quelle tele sono rappresentati da un lato dall’espansione dei piani e dall’altro dalla loro massima contrazione. Le focali grandangolari tendono a espandere i diversi piani della fotografia, separando e distanziando gli oggetti posti a distanze diverse; al contrario usando una focale lunga i piani vengono compressi, con un effetto visivo completamente diverso. Nel primo caso le fotografie avranno ampio respiro e ogni piano sarà percepito come singolo, nel secondo è possibile ‘avvicinare’ oggetti che fisicamente si trovano anche a chilometri di distanza facendoli percepire in modo completamente differente da quanto potrebbe accadere a occhio nudo.

A caccia di panorami con il 90mm

A livello puramente didattico – ma anche creativo -, tornando sul discorso del superamento dei limiti come occasione creativa, avendo a disposizione un parco ottiche composto da fissi, può essere divertente in alcune occasioni decidere di uscire a fotografare solo con una di esse: il risultato può essere duplice. Da un lato si conosce al meglio quell’ottica, con le sue caratteristiche, coi suoi difetti, con le sue peculiarità e con il suo modo di catturare la realtà. Dall’altro ci si apre a inquadrature non scontate, ‘forzate’ dalla limitazione imposta, ma che possono risultare a volte rivelatrici e indirizzare il nostro stile verso nuovi spunti creativi.

Una città con un tele o un medio tele, oppure con il solo grandangolo più spinto del lotto: si tratta di quel tipo di sfida che è in grado di tirare fuori il meglio creativo da ogni fotografo, allontanandolo nel contempo dal pericolo di fare le classiche foto scontate da turista ‘che fanno tutti‘.

Sempre a livello didattico è molto utile anche l’esercizio di scegliere due tra le ottiche a disposizione, concentrandosi molto sulle differenze e sul diverso carattere delle due, siano esse agli antipodi per quanto riguarda la focale o siano esse contigue, facendo in questo modo apprezzare meglio le differenze più sottili. Le differenze che passano tra un 18mm (focale equivalente di 27mm) e un 23mm (focale equivalente nel nostro caso di circa 35mm) sulla carta potrebbero sembrare limitate, ma nella realtà sono più ampie di quanto si possa pensare. Provare per credere.

Personalmente sono le focali più grandangolari quelle che trovo più difficili da gestire. A prima vista potrebbero sembrare le più semplici: includono quasi tutto nell’immagine, permettono di non dover fare scelte troppo esclusive. Proprio qui sta però la loro difficoltà: se con un tele è facile ‘selezionare’ un soggetto, un particolare, con un grandangolo il pericolo di fare una foto piatta è sempre dietro l’angolo. Trovo i 35mm su full frame o 23mm su APS-C (35mm equivalenti) una delle focali più difficili per me: non abbastanza ampia per essere del tutto inclusiva, non abbastanza stretta da selezionare un soggetto in modo esclusivo. Spesso le foto con un 35mm sono ‘ambientate’ e l’attenzione da prestare a soggetto e sfondo è grande per evitare foto fuori squilibrate, con particolari inutili o addirittura arrecanti disturbo, ma nel contempo con tutto quello che serve per raccontare una storia in uno scatto.

Da ultimo c’è un aspetto da considerare parlando di ottiche fisse: essendo caratterizzate da una complessità costruttiva inferiore rispetto agli zoom spesso hanno prezzo più accessibili. Inoltre il fatto di nascere con una sola ‘inquadratura’ gli permette di essere maggiormente ottimizzate, mentre gli zoom devono scendere a qualche compromesso per garantire una buona resa a tutte le focali. In linea generale le ottiche fisse sono più corrette dal punto di vista delle aberrazioni e delle distorsioni, per il motivo esposto poc’anzi, ed è più facile avere aperture di diaframma abbastanza elevate, caratteristica utile sia per la selezione dei piani tramite il bokeh, sia per gli scatti in condizioni di scarsa luminosità.

La scelta alla base del parco ottiche utilizzato in questa prova ‘un mese senza zoom’ è stata quella di avere ottiche piccole, leggere, abbastanza accessibili sotto il profilo del costo. Ad esempio Fujifilm mette a disposizione nelle stesse focali (o simili) alternative a più elevata apertura (f/1.4 e f/1.2) che hanno in alcuni casi un carattere molto diverso, più marcato, e sono adatte a utilizzi più specialistici, laddove il salto tra F1.4 e F2 può fare la differenza. Sono anche molto più pesanti e costose ed è un po’ più difficile mettere insieme tutto il kit di focali senza svenarsi (sia all’acquisto, sia in sedute di fisioterapia per spalle e collo).

In conclusione il consiglio è: lasciatevi tentare da un’ottica a focale fissa e dopo averla montata sulla vostra reflex o mirrorless lasciatevi da essa ispirare. In fotografia, come in molti altri campi non si finisce mai di imparare.

[HWUVIDEO=”2435″]Perché scegliere un’ottica a focale fissa[/HWUVIDEO]

Autore: Le news di Hardware Upgrade

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