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Root Android: cinque operazioni per le quali non ce n’è più bisogno

Author: IlSoftware.it

Per anni i possessori di un dispositivo Android hanno spesso fatto ricorso al rooting del dispositivo con l’obiettivo di utilizzare funzionalità che, diversamente, non sarebbero state utilizzabili.
Oggi il root di Android risulta utile, quasi esclusivamente, per aggiornare il sistema operativo a una versione più recente e più sicura (ad esempio allorquando il produttore non rilasciare più alcun aggiornamento per Android; ne abbiamo parlato nell’articolo Aggiornamento Android, come effettuarlo quando sembra impossibile).

Con una serie di modifiche via a via apportate su Android, Google ha voluto sottrarre una buona fetta di utenti all’impellente necessità di procedere con il root di Android.

Root Android: cos’è e come si fa

Effettuando il root di un terminale Android si andranno ad acquisire i privilegi più elevati che, normalmente, non sono mai conferiti né all’utente né alle applicazioni installate.
Per impostazione predefinita né Android né i produttori dei dispositivi mobili offrono un semplice strumento per procedere con il rooting: il motivo è che le app installate sul dispositivo potrebbero sfruttare i privilegi di root per applicare modifiche alla configurazione del sistema operativo.
I malware writer sono costantemente alla ricerca di vulnerabilità di Android o del firmware dei vari produttori che consentano a una normale app di eseguire codice con i diritti di root. Da qui la necessità di mantenere sempre aggiornato il proprio dispositivo all’ultima versione di Android o comunque a un Livello patch di sicurezza Android abbastanza attuale (per verificarlo, basta portarsi nelle impostazioni di Android e selezionare Info sul telefono).

Il root di Android si concretizza in diversi modi con una procedura che generalmente varia da dispositivo a dispositivo, da produttore a produttore e tra una versione del sistema operativo e l’altra.Di solito il root di Android parte dallo sblocco del bootloader ovvero del programma che nella fase di avvio del dispositivo carica il kernel del sistema operativo dalla memoria flash. Ciò di solito si concretizza chiedendo l’autorizzazione al produttore o comunque seguendo le sue indicazioni quindi installando una Custom recovery oppure procedendo dal prompt dei comandi con ADB a terminale collegato a un PC (vedere Aggiornamento Android, come effettuarlo quando sembra impossibile al punto 4).

Ciascun produttore offre una pagina specifica attraverso la quale è possibile richiedere lo sblocco del bootloader. Ecco alcuni link:

Dispositivi Huawei
Dispositivi LG
Dispositivi Motorola/Lenovo

Tra le Custom recovery più famose ed apprezzate c’è TWRP che, tra l’altro, è utilizzabile per richiedere un backup completo del contenuto del device Android: Backup Android: come farlo per non perdere mai i propri dati.

Va detto che il rooting di un dispositivo Android comporta di solito la perdita della garanzia anche se la procedura è comunque reversibile.

Con il root di Android, però, si avrà la possibilità di installare ROM personalizzate non ufficiali (Custom ROM), con l’opportunità quindi di mantenere sempre aggiornato il dispositivo anche dal punto di vista della sicurezza, effettuare il backup completo del dispositivo e installare le app (anche dallo stesso Play Store) che per funzionare richiedono necessariamente i permessi di root, disinstallare le app precaricate dal produttore che non si ritengono utili o che sono addirittura causa di fastidi.

Alcune app possono rifiutarsi di eseguirsi sui dispositivi sottoposti a rooting. Per “mascherare” il rooting, si possono usare app come SuHide oppure Magisk, figlio dell’ormai abbandonato progetto Superuser.

Cinque operazioni per le quali non è più necessario il root di Android

Con il passare del tempo Google ha fortunatamente apportato alcune modifiche al funzionamento di Android che rendono superfluo il rooting.

1) Revoca dei permessi alle singole app Android
Portandosi nelle impostazioni di Android, selezionando la lista delle app installate, scegliendo l’applicazione d’interesse quindi toccando Permessi applicazione, a partire da Android 6.0 Marshmallow, si possono revocare singole autorizzazioni.
L’app potrebbe rifiutarsi di funzionare se privata di uno o più permessi ma tanto vale provare.

Root Android: cinque operazioni per le quali non ce n'è più bisogno

2) Disabilitare le app superflue
Tranne che con i firmware personalizzati di alcuni produttori, con le versioni di Android più recenti è sempre possibile disabilitare le app di sistema che non si utilizzassero oppure che si ritenessero fastidiose.
Per disinstallare completamente le app di sistema, allorquando il pulsante Disinstalla non risultasse utilizzabile, bisognerà necessariamente procedere con il root del dispositivo.

3) Acquisire screenshot in modo nativo
Fino a qualche tempo fa, l’acquisizione degli screenshot su Android era cosa appannaggio dei possessori di un dispositivo sottoposto a rooting.
Mantenendo premuti il tasto Volume giù e Power/alimentazione, è adesso possibile acquisire screenshot e salvarli nella memoria del dispositivo come immagini.
Davvero incredibile che questa, in precedenza, non fosse una funzionalità nativa di Android.

4) Limitare l’utilizzo della rete dati
Accedendo alla funzione Utilizzo dati di Android è adesso possibile limitare la “libertà d’azione” delle app definendo quanto traffico possono generare con la possibilità di bloccare del tutto lo scambio di dati in background (ovvero quando l’app non è visualizzata e attivamente utilizzata).

Android permette adesso di applicare restrizioni non soltanto durante l’utilizzo della connessione dati ma di ridurre il quantitativo di dati scambiati anche quando connessi a una rete WiFi.

Root Android: cinque operazioni per le quali non ce n'è più bisogno

Per tutti c’è anche la nuova app Google Datally: Come risparmiare giga con il nuovo Google Datally.

5) Collegarsi a una rete VPN

Già da tempo, diversamente da quanto avveniva in passato, è finalmente possibile collegarsi a una rete VPN dai propri dispositivi Android senza disporre dei permessi di root.
E ciò sia che si utilizzi un client di un servizio VPN di terze parti, sia che si ricorra a un’app come OpenVPN per Android per creare un tunnel cifrato – quindi sicuro – con la propria infrastruttura aziendale o con la rete dell’ufficio.

Nell’articolo VPN Android: cos’è e come attivarla abbiamo spiegato come attivare una VPN su Android sfruttando il servizio gratuito messo a disposizione da OpenVPN.
In questo modo si potranno proteggere i propri dati (non soltanto la navigazione web ma anche qualunque tipo di attività espletata tramite il dispositivo Android) durante l’impiego di connessioni WiFi pubbliche o, peggio ancora, aperte.

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