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Quanto tfr ci metto nel fondo pensione?

Author: clinguella@finanza Finanza.com Blog Network Posts

La legge sul mercato e la concorrenza ( L.124/17), come abbiamo avuto già modo di vedere, interviene anche sulla previdenza complementare. Questa nei discorsi ufficiali è presentata alla stregua di un’appendice della previdenza pubblica seguendone conseguentemente tutte le prerogative che essa impone: l’adeguatezza, la sostenibilità e la sicurezza. Sull’adeguatezza sappiamo già molto ed anche sulla sostenibilità. La prima è la capacità di assicurare un decente tenore di vita almeno quasi uguale a quello ante pensionamento, la sostenibilità è la capacità di sostenere nel tempo i costi previdenziali mentre la sicurezza è la garanzia statale che comunque la pensione Inps sarà sempre pagata. Inserendola nella legge che intenzionalmente dovrebbe liberalizzare maggiormente il mercato, la sicurezza ne esce in qualche modo indebolita. Né si capisce appieno l’inserimento dei fondi pensione negoziali nella lelle sulla concorrenza, se appena si riflette sul fatto che non hanno scopo di lucro. Comunque a parte la collocazione erronea in una legge non pertinente, le cose che detta legge pretende non sono del tutto peregrine. Il comma 38, interviene su alcuni profili e segnalatamente la destinazione totale o parziale del TFR alle forme pensionistiche complementari.
Il Trattamento di Fine Rapporto è una forma di retribuzione differita, liquidata al momento della cessazione del lavoratore dipendente.
Si determina accantonando, per ogni anno di lavoro, un importo pari alla retribuzione annua lorda dovuta, divisa per il parametro fisso 13,5. La quota rappresenta quindi il 7,41% della retribuzione (precisamente il 6,91% più lo 0,50% corrisposto all’Inps per finanziare il Fondo di garanzia).
Se lasciato in azienda o al fondo tesoreria Inps, è rivalutato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, di una percentuale costituita dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’indice Istat dei prezzi al consumo.
Non è previsto un trattamento di fine rapporto per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed in genere per il lavoro autonomo.

Per rilanciare la previdenza integrativa si interviene su uno degli snodi che si ritengono più ostativi all’adesione alla complementare. Insomma gli italiani non rinunciano alla liquidazione di fine servizio. Già in funzione di questa considerazione attualmente gli iscritti ai fondi pensione al momento di andare in pensione possono scegliere, o meglio optare per sembrare più raffinati, alla trasformazione di tutto il capitale accumulato in rendita, oppure ottenere il 50% in unica soluzione ed il rimanente in rendita, oppure, al verificarsi di certe condizioni, di poter chiedere l’intero montante comprensivo dei rendimenti finanziari in unica soluzione.
Coin la nuova norma, gli accordi collettivi potranno stabilire una percentuale minima del TFR maturando da destinare ai fondi, fermo restando il principio generale che l’adesione rimane su base volontaria e che, in assenza di indicazione da parte degli accordi, la percentuale del conferimento del Tfr è pari al 100 per cento. In sostanza si dà la facoltà di poter far decidere ad ogni singolo lavoratore quanta parte del suo tfr vorrà destinare al fondo pensione o altro.
La possibilità di utilizzare il TFR quale forma di finanziamento per la previdenza complementare è stata pensata come una delle maggiori opportunità offerte ai dipendenti per costruirsi una adeguata pensione integrativa. Invece si è rivelata da subito la maggiore molla psicologica che ne ha bloccato il decollo.
Volendo stipulare una polizza vita con la previsione di farsi corrispondere una rendita di una certa consistenza, dovrebbero versare dei premi mensili molto alti. Per superare questa handicap e favorire il risparmio previdenziale, si pensò di utilizzare il trattamento di fine rapporto.
Il suo utilizzo consente un versamento cospicuo e costante, senza dover rinunciare a quote consistenti di reddito con l’aggiunta di rendimenti più favorevoli derivanti dagli investimenti dei fondi pensioni, maggiori rispetto a quelli del TFR.
Mediante l’utilizzo del tfr non si devono versare somme strabilianti, il sacrifico che si chiede, diventa sopportabilissimo, il versamento dell’1% della propria retribuzione utile al tfr, in genere 20/30 euro mensili. In questo caso si aggiunge anche il versamento di una cifra analoga da parte del datore di lavoro.
Ma quello che doveva costituire un facilitatore per le adesioni, si è rivelato alla lunga un freno, specie per i dipendenti del pubblico impiego.

Attanaglia il pensiero che i propri risparmi vengano investiti in borsa alla stessa stregua delle puntate alla roulette in un Casinò di Las Vegas.
Tutti, nei propri pensieri hanno il fallimento del fondo pensione americano Enron del 2001 assolutamente non replicabile in Italia. Innanzitutto perchè qui non ci sono fondi aziendali che comprano proprie azioni perché scatterebbe il conflitto d’interessi e poi perché i fondi italiani non possono fallire ( comma 5 art 15 Dlvo 205/05).
Né riesce ad essere convincente e tranquillizzante il fatto che su tutta la previdenza complementare ed in specie sugli investimenti, vigila la Covip e che esiste un dm ( decreto ministeriale) 166/2014, in fase di aggiornamento, che stabilisce le modalità di investimento.
In questo quadro di sfiducia e di incertezze, solo i Pip, i piani pensionistici individuali, sono in aumento, perché non è obbligatorio versare il Tfr.
Inoltre chi sottoscrive una polizza assicurativa, che opera allo stesso modo, investimenti, borsa ecc … non ha le stesse fobie. Evidentemente in questo caso si ha fiducia nella compagnia prescelta, che so Unipol, Generali, ecc… la stessa fiducia che non sembrano riscuotere i fondi pensione anche se hanno prodotto solo risultati positivi.
Molti si dicono spaventati dal fatto che la scelta alla previdenza complementare è irreversibile quasi a perdere la disponibilità dei propri soldi, come se il tfr fosse invece disponibile in qualsiasi momento.
Invece non è così. Il tfr diventa disponibile alla cessazione del rapporto di lavoro e per i pubblici dipendenti addirittura dopo due anni dal pensionamento e solo in casi eccezionali prima.

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