Author: Alessandro Crea Tom’s Hardware
Utopisti o speculatori che non vogliono pagare le tasse? Un po’ entrambe le cose. Un gruppo di nuovi ricchi statunitensi, in maggioranza californiani, che sono diventati milionari e miliardari con Bitcoin e altre criptovalute, si è da poco trasferito a Porto Rico. Qui sognano di fondare la prima criptocittà, una realtà utopica che mira a replicare la filosofia della blockchain: decentramento totale e assenza di qualsiasi autorità superiore. Ma anche assenza di tasse.
Devastata pochi mesi fa dagli uragani e con un’economia mai decollata, la povera isola di Portorico, associata agli Stati Uniti ma senza i pieni diritti di cittadinanza, tenta infatti da anni di attirare investitori dall’estero, concedendo loro totale esenzione dalle tasse sui redditi e sui capital gain e altre facilitazioni fiscali, per i primi 18 anni, a patto che assumano almeno tre portoricani, da retribuire tra l’altro con pochi dollari al giorno.
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Gli utopisti statunitensi hanno individuato in questa terra martoriata il loro Eden personale e, dopo essersi stabiliti in un vecchio hotel abbandonato e privo d’acqua stanno cercando di acquistare immobili e terreni per costruire la loro città ideale. In realtà, a chiamarli all’indomani della devastazione portata dagli uragani son stati gli stessi portoricani, in particolare i computer scientist Guillermo Aviles e Fabian Velez, fondatori di una non profit, TokenCoin, pensata proprio per aiutare la popolazione con le criptovalute.
Il gruppo di criptocolonizzatori ci ha messo poco a farsi un’idea dell’occasione unica che avevano dinanzi, come conferma uno di loro al New York Times: “Non è solo che non ci piace pagare le tasse. Portorico consente soprattutto di costruire qualcosa di totalmente nuovo. Puoi farlo solo dove si ricomincia da zero. Come qui: l’uragano ha spazzato via tutto”.
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Da parte loro le autorità locali hanno tutte le intenzioni di collaborare e dare sostegno all’iniziativa di fondare “Puertopia” (questo il nome che dovrebbe avere Bitcoin city), nella speranza che porti sviluppo e un po’ di benessere. Come ovunque accade però, mentre i portoricani conducono le loro difficili vite lavorando e pagando le tasse, i nuovi padri fondatori non fanno nessuna delle due cose nonostante siano ricchissimi e anzi si ritrovano la via spianata per la realizzazione dei propri sogni.
Noi restiamo a guardare, così come la maggior parte dei portoricani che magari ha perso tutto a causa degli uragani, chiedendoci quale utopia possa essere fondata sulla mancata partecipazione sociale e quale libertà – ispirata o meno alle blockchain – possa esserci dove permangono disparità sociali così forti.