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Pensioni: ed ora cosa succede?

Author: clinguella@finanza Finanza.com Blog Network Posts

Le elezioni appena svolte ci hanno consegnato un Parlamento dal quale probabilmente e necessariamente si dovrà tirar fuori un governo perchè una nuova tornata elettorale non modificherebbe granchè l’attuale quadro e sarebbe  solo un ulteriore dispendio di pubblico denaro. Durante la campagna elettorale uno dei temi più gettonati è stato quello delle pensioni. In teoria ora dovrebbe essere tutto rose e fiori. Le due forze politiche che indubbiamente possono cantare vittoria hanno puntato molto su di esse. Una, il Movimento 5 Stelle ha manifestato la volontà di sopprimere in maniera progressiva la legge Fornero, annoverando fra gli elementi per attuare tale proposito il taglio delle cosiddette pensioni d’oro a partire da almeno 5.000 euro lordi al mese. Altro punto promesso è quello di estendere a tutti la normativa attualmente vigente per i lavoratori cosiddetti precoci che si trovano in particolari condizioni con la possibilità di andare in pensione con 41 anni  di lavoro oppure con l’utilizzo della c.d. Quota 100 che somma l’età anagrafica e quella dei contributi versati (es 65 di età e 35 di contributi)
L’altro partito vincente, la Lega Nord ha come proposta fondamentale l’abolizione sic et simpliciter della legge Fornero per la qual cosa promosse perfino un referendum abrogativo che fu dichiarato inammissibile dalla Corte Costituzionale. Anche Lega Nord vuole l’introduzione della Quota 41 per tutti.
In entrambi emerge come punti di forza, la volontà di superare la riforma delle pensioni Fornero, anche se i costi dell’abolizione solamente per la prossima legislatura (2018-2023), si aggirerebbero secondo alcune stime, intorno ai 100 miliardi di euro. Né un contributo concreto alla fattibilità di questa abolizione, potrebbe portare il taglio delle cosiddette “pensioni d’oro,” specie se queste corrispondono a contributi affettivamente versati e dall’abolizione dei vitalizi, che dal 2012 grosso modo non esistono più e quindi si dovrebbe parlare di quelli pregressi con il rischio di intaccare il principio dei diritti acquisiti

Questi tagli comunque possono costituire una misura di equità ma non sarebbero sufficienti per un’efficace politica per un aumento generalizato e significativo per le rendite più basse.
Gli ultimi dati resi disponibili da Inps e Istat dicono che nel 2015 il 6,7 % del totale dei pensionati (poco più di 1 milione di individui) ha ricevuto un assegno mensile superiore ai 3 mila euro lordi (il valore medio è di 4.354 euro mensili lordi per 12 mensilità) e sono costati 54,8 miliardi di euro (il 20 per cento della spesa pensionistica totale).
I pensionati che hanno un reddito complessivo superiore ai 100 mila euro erano 123.869, con un reddito totale di 20 miliardi di euro (il reddito medio è di 162 mila euro). I più ricchi, quelli con un reddito annuale superiore ai 300 mila euro, erano 7.884 (il reddito medio è di 542 mila euro).

Secondo quanto afferma  Franco Mostacci su  lavoce.info, ipotizzando di fissare un tetto massimo mensile di 5 mila euro lordi per l’assegno pensionistico, tagliando l’eccedenza ai pensionati, si otterrebbe un risparmio stimabile in 490 milioni di euro. Si deve, però, considerare che per lo Stato verrebbe meno, in questo modo, una parte della tassazione Irpef, per cui il risparmio netto si riduce a 280 milioni di euro, poco più dell’1 per cento della manovra di bilancio approvata a dicembre 2017.
Modificando l’entità del taglio e, di conseguenza, il numero di beneficiari di pensione che ne risulterebbero coinvolti, si potrebbe conseguire un maggiore o un minore risparmio. Ma a meno di provvedimenti draconiani, il taglio delle “pensioni d’oro” non garantirebbe una cifra tale da dare respiro ai conti pubblici (vale lo 0,016 per cento del Pil), né sarebbe sufficiente per un’efficace politica redistributiva.
Ma prima di por mano ad una nuova riforma delle pensioni bisognerebbe conoscere qual è effettivamente la situazione della previdenza obbligatoria. Il 21 febbraio scorso Itinerari Previdenziali presentando alla Camera il V Rapporto su “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano – Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2016“, ha affermato che gli allarmi sulla spesa pensionistica sono eccessivi, mentre  altri, fra cui il presidente dell’Inps si  è stappato le vesti di fronte alla ventilata ipotesi di blocco dell’innalzamento dell’età pensionabile, ipotizzando un aggravio nel lungo periodo di 184 miliardi di euro. A questo punto c’è l’esigenza di  sapere se i conti sulle pensioni sono in ordine o sono un disastro.
C’è chi dice una cosa e chi il contrario a dimostrazione della confusione che vige in materia di contabilità previdenziale. Istat, Inps e Ragioneria generale dello stato utilizzano diverse definizioni di spesa pensionistica, previdenziale e assistenziale. Persino le organizzazioni internazionali, come l’Ocse, che basano i propri confronti sui dati forniti dagli istituti nazionali, pubblicano dati differenziati. Sono in corso lodevoli tentativi di uniformare le metodologie di rilevazione, ma come in altri campi, anche in quello pensionistico, la “quantofrenia” dilaga come un virus pernicioso.
Quindi la prima cosa da fare è avere dati certi ed univoci, inoltre a prescindere da questi, la previdenza si basa su principi elementari, si finanzia con i contributi di lavoratori ed il risparmio accumulato poi deve essere ripartito per gli anni in cui si prevede la quiescenza. Di fronte a questi postulati occorre aumentare la forza lavoro regolare, perché più sono gli occupati iscritti all’Inps più contributi arrivano nelle sue casse e più pensioni possono essere erogate.

Sul tappeto oggi il nuovo governo si troverà a gestire le misure appena introdotte nelle ultime leggi di bilancio 2017 e 2017 a seguito di accordi sindacali, come i’ ape volontaria, sociale e i lavori gravosi, nonché l’istituenda pensione di garanzia per i giovani. Poi ci sono in piedi due commissioni di studio, non ancora insediate, che dovrebbero lavorare sulla speranza di vita e sui lavori gravosi. Bisogna vedere come ci si muoverà su questi temi e che spazio ci sono per intervenire anche per l’aumento delle pensioni minime e le altre misure promesse.
Infine, fra i problemi da affrontare, si deve definire che ne facciamo di coloro che hanno un handicap meno del 74% ma più del 50%, cosa realizzare per ridurre la differenza di genere, visto che domani è l’8 marzo, durante la cui giornata i discorsi si sprecheranno, se si vuole agire attraverso una diminuzione dell’età pensionabile o contributiva per le donne, introdurre un realistico sistema di adeguamento sulla speranza di vita che non può essere biennale, ma almeno quinquennale, visto che l’incidenza del pil sui coefficiente di trasformazione è appunto su base quinquennale.

In ultimo dire una parola sulla previdenza complementare, di cui, ma forse mi sarà sfuggito, nessuno ha benché minimamente accennato.

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